In realtà stiamo subendo gli effetti di un infausto aggiornamento
rivelatosi sovversione che vede il suo culmine in questo post concilio
bergogliano e pachamamiano posto in essere dall'attuale pontificato... Qui l'indice di interventi precedenti e correlati.
Reverendo e Caro Sacerdote di Cristo,
ho
ricevuto la Sua lettera, nella quale Ella mi sottopone alcune gravi
questioni sulla crisi dell’autorità nella Chiesa, crisi che va acuendosi
in questi ultimi anni ed in particolare durante “l’emergenza
pandemica”, in occasione della quale la gloria di Dio e la salvezza
delle anime sono state messe da parte a vantaggio di una presunta salute
del corpo. Se intendo rendere pubblica questa mia articolata risposta
alla Sua lettera, è perché essa risponde ai numerosissimi fedeli e
sacerdoti che mi scrivono da ogni dove, esponendomi interrogativi e
tormenti di coscienza su queste stesse gravi questioni.
Il
problema di un’autorità pervertita – ossia che non agisca nei limiti
che le sono propri o che si sia data autonomamente un fine opposto a
quello che la legittima – viene affrontato dalle Sacre Scritture per
ricordarci che omnis potestas a Deo (Rom 13, 1) e che qui resistit potestati, Dei ordinationi resistit
(ibidem., 2). E se San Paolo ci intima di obbedire all’autorità civile,
a maggior ragione noi siamo tenuti ad obbedire all’autorità
ecclesiastica, in ragione del primato che le questioni spirituali hanno
su quelle temporali.
Ella
osserva che non sta a noi giudicare l’autorità, perché il Figlio
dell’uomo tornerà a fare giustizia alla fine dei tempi. Ma se dovessimo
aspettare il giorno del Giudizio per vedere puniti i malvagi, a quale
scopo la divina Maestà avrebbe costituito sulla terra un’autorità
temporale e una spirituale? Non è forse loro compito, come vicari di
Cristo Re e Sommo Sacerdote, reggere e governare i loro sudditi su
questa terra, amministrando la giustizia e punendo i malvagi? Che senso
avrebbero le leggi, se non vi fosse chi le fa rispettare, sanzionando
chi le viola? Se l’arbitrio di chi è costituito in autorità non fosse
punito da chi ha sopra di essi autorità, come potrebbero i sudditi –
civili ed ecclesiastici – sperare di ottenere giustizia in terra?
Temo
che la Sua obiezione, secondo la quale gli Ecclesiastici che rivestono
una potestà loro derivante dall’autorità dell’ufficio ricoperto possano
essere giudicati solo alla fine dei tempi, conduca da un lato al
fatalismo e alla rassegnazione nei sudditi, e dall’altro costituisca una
sorta di incoraggiamento ad abusare del proprio potere nei Superiori.
L’obbedienza
ad un’autorità pervertita non può essere considerata doverosa, né
moralmente buona, solo perché al Suo ritorno il Figlio dell’uomo tornerà
a fare giustizia alla fine dei tempi. La Scrittura ci sprona ad essere
sì obbedienti, moderando la nostra obbedienza con la pazienza e lo
spirito di penitenza, ma non ci esorta assolutamente ad obbedire a
ordini intrinsecamente malvagi, per il solo fatto che chi ce li imparte è
costituito in autorità. Quell’autorità, infatti, proprio nel momento in
cui viene esercitata contro lo scopo per cui essa sussiste, si priva
della legittimazione che la giustifica e, pur non decadendo in sé,
nondimeno richiede da parte dei sudditi un’adesione che dovrà essere di
volta in volta vagliata e giudicata.
Con la Rivoluzione, l’ordo christianus, che riconosceva
l’Autorità costituita come proveniente da Dio, è stato rovesciato per
far posto alle cosiddette democrazie in nome della laicità dello Stato e
della sua separazione dalla Chiesa. Con il Concilio Vaticano II questa
sovversione del principio di autorità si è insinuata nella Gerarchia
stessa, facendo sì che quell’ordine voluto da Dio non solo fosse
cancellato dalla società civile, ma addirittura venisse minato anche
nella Chiesa. Ovviamente, quando l’opera di Dio viene manomessa e la Sua
Autorità negata, il potere ne è irrimediabilmente compromesso e si
creano i presupposti per la tirannide o per l’anarchia. Né la Chiesa fa
eccezione, come possiamo dolorosamente constatare: il potere è spesso
esercitato per punire i buoni e premiare i malvagi; le sanzioni
canoniche servono quasi sempre per scomunicare chi rimane fedele al
Vangelo; i Dicasteri e gli organi della Santa Sede assecondano l’errore e
impediscono la propagazione della Verità. Lo stesso Bergoglio, che
dovrebbe rappresentare in terra la più alta Autorità, usa del potere
delle Sante Chiavi per assecondare l’agenda globalista e promuovere
dottrine eterodosse, ben consapevole di quel Prima Sedes a nemine judicatur che gli permette di agire indisturbato.
Questa
situazione è ovviamente anomala, perché nell’ordine stabilito da Dio a
chi rappresenta l’autorità è dovuta obbedienza. Ma in questo mirabile kosmos Satana insinua il chaos, manomettendo l’elemento fragile e peccabile: l’uomo. Ella lo evidenzia bene nella Sua lettera, caro Sacerdote: «Ora,
la cosa più diabolica che il nostro nemico è riuscito a compiere, è
quella di usare proprio chi si presenta al mondo investito dell’autorità
conferita da Gesù Cristo alla Sua Chiesa, per fare il male, e con
questo: da un lato coinvolgere nel male alcuni dei buoni, dall’altro
scandalizzare i buoni che se ne rendono conto», e contestualizza poi
questa situazione nel caso attuale: «L’autorità di Gesù è stata usata
abusivamente per giustificare e caldeggiare una terribile operazione,
che viene presentata sotto il nome falso di vaccinazione».
Concordo
con Lei circa le valutazioni di oggettiva immoralità del cosiddetto
vaccino contro il Covid-19, in ragione dell’uso di materiale derivante
da feti abortiti. Concordo parimenti sulla assoluta inadeguatezza –
scientifica, oltreché filosofica e dottrinale – del documento promulgato
dalla CDF, il cui Prefetto si limita ad eseguire supinamente più che
discutibili ordini impartiti dall’alto: l’obbedienza dei reprobi è
emblematica, in questi frangenti, perché sa ignorare con disinvoltura
l’autorità di Dio e della Chiesa, in nome di un asservimento cortigiano
all’autoritarismo del superiore immediato.
Vorrei
nondimeno precisare che il documento della Santa Sede è particolarmente
insidioso non solo per l’aver esso analizzato solo un aspetto remoto,
per così dire, della composizione del farmaco (a prescindere dalla
liceità morale di un azione che non perde di gravità col passare del
tempo); ma per aver deliberatamente ignorato che per “rinfrescare” il
materiale fetale originale occorre periodicamente aggiungervi nuovi
feti, ricavati da aborti al terzo mese provocati ad hoc, e che i tessuti
devono essere prelevati da creature ancora vive, a cuore palpitante.
Data l’importanza della materia e la denuncia della comunità scientifica
cattolica, l’omissione di un elemento integrante per la produzione del
vaccino in un pronunciamento ufficiale conferma, nell’ipotesi più
generosa, una scandalosa incompetenza e, in quella più realistica, la
deliberata volontà di spacciare per moralmente accettabili dei vaccini
prodotti con aborti provocati. Questa sorta di sacrificio umano, nella
sua forma più abbietta e cruenta, viene quindi considerato trascurabile
da un Dicastero della Santa Sede in nome della nuova religione
sanitaria, della quale Bergoglio è strenuo sostenitore.
Mi
trovo d’accordo con Lei sull’omissione delle valutazioni inerenti la
manipolazione genetica indotta da alcuni vaccini che agiscono a livello
cellulare, con scopi che le case farmaceutiche non osano confessare, ma
che la comunità scientifica ha ampiamente denunciato e di cui non si
conoscono ancora le conseguenze a lungo termine. Ma la CDF evita
scrupolosamente di esprimersi anche sulla moralità della sperimentazione
sull’uomo, ammessa dagli stessi produttori dei vaccini, i quali si
riservano di fornire i dati su questa sperimentazione di massa solo tra
qualche anno, quando sarà possibile comprendere se il farmaco è efficace
e a prezzo di quali effetti secondari permanenti. Così come la CDF tace
sulla moralità di speculare vergognosamente su un prodotto che viene
presentato come unico presidio contro un virus influenzale che ancora
non è stato isolato ma solo sequenziato. In assenza dell’isolamento
virale, non è scientificamente possibile produrre l’antigene del
vaccino, per cui l’intera operazione del Covid si mostra – chi non sia
accecato da pregiudizio o da malafede – in tutta la sua criminale
falsità e intrinseca immoralità. Una falsità confermata non solo
dall’enfasi quasi religiosa con la quale è presentato il ruolo salvifico
del cosiddetto vaccino, ma anche dall’ostinato rifiuto delle autorità
sanitarie mondiali a riconoscere la validità, l’efficacia e il costo
contenuto delle cure esistenti, dal plasma iperimmune
all’idrossiclorochina e all’ivermectina, dall’assunzione di vitamina C e
D per aumentare le difese immunitarie alla cura tempestiva dei primi
sintomi. Non dimentichiamo che, se vi sono persone anziane o debilitate
nella salute che sono morti con il Covid, ciò avviene perché l’OMS ha
prescritto ai medici di base di non curare i sintomi, indicando per i
soggetti con complicanze una cura ospedaliera assolutamente inadeguata e
dannosa. Anche su questi aspetti la Santa Sede tace, complice evidente
di una congiura contro Dio e contro l’uomo.
Torniamo ora all’autorità. Ella scrive: «Pertanto
chi si trova di fronte a persone investite dall’Autorità di Gesù che
agiscono evidentemente all’opposto del Suo mandato, si trova nella
condizione di domandarsi se possa o meno obbedire alla loro Autorità,
quando in situazioni terribili come questa, chi esercita l’autorità in
nome di Gesù va palesemente contro i Suoi Mandati». La risposta ci
viene dalla dottrina cattolica, che all’autorità dei Prelati e a quella
suprema del Papa pone chiarissimi limiti di azione. In questo caso mi
pare sia evidente che non è competenza della Santa Sede esprimere
valutazioni che, per il modo in cui sono esposte e analizzate e per le
palesi omissioni in cui incorrono, non possono rientrare minimamente
nell’alveo determinato dal Magistero. Il problema, a ben vedere, è
logico e filosofico, ancor prima che teologico o morale, perché i
termini della quæstio sono incompleti ed erronei, e quindi erronea e incompleta ne sarà la risposta.
Ciò
non toglie nulla alla gravità del comportamento della CDF, ma allo
stesso tempo è proprio nell’uscire dai limiti propri all’autorità
ecclesiastica che si conferma il principio generale della dottrina, e
con esso anche l’infallibilità che il Signore garantisce al Suo Vicario
quando egli intende insegnare una verità relativa alla Fede o alla
Morale come Supremo Pastore della Chiesa. Se non vi è una verità da
insegnare; se questa verità non ha a che vedere con la Fede e la Morale;
se chi promulga questo insegnamento non intende farlo con l’Autorità
Apostolica; se l’intenzione di trasmettere questa dottrina ai fedeli
come verità da tenersi e credersi non è esplicita, l’assistenza del
Paraclito non è garantita, e l’autorità che la promulga può essere – e
in certi casi deve essere – ignorata. Ai fedeli è quindi
possibile resistere all’esercizio illegittimo di un’autorità legittima,
all’esercizio di un’autorità illegittima o all’esercizio illegittimo di
un’autorità illegittima.
Non mi trovo pertanto d’accordo con Lei quando Ella afferma: «Se
l’infedeltà tocca tale autorità, solo Dio può intervenire. Anche perché
anche nei confronti di autorità di grado inferiore diventa poi
difficile ricorrere sperando di avere giustizia». Il Signore può
intervenire positivamente nel corso degli eventi, manifestando in modo
prodigioso la Sua volontà o anche solo abbreviando i giorni dei malvagi.
Ma l’infedeltà di chi è costituito in autorità, pur non essendo essa
giudicabile dai sudditi, non per questo è meno colpevole, né può
pretendere obbedienza a ordini illegittimi o immorali. Una cosa infatti è
l’effetto che essa ha sui soggetti, un’altra il giudizio circa il suo modo di agire e un’altra ancora la punizione
che essa può meritare. Così, se non sta ai sudditi mettere a morte il
Papa per eresia (nonostante la pena di morte sia considerata da san
Tommaso d’Aquino commisurata al crimine di chi corrompe la Fede),
possiamo nondimeno riconoscere un Papa come eretico, e in quanto tale
rifiutarci, caso per caso, di prestargli l’obbedienza cui altrimenti
avrebbe diritto. Non lo giudichiamo, perché non abbiamo l’autorità di
farlo; ma lo riconosciamo per quello che è, aspettando che la
Provvidenza susciti chi possa pronunciarsi definitivamente e
autorevolmente.
Ecco perché, quando Ella afferma che «non sono i sottoposti a quei malvagi che hanno l’autorità per ribellarsi e rovesciarli dal loro posto»,
occorre distinguere anzitutto che tipo di autorità sia in questione, e
in secondo luogo quale sia l’ordine impartito e quale il danno che
l’eventuale obbedienza comporterebbe. San Tommaso considera la
resistenza al tiranno e il regicidio come moralmente leciti, in certi
casi; così com’è lecita e doverosa la disobbedienza all’autorità dei
Prelati che abusano del proprio potere contro il fine intrinseco del
potere stesso.
Nella
Sua lettera, Ella identifica nella ribellione all’autorità il marchio
dell’ideologia comunista. Ma la Rivoluzione, di cui il Comunismo è
un’espressione, intende rovesciare i sovrani non in quanto eventualmente
corrotti o tirannici, ma in quanto gerarchicamente inseriti in un kosmos che è essenzialmente cattolico, e quindi antitetico al marxismo.
Se non fosse possibile opporsi ad un tiranno, avrebbero peccato i Cristeros,
che si ribellarono con le armi al dittatore massone che in Messico
perseguitava i suoi cittadini abusando della propria autorità. Avrebbero
peccato i Vandeani, i Sanfedisti, gli Insorgenti: vittime di un potere
rivoluzionario, pervertito e pervertitore, dinanzi al quale la
ribellione non solo è lecita, ma anche doverosa. Furono vittime del
potere anche i Cattolici che, nel corso della Storia, si trovarono a
doversi ribellare ai loro Prelati, ad esempio i fedeli che in
Inghilterra dovettero resistere ai loro Vescovi diventati eretici con lo
scisma anglicano, o quanti in Germania si videro costretti a rifiutare
obbedienza ai Presuli che avevano abbracciato l’eresia luterana.
L’autorità di questi Pastori diventati lupi era infatti nulla, poiché
orientata alla distruzione della Fede anziché alla sua difesa, contro il
Papato anziché in comunione con esso. Giustamente Ella aggiunge: «Allora
i poveri fedeli, di fronte ai loro pastori che si macchiano di tali
crimini, e in modo così svergognato, rimangono sbigottiti. Come posso io
seguire in nome di Gesù qualcuno che invece opera ciò che Gesù non
vuole?»
Eppure poco oltre leggo queste Sue parole: «Chi
nega la loro Autorità, in realtà nega la Autorità di chi li ha
costituiti. E chi vuole negare la Autorità di chi li ha costituiti deve
anche negare la loro autorità. Chi invece resta sottomesso alla autorità
dei ministri costituiti in autorità da Gesù, pur non rendendosi
complice dei loro errori, obbedisce alla Autorità di Gesù, che li ha
costituiti». Questa proposizione è chiaramente erronea, poiché
legando indissolubilmente l’autorità prima e originaria di Dio
all’autorità derivata e vicaria della persona, ne inferisce una sorta di
vincolo indefettibile, vincolo che invece viene meno proprio nel
momento in cui colui che esercita l’autorità in nome di Dio di fatto la
perverte, ne stravolge il fine sovvertendolo. Direi anzi che è proprio
perché si deve avere in massimo onore l’autorità di Dio che essa non può
essere disattesa con l’obbedire a chi è per sua natura sottoposto alla
medesima divina autorità. Per questo San Pietro (At 5, 29) ci esorta ad obbedire a Dio piuttosto che agli uomini:
l’autorità terrena, sia essa temporale o spirituale, è sempre
sottoposta all’autorità di Dio. Non è possibile pensare che – per una
ragione che pare quasi dettata da un burocrate – il Signore abbia voluto
lasciare la Sua Chiesa in balìa di tiranni, quasi preferendo la loro
legittimazione proceduralmente legale allo scopo per il quale Egli li ha
posti a pascere il Suo gregge.
Certo,
la soluzione della disobbedienza pare più facilmente applicabile ai
Prelati che non al Papa, dal momento che quelli possono essere giudicati
e deposti dal Papa, mentre questi non può esser deposto da alcuno in
terra. Ma se è umanamente incredibile e doloroso dover riconoscere che
un Papa possa essere malvagio, questo non consente di negare l’evidenza e
non impone di consegnarsi passivamente all’abuso del potere che egli
esercita in nome di Dio ma contro di Lui. E se nessuno vorrà assalire i
Sacri Palazzi per scacciarne l’indegno ospite, si possono altresì
esercitare forme legittime e proporzionate di vera e propria
opposizione, ivi comprese le pressioni a che si dimetta e abbandoni
l’ufficio. È proprio per difendere il Papato e la sacra Autorità che
esso riceve dal Sommo ed Eterno Sacerdote che occorre allontanarne chi
lo umilia, lo demolisce e ne abusa. Oserei dire, per completezza, che
anche la rinunzia arbitraria all’esercizio dell’autorità sacra del
Romano Pontefice rappresenta un gravissimo vulnus al Papato, e di questo dobbiamo considerare responsabile più Benedetto XVI che Bergoglio.
Ella accenna poi a ciò che il Prelato tirannico dovrebbe pensare della propria autorità: «un ministro di Dio […] dovrebbe
anzitutto negare la propria autorità di apostolo, ovvero inviato di
Gesù. Dovrebbe riconoscere di non voler seguire Gesù, e andarsene. In
tal modo il problema sarebbe risolto». Ma Ella, caro Sacerdote,
pretende che l’iniquo agisca come una persona onesta e timorata di Dio,
mentre proprio perché malvagio costui abuserà senza alcuna coerenza e
senza alcuno scrupolo di un potere che egli sa benissimo di avere
dolosamente conquistato per demolirlo. Poiché è nell’essenza stessa
della tirannide, in quanto perversione dell’autorità giusta e buona, non
solo il suo esercitarsi in modo perverso, ma anche il voler gettare
discredito e repulsione sull’autorità di cui essa è grottesca
contraffazione. Gli orrori compiuti da Bergoglio in questi anni non solo
rappresentano un indecoroso abuso dell’autorità papale, ma hanno come
immediata conseguenza lo scandalo dei buoni nei suoi confronti, perché
rende invisa e odiosa, con la parodia del Papato, anche il Papato in sé
stesso, pregiudicando irrimediabilmente l’immagine e il prestigio di cui
godeva sinora la Chiesa, pur già afflitta da decenni di ideologia
modernista.
Ella scrive: «Pertanto,
a nessuno è lecito obbedire a ordini ingiusti o malvagi, illegittimi, o
fare qualunque male col pretesto dell’obbedienza. Ma nemmeno ad alcuno è
permesso negare l’autorità del Papa perché costui la esercita in modo
malvagio, andando fuori dalla Chiesa costituita da Gesù sulla roccia
dell’Apostolo Pietro». Qui l’espressione «negare l’autorità» andrebbe distinta tra il negare che Bergoglio abbia un’autorità in quanto Papa e viceversa negare che Bergoglio, in questo specifico ordine
che imparte al fedele, abbia il diritto di essere obbedito quando
l’ordine è in conflitto con l’autorità del Papa. Nessuno obbedirebbe a
Bergoglio se costui parlasse a titolo personale o fosse un impiegato del
catasto, ma il fatto che da Papa insegni dottrine eterodosse o dia
scandalo ai semplici con affermazioni provocatorie, rende di estrema
gravità la sua colpa, perché chi lo ascolta crede di ascoltare la voce
del Buon Pastore. La responsabilità morale di chi comanda è
incommensurabilmente maggiore di quella che ha il suddito che deve
decidere se obbedirgli o meno. Di questo il Signore chiederà conto
inflessibilmente, per le conseguenze che il bene o il male compiuto dal
superiore comporta sui sottoposti, anche in termini di buono o cattivo
esempio.
A
ben vedere è proprio per difendere la Comunione gerarchica con il
Romano Pontefice che occorre disobbedirgli, denunciare i suoi errori e
chiedergli di dimettersi. E pregare Iddio che lo chiami a Sé il prima
possibile, se da questo può derivarne un bene per la Chiesa.
L’inganno,
il colossale inganno del quale ho scritto in più occasioni, consiste
nel costringere i buoni – chiamiamoli così per brevità – a rimanere
imprigionati in norme e leggi che viceversa i cattivi usano in fraudem legis.
È come se costoro avessero compreso la nostra debolezza: l’essere cioè
noi, pur con tutti i nostri difetti, religiosamente e socialmente
orientati al rispetto della legge, all’obbedienza all’autorità,
all’onorare la parola data, all’agire con onore e lealtà. Con questa
nostra debolezza virtuosa, essi si garantiscono da noi
obbedienza, sottomissione, al massimo rispettosa resistenza e prudente
disobbedienza. Sanno che noi – poveri stolti, pensano – vediamo in loro
l’autorità di Cristo e a questa facciamo in modo di obbedire anche se
sappiamo che quell’azione, ancorché moralmente irrilevante, va in una
direzione ben precisa… Così ci hanno imposto la Messa riformata; così ci
hanno abituato a sentir cantare le sure del Corano dall’ambone delle
nostre cattedrali, e a vederle trasformate in trattorie o dormitori;
così ci vogliono presentare come normale l’ammissione delle donne al
servizio dell’altare.... Ogni passo compiuto dall’Autorità, dal Concilio
in poi, è stato possibile proprio perché obbedivamo ai Sacri Pastori, e
pur sembrandoci certe loro decisioni devianti, non potevamo credere che
stessero ingannandoci; e forse essi stessi, a loro volta, non si
rendevano conto che gli ordini impartiti avessero uno scopo iniquo.
Oggi, seguendo il fil rouge che unisce l’abolizione degli Ordini
Minori all’invenzione delle accolite e delle diaconesse, comprendiamo
che chi riformò la Settimana Santa sotto Pio XII aveva già sotto gli
occhi il Novus Ordo e le sue atroci declinazioni odierne. L’abbraccio di Paolo VI con il Patriarca Atenagora suscitò in noi speranze di vera ecumène, perché non avevamo capito – come invece avevano denunciato alcuni – che quel gesto doveva preparare il pantheon di Assisi, l’osceno idolo della pachamama e, a breve, il sabba di Astana.
Nessuno di noi vuole comprendere che questa empasse
si rompe semplicemente non assecondandola: dobbiamo rifiutare di
confrontarci a duello con un avversario che detta le regole a cui solo
noi dobbiamo sottostare, lasciando se stesso libero di infrangerle.
Ignorarlo. La nostra obbedienza non ha nulla a che vedere né col
servilismo pavido, né con l’insubordinazione; al contrario, essa ci
consente di sospendere qualsiasi giudizio su chi sia o non sia Papa,
continuando a comportarci come buoni Cattolici anche se il Papa
ci deride, ci disprezza o ci scomunica. Perché il paradosso non risiede
nella disobbedienza dei buoni all’autorità del Papa, ma nell’assurdità
di dover disobbedire a una persona che è allo stesso tempo Papa ed
eresiarca, Atanasio e Ario, luce de jure e tenebra de facto.
Il paradosso è che per rimanere in Comunione con la Sede Apostolica
dobbiamo separarci da colui che dovrebbe rappresentarla, e vederci
burocraticamente scomunicati da chi è in stato oggettivo di scisma con
se stesso. Il precetto evangelico di «Non giudicare» non deve intendersi
nel senso di astenersi dalla formulazione di un giudizio morale, ma
dalla condanna della persona, altrimenti saremmo incapaci di porre atti
morali. Certo non sta al singolo separare il grano dalla zizzania, ma
nessuno deve chiamare zizzania il grano, né grano la zizzania. E chi è
insignito dell’Ordine Sacro, tanto più se nella pienezza del Sacerdozio,
ha non solo il diritto, ma il dovere di additare i seminatori di
zizzania, i lupi rapaci e i falsi profeti. Poiché anche in quel caso vi
è, assieme alla partecipazione al Sacerdozio di Cristo, anche la
partecipazione alla Sua regale Autorità.
Quello
di cui non ci accorgiamo, tanto in ambito politico e sociale quanto in
ambito ecclesiastico, è che la nostra accettazione iniziale di un
presunto diritto del nostro avversario a compiere il male, basata su un
erroneo concetto di libertà (morale, dottrinale, religiosa), ora si sta
mutando in una forzata tolleranza del bene mentre il peccato e il vizio
sono diventati la norma. Quello che ieri era ammesso come nostro gesto
di indulgenza oggi pretende piena legittimità, e ci confina ai margini
della società come minoranza in via di estinzione. A breve,
coerentemente con l’ideologia anticristica che sovrintende a questo
inesorabile mutamento di valori e principi, verrà proibita la virtù e
condannato chi la pratica, in nome di un’intolleranza verso il Bene
additato come divisivo, integralista, fanatico. La nostra tolleranza
verso chi, oggi, si fa promotore delle istanze del Nuovo Ordine Mondiale
e della sua assimilazione nel corpo ecclesiale condurrà infallibilmente
all’instaurazione del regno dell’Anticristo, in cui i Cattolici fedeli
saranno perseguitati come nemici pubblici, esattamente come in epoche
cristiane erano considerati nemici pubblici gli eretici. Insomma, il
nemico ha copiato, capovolgendolo e pervertendolo, il sistema di
protezione della società realizzato dalla Chiesa nelle nazioni
cattoliche.
Credo,
caro reverendo, che le Sue osservazioni sulla crisi dell’autorità
saranno presto da integrare, almeno a giudicare dalla velocità con cui
Bergoglio e la sua corte assestano i loro colpi alla Chiesa. Da parte
mia, prego che il Signore faccia venire alla luce la verità sinora
nascosta, consentendoci di riconoscere il Vicario di Cristo in terra non
tanto per la veste che indossa, quanto per le parole che escono dalla
sua bocca e per l’esempio delle sue opere.
Riceva la mia Benedizione, mentre con fiducia mi affido alla Sua preghiera.
+ Carlo Maria, Arcivescovo
31 Gennaio 2021
Dominica in Septuagesima