IL DECLINO DELL'OCCIDENTE
26 novembre 2024

QUEL PATTO CON MOSCA VIOLATO DA KIEV. TERRE IN DONO, IN CAMBIO DI NEUTRALITÀ
FACCIAMO IL PUNTO SULL’UCRAINA


La Verità è stato l’unico che fin dal primo giorno d’inizio dell’Operazione militare speciale di Mosca del 24 febbraio 2022 ha auspicato la conclusione del conflitto attraverso un compromesso con Mosca, invitando tutti gli attori a tenere in considerazione le istanze di tutti i contendenti. Per il beneficio del lettore, giova forse fare il punto della situazione e metter tutte insieme le ragioni del punto di vista da noi adottato. Il tutto si centra su neutralità e de-nazificazione dell’Ucraina.


L’Ucraina diveniva Stato indipendente, per la prima volta nella Storia, nel 1917, come Repubblica Popolare. Durò poco, perché nel 1922 diventava Repubblica socialista sovietica, aderendo all’Urss entrandovi con un piccolo territorio nel cuore degli attuali confini (e che non comprendeva neanche Kiev). Nel momento in cui vi entrava, Lenin ne allargava i territori di giurisdizione aggiungendovi territori che appartenevano alla Repubblica Socialista Sovietica di Russia. In particolare, vi aggiungeva territori a nord (comprendenti Kiev) che la Russia aveva acquistato con denaro sonante dalla Polonia (trattato di Andrusovo del 1667), e territori a sud-est e a sud (che Caterina II di Russia aveva riconquistato all’impero Ottomano). Poi, nel 1954, la Russia le faceva dono della Crimea. Per farla breve, quando, dopo la caduta del muro di Berlino, l’Urss si scioglieva, l’Ucraina ne usciva con territori doppi di quelli che aveva quando vi era entrata nel 1922. Come mai?


Perché si scelse di imboccare un’altra strada: l’Ucraina sarebbe rimasta coi territori donatile dalla Russia ai tempi sovietici ma, in cambio, avrebbe garantito la propria neutralità militare. Più precisamente, nella Dichiarazione di Sovranità del 16.07.1990 il costituendo Stato d’Ucraina prometteva «solennemente» due cose (articolo IX, ultimo comma della Dichiarazione): 1) la neutralità militare e 2) il proprio status denuclearizzato.


E quando il referendum del 1991 sancì definitivamente la nascita della Repubblica d’Ucraina, pochi giorni dopo la Russia fu la prima al mondo a riconoscerne la sovranità, l’indipendenza e l’intangibilità territoriale. E ribadì la cosa nel 1994, col Memorandum di Budapest, quando l’Ucraina dava seguito alla seconda promessa e smantellava l’arsenale nucleare lì allocato. E nel 1996, al momento della stesura della Costituzione ucraina, in essa si ribadiva la prima promessa.


Purtroppo, il governo Ucraino del 2019 emendava la Costituzione: nel Preambolo e negli articoli 102 e 116, la Costituzione emendata tradiva la «solenne» promessa del 16.07.1990, dichiarando invece che l’Ucraina avrebbe perseguito il proposito di aderire alla Nato. Questa circostanza è considerata «inaccettabile» dalla Russia, la quale vede minacciata la propria sicurezza, minaccia conseguente alla possibilità di basi militari Nato allocati ai propri confini. 


È, quella della Russia, una paranoia? Per rispondere, basti notare che la Russia, nel passato, ha già subito minacce: ai tempi di Napoleone e ai tempi di Hitler. Inoltre, simile paranoia l’ebbe John F. Kennedy nel 1962, ai tempi della nota crisi di Cuba. In ogni caso, paranoia o no, in cambio di ampi territori rimane la «solenne» promessa del 16.07.1990: essa vale o no?


C’è da aggiungere che nel giugno 1997 si svolgeva a Washington una Conferenza della Nato Americana, dal titolo inquietante: «Espansione della NATO». Il titolo era inquietante perché nel 1989, quando le due Germanie si riunivano, con la nuova unica Germania membro della Nato, questa aveva espresso il preciso impegno di non espandersi ulteriormente verso Est. Fu, quella, una promessa verbale e non formale. Comunque sia, alla Conferenza del giugno 1997, l’allora Senatore del Delaware, Joe Biden faceva un lungo – oltre un’ora – intervento durante il quale profferiva queste parole: «Penso che l'ammissione dei Paesi Baltici nella Nato creerebbe grande costernazione e potrebbe provocare una reazione vigorosa e ostile da parte della Russia». Come sappiamo, nel 1999 Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria aderivano alla Nato, e negli anni successivi vi avrebbero aderito tutti gli altri Stati dell’Est-Europa fino, appunto, a quelli del Baltico. Un’azione premeditata, quindi, almeno dal 1997. 


Altre cose accadevano negli anni del nuovo millennio. Dobbiamo premettere che in Ucraina convivono due fazioni, se così si può dire, ciascuna con precisa collocazione geografica, linguistica e politica: nella parte occidentale gli ucraini di madrelingua ucraina e sentimenti anti-russi; nella parte orientale gli ucraini di madrelingua russa e sentimenti filo-russi. Le due fazioni, grosso modo, si equivalgono numericamente. Per esempio, alle elezioni del 2004 prevalse la parte filo-russa. Senonché le proteste cosiddette “Arancione” denunciarono brogli alle elezioni che, una volta ripetute, portarono alla vittoria la fazione anti-russa col 52% dei consensi. E alle nuove elezioni del 2010 la fazione anti-russa otteneva meno del 46% dei voti (e diventava presidente il pro-russo Viktor Yanukovich). 


Non sembrava possibile, stavolta, invocare il dubbio di brogli, ma nel 2013 si coglieva un altro pretesto per provocare proteste: il fatto che Yanukovich frenava sulla stipula di certi accordi commerciali con la Ue. La decisione di Yanukovich era legittima, visto che egli legittimamente governava. Naturalmente anche le manifestazioni erano legittime, ma nel Febbraio 2014 degeneravano in proteste violente e in colpo di Stato. Questo era totalmente ingiustificato, tanto più che l’anno successivo ci sarebbero state nuove elezioni e la questione si sarebbe potuta risolvere all’interno della dinamica di una democratica e pacifica competizione elettorale. Sulle violenze, una quasi decennale indagine del tribunale di Kiev, con verdetto dell’ottobre 2023 scagionava completamente Yanukovich e attribuiva le violenze alle ingerenze di elementi “esterni”. Infatti, le proteste – sia nel 2004 che nel 2013-14 – erano incoraggiate da ingerenze americane, interessate a mantenere l’Ucraina lontano dalla sfera di Mosca. L’ingerenza americana è indubbia: l’Assistente Segretaria di Stato americana agli affari Euro-asiatici, Victoria Nuland, in conferenza-stampa del 13.12.2013 dichiarava che «gli Stati Uniti avevano investito 5 miliardi di dollari per aiutare l’Ucraina a centrare l’obiettivo» di sganciarsi dalla sfera russa. 


Senonché, gli elementi locali anti-russi cui gli Usa si erano appoggiati per centrare quell’obiettivo, erano anche elementi neo-nazisti. La cosa ha le sue tracce ai tempi quando Hitler si proponeva di invadere la Russia: per farlo doveva passare per l’Ucraina, e lì si appoggiava ad elementi locali antirussi i quali, per l’occasione, si alleavano coi nazisti tedeschi e ad Hitler giuravano fedeltà. Peraltro essi, prefigurando uno Stato ucraino etnicamente puro, in particolare non contaminato né da russi né da ebrei (così come Hitler prefigurava una Germania etnicamente pura), furono responsabili di quel che è passato alla Storia come Olocausto ucraino. Figura preminente tra costoro era tale Stepan Bandera. Gli elementi locali anti-russi coi quali gli Stati Uniti facevano alleanza in Ucraina nel 2004, prima, e nel 2014, poi, erano – e sono – gli eredi dei seguaci di Bandera. Una piccola minoranza di neo-nazisti che, però, andavano ad occupare importanti posizioni di potere. Tant’è che nel 2010 proclamavano Bandera eroe nazionale, intitolandogli il nome di vie e piazze ed erigendo statue in suo onore (tuttora esistenti nel Paese), e hanno promulgato leggi di vera e propria pulizia etnica nei confronti dei propri concittadini russofoni che, come già detto, nel Paese sono tutt’altro che una minoranza. Una per tutte: la legge del 25.04.2019 che bandisce i russofoni dalla vita pubblica del Paese, una legge pensata per attuare lo sciagurato articolo 10 della Costituzione ucraina che stabilisce l’ucraino come unica lingua di Stato, in un Paese dove quasi la metà degli abitanti è russofona.


Costoro, preminenti in Crimea e nel Donbass, privati del presidente che nel 2010 avevano democraticamente eletto e consideratisi in pericolo dal colpo di Stato del 2014, decidevano di separarsi e proclamarsi indipendenti dal governo centrale. Lo faceva la Crimea che, con referendum sostenuto da oltre il 90% dei votanti, aderiva alla Federazione Russa; e lo facevano Donetsk e Lugansk, che con simile referendum si dichiaravano indipendenti.


Di tutta risposta, il governo centrale, col Decreto presidenziale n.875 del 14.11.2014 tagliava ogni versamento (stipendi, pensioni, sussidi sociali, servizi pubblici) agli abitanti del Donbass e inviava le forze armate a bombardare la regione. Iniziava così una guerra civile, con atrocità perpetrate dal governo centrale e da milizie neo-naziste avvezze al saluto nazista e con la svastica nella loro bandiera, contro i propri stessi concittadini, e senza successo attenzionate al resto del mondo con interrogazioni e allarmi lanciati anche da Amnesty International. 


Per farla breve, l’intervento americano in Ucraina, teso a fare di essa una democrazia occidentale, trasformava invece il Paese in un regime neo-nazista e russofobico


Il presidente Zelensky, eletto nel 2019 a larga maggioranza grazie alla promessa che avrebbe interrotto la guerra civile nel Donbass e concesso alle regioni russofone larghe autonomie, non manteneva la promessa. Anzi, il 17.02.22 avviava una nuova operazione militare contro il Donbass, e il 24 febbraio Mosca avviava la propria Operazione Militare Speciale. Il resto è cronaca. 


Sarebbe auspicabile che questo conflitto, che ha finora portato morte e distruzione, si concluda e che:

  1. L’Ucraina ribadisca la promessa del 16 Luglio 1990 di restare neutrale;

  2. Alle regioni russofone attualmente sotto il controllo di Mosca sia garantita la libera scelta di essere indipendenti o confederati nella Russia;

  3. In Ucraina sia garantito pari trattamento ai cittadini di tutte le etnie, senza discriminazioni di sorta. Per esempio, sia abolito quel periglioso articolo 10 della sua Costituzione, oltre che, naturalmente, tutte le leggi discriminatorie successive al 2004.


Torni quindi l’Ucraina a essere quel Paese – neutrale, pacifico, democratico – che nel 1990 si auspicava sarebbe stato, quando si avviava a diventare indipendente.


Franco Battaglia


Articolo pubblicato sul quotidiano LA VERITÀ il 26 novembre 2024








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