Ambientalismo
30 ottobre 2024

È DAL 1955 CHE L'EMILIA ROMAGNA NECESSITA DI INTERVENTI STRUTTURALI PER LA GESTIONE IDRICA

ELEZIONI E ALLUVIONI


Si comporta da gran signora Giorgia Meloni quando dice – come ha detto nella intervista rilasciata al Direttore Tommaso Cerno in occasione del compleanno del Tempo – che non mescolerebbe «il tema dell’alluvione in Emilia Romagna col tema elettorale, lì, delle vicine elezioni regionali»; e ha sicuramente ragione, oltre che alto senso di responsabilità e comprensione delle cose, quando dice che per affrontare certi importanti problemi strutturali è necessario che li si affronti insieme, cercando di superare le divergenze politiche. A mio parere è quel che vale anche per il Ponte sullo Stretto o per il riavvio del nucleare: son cose che si fanno senza che nessuna parte cerchi di arrogarsene il merito, perché si rischia che non si facciano mai.


Tuttavia, una precisazione al signorile comportamento va fatta: trattasi del tema non «dell’alluvione», ma «delle alluvioni», al plurale. Ed è su questo plurale che è d’obbligo richiamare alcune precise responsabilità di chi ha curato – e per decenni – gli affari della regione Emilia-Romagna. Lasciamo perdere noi che, su base esclusivamente empirica, avvertiamo da oltre vent’anni che se c’è un problema ambientale da affrontare nel nostro Paese è quello idrogeologico, un problema mai sollevato dai detentori d’ufficio della protezione ambientale, che invece ne hanno sollevato altri, tutti inesistenti: dall’inquinamento elettromagnetico a quello delle polveri sottili, dall’uso degli ogm in agricoltura all’incenerimento dei rifiuti solidi urbani, dalla plastica al carbone. Lasciamo perdere noi e le nostre evidenze empiriche, dicevo, e diamo voce, proprio a proposito della esondazione del torrente Ravone, a chi con scienza accurata e studiata, avvertiva del problema già 11 anni fa e, ancora prima, 69 anni fa. 


Parlo di Francesco Carullo che nel suo lavoro «Le colline bolognesi e la loro sistemazione idraulico-agrario-forestale» del 1955 scriveva: «Abbiamo di proposito voluto soffermarci sul complicato e delicato andamento dei corsi d’acqua, particolarmente del Ravone e dell’Aposa, per concludere che, nel malaugurato caso di precipitazioni violente e prolungate, il nubifragio colpirebbe proprio alle spalle tutto l’abitato di Bologna, con conseguenze che oggi non si possono calcolare, ma che altre esperienze possono farci purtroppo prevedere. Da qui, dunque, la necessità di provvedere alla sistemazione idraulico-agraria-forestale della pendice dei colli di Bologna».


E parlo di cinque bravi studiosi – F. Grazzini, F. Dottori, M. Di Lorenzo, A. Spisni e F. Tomei – che nel loro lavoro del 2013, «Nubifragi e rischio idraulico nella collina bolognese», ove studiano, come modello, il caso del torrente Ravone, scrivevano parole tanto inequivocabili quanto, di tutta evidenza, disperse al vento negli anni. Ve ne faccio un resoconto con parole mie, cercando di essere il più possibile fedele a quelle degli studiosi nominati.


Essi indagano il tema del rischio idraulico derivante dalla presenza di corsi d’acqua minori in zone fortemente antropizzate, con particolare riferimento a Bologna. Attraverso l’indagine storica nel corso dei precedenti 110 anni, cercano di prevedere la potenziale risposta del bacino del Ravone, scelto come bacino campione, a piogge di eccezionale entità ma pur sempre possibili e già verificatesi in passato e, in particolare, se la configurazione dell'alveo sia in grado di smaltire il deflusso proveniente da intense piogge. 


Quanto all’analisi storica, osservano che Bologna è ricca di cronache riportanti danni e alluvioni dovute alle improvvise piene del Ravone e di altri rii minori. Essi rammentano i devastanti nubifragi estivi del 1896 e del 1932. Quest’ultimo risulta l’evento più intenso mai accaduto in Bologna dall’inizio delle registrazioni: le cronache del tempo parlano di “uragano”. L’acqua impetuosa del Ravone, mista a tronchi e fango, ruppe i portoni di alcune case che si affacciavano sul torrente, sorprendendo le famiglie nel sonno. Molti trovarono rifugio ai primi piani e le case furono invase da circa 1 metro d’acqua. 


I versanti del bacino del Ravone, ripidi e boscosi nel tratto centrale e in prossimità del punto di tombatura (cioè il punto ove il torrente è artificialmente coperto per consentire lo sviluppo di infrastrutture urbane) – mettevano nero su bianco i ricercatori nell’ottobre 2013 – presentano una elevata predisposizione al dissesto idrogeologico, col 20% del bacino interessato da frane, di cui 46 attive e 25 quiescenti. Con le abbondantissime precipitazioni della primavera 2013, si sono registrati movimenti franosi di vaste proporzioni che hanno determinato l’ostruzione della tombatura di un piccolo affluente di destra del Ravone. In questo contesto di accentuata fragilità idrogeologica, è naturale chiedersi quali potrebbero essere le conseguenze di un evento di pioggia straordinario, e in particolare cosa accadrebbe se si ripetessero al giorno d’oggi nubifragi come quelli già accaduti in passato. Tanto più che il trentennio 1970-2000 ha visto l’attività agricola praticamente sparire lasciando il posto ad una rinaturalizzazione non controllata, dal punto di vista idrogeologico, con una cronica mancanza di una adeguata regimazione delle acque. 


Concludono i ricercatori osservando che nella valle del Ravone, gli importanti movimenti franosi occorsi, suggeriscono la necessità di urgenti interventi di regimazione delle acque superficiali onde evitare il distacco di altre zone a forte pendenza, con colate di fango che potrebbero raggiungere l’alveo principale del torrente. 


Per farla breve, la preoccupazione espressa da Carullo nel 1955 diventava ancora più attuale nel 2013. Non c’è oggi alcunché di nuovo sotto il sole, essendo tutto già occorso nel passato (e anche con forza maggiore, a testimonianza, dico io, che non v’è oggi alcuna emergenza climatica diversa da quella del passato). Gli autori della ricerca qui sommariamente riportata auspicavano nel 2013 che fossero realizzati i necessari interventi di manutenzione, visto che i rii e torrenti che convergono verso l’area urbana di Bologna, sono portatori di un potenziale rischio idraulico che non deve essere sottovalutato. 


E qui veniamo a Stefano Bonaccini, politico navigato nella Regione, ora promosso in Europa, e a Elly Schlein, ora promossa in Parlamento. Il primo affidava alla seconda l’incarico di occuparsi di clima e di sostenibilità ambientale. Ora, io non ho ancora capito il significato della parola – pur ripetuta da tutti a pappagallo – “sostenibilità”, però se andiamo a vedere cosa la ora segretaria del Pd fece per ottemperare l’incarico affidatole di affrontare i rischi del clima, ecco qua: ha promosso la riduzione delle emissioni di CO2, ha incentivato il trasporto a basse emissioni (piste ciclabili, in particolare) e la transizione energetica (comunità energetiche e fotovoltaico, in particolare), ha promosso la riduzione dell’uso della plastica e ha avviato campagne pubblicitarie di quanto appena detto nelle scuole, per sensibilizzare i “ggiovani”. E delle misure suggerite dagli autori delle ricerche da noi qui riferite? A quanto mi risulta (e se ci corregge ne saremo felici): zero. Giorgia Meloni non intende mescolare alluvione ed elezioni. Avrà sicuramente ragione lei, che è politico navigato. Noi qui siamo solo semplici cittadini, cui è chiesto il compito di premiare o bocciare una amministrazione che, proprio perché pluridecennale, avrebbe avuto tutto il tempo di fare le cose che avrebbe dovuto e potuto fare. E che invece non ha fatto.  


Franco Battaglia




Articolo pubblicato sul quotidiano LA VERITÀ il 30 ottobre 2024







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