Ambientalismo
25 settembre 2024

IL FOTOVOLTAICO È UN GRANDE ABBAGLIO

di Franco Battaglia


Qualche lettore mi chiede come mai, con tanto denaro sprecato in mille altre pleonastiche attività, prendo di mira sempre il fotovoltaico come esempio spreco che avrebbe potuto evitarsi con la messa in sicurezza dei corsi d’acqua della penisola. Pensavo che la cosa fosse chiara dal contesto ma evidentemente così non è. Il punto cruciale è che la ragione addotta dalle politiche del Green new deal di Ursula von der Leyen – che per l’Italia significa essenzialmente fotovoltaico e comunità energetiche e, queste ultime, significano, ancora una volta, fotovoltaico – è quella di contrastare gli eventi meteorologici severi che, se ci sono – vuole la narrazione, è per colpa dell’uso dei combustibili fossili. Ridotti questi, sparirebbero gli eventi meteo severi e tutti saremmo contenti. Riassumendo, abbiamo sicuramente un problema da risolvere: ridurre i rischi di frane, alluvioni e siccità, e lo stiamo affrontando con provvedimenti che non riducono quel rischio di uno iota. Così facendo, siccome il denaro non è infinito, quello che si sceglie di allocare sul problema finisce su provvedimenti farlocchi e non rimane poi un centesimo per provvedimenti che invece il problema lo affrontano e lo risolvono egregiamente. I numeri esemplificativi mi pare di averli già citati e, nel caso Elly Schlein non ci avesse letto, glieli rammentiamo: nella regione ove ella era responsabile dei problemi in parola, sono installati 3 gigawatt di fotovoltaico, che hanno richiesto uno sforzo economico di 7 miliardi; la regione, negli stessi dieci anni in cui lavorava alacremente per quegli impianti, per la messa in sicurezza delle acque ha impegnato appena mezzo miliardo, che è meno di un decimo del denaro necessario per risolvere un annoso (nel senso di plurisecolare) problema romagnolo che invece viene spacciato come problema di questi anni.


Un altro lettore mi chiede cosa penso, allora, della recente esondazione del Danubio in quel di Budapest (ove però, grazie ai sistemi di protezione, non ci sono state vittime). Un altro ancora, che si trova a San Pietroburgo ma che riesce lo stesso a leggerci perché è abbonato, s’è presa addirittura la briga di inviarmi un filmato con l’acqua del fiume Neva un po’ più alta del solito. Ora, non è che io segua i corsi dei fiumi del mondo, ma posso solo dire che il Danubio straripò anche nel 1838, quando, in assenza dei sistemi di protezione, devastò Budapest e causò centinaia di morti. Invece nel 1777, e poi nel 1824, il fiume Neva si elevò di 4 metri, devastando la città (nel 1824 si stima, 10.000 vittime). Altre inondazioni si susseguirono in anni successivi (1924 e 1955), e ci volle Vladimir Putin – diamo a Cesare quel che è di Cesare – ordinò la realizzazione non di impianti fotovoltaici, ma una diga lunga 25 km, una grande opera ingegneristica completata nel 2011 e che ora protegge una città che nel corso dei secoli era stata colpita da 300 esondazioni del fiume che la attraversa.


Un altro ancora mi chiede cosa penso del progetto di alcuni che vorrebbero assicurarsi contro questi eventi e di coloro che vorrebbero rendere codesta assicurazione obbligatoria per legge. Sui primi posso solo consigliare di contattare la loro preferita compagnia d’assicurazione. Quanto ai secondi, direi che la cosa è non solo improponibile, ma stupida assai. Certo, i cittadini si troverebbero questo balzello in più, ma non mi sembra tanto questo il punto, anche perché per la maggior parte di noi è piccola la probabilità che si venga colpiti da frane o alluvioni, e il premio sarebbe molto basso (gli esposti a maggior rischio, naturalmente, avrebbero un premio più alto). Il fatto è che, pur bassa la probabilità dell’evento, se esso accade è devastante. Supponiamo un attimo che fossero stati assicurati i romagnoli danneggiati dall’alluvione del 2023, che causò danni dell’ordine di 10 miliardi o poco meno. Ma è dell’ordine di 2 miliardi il capitale sociale delle più grandi assicurazioni. Queste, allora, farebbero bancarotta, non potrebbero risarcire i danni e, allo scopo, dovrebbe intervenire, comunque, lo Stato. 


Insomma, per queste cose l’unico in grado di risarcire il danno, il più ricco di tutti, è lo Stato: il capitale sociale delle società d’assicurazione è una briciola a confronto, per esempio, dei circa 200 miliardi della nostra riserva aurea.


Ma anziché adagiarsi alla condizione di dispensatore di risarcimenti di danni, lo Stato ha un potere maggiore: prevenirli. A occhio e croce può stimarsi in 50 miliardi l’impegno economico necessario per mettere ordine nei flussi d’acque di cui il nostro territorio è ricco (con un po’ di pazienza si possono ottenere stime più precise; ma l’ordine di grandezza, quello è). Si consideri quindi la cosa come una enorme grande opera che dovrà impegnare gli ingegneri idraulici e i geologi del Paese per tre o quattro lustri. Dove prendere ‘sto denaro? Ma dalla lotta al clima, naturalmente! Cioè dalla transizione energetica e dal Green new deal. Ursula non ce lo dà se non lo spendiamo come dice lei? Che se lo tenga. Oppure, le si risponda con le parole che già usò Margaret Thatcher: we want our money back!


Articolo pubblicato sul quotidiano LA VERITÀ il 25 settembre 2024








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