IL DECLINO DELL'OCCIDENTE
28 agosto 2024

YOUTUBE HA DECISO DI CENSURARMI MA NON SA DIRE PERCHÉ, scrive Franco Battaglia

YOUTUBE, FACEBOOK AND ALL THAT


«Hi Franco Battaglia, we have found severe violations of our spam policy and have removed your channel from Youtube». Questo il laconico messaggio che ricevo nella mia casella di email. Ero stato invitato ad un dibattito sul clima che l’organizzatore del dibattito avrebbe inserito nel proprio canale Yt, a disposizione di tutti, e tutti avrebbero potuto poi aggiungere commenti. Qualcuno dei quali era in forma di domanda a me che, non foss’altro per cortesia, decidevo di rispondere e, per farlo, ho dovuto iscrivermi alla piattaforma. Che pochi giorni dopo mi ha bannato.


Assieme alla laconica comunicazione, Yt mi rammenta che: «è nostro compito assicurarci che Yt sia un posto sicuro per tutti, e se rimuoviamo un canale intendiamo proteggere gli altri utenti». Ora, cosa possa mai aver scritto da addirittura attentare alla sicurezza degli altri utenti? O di chicchessia, posto che non ho usato il canale per organizzare sommosse o cose del genere. Sono certo di essere stato educato e garbato e di non aver usato alcun linguaggio sconveniente. Il dibattito è visibile (basta digitare, come parole-chiave, i cognomi mio e del mio interlocutore (Visioni). 


I signori di Yt aggiungevano pure: «se ritieni che abbiamo sbagliato a rimuoverti puoi presentare ricorso, cliccando “qui”». Io clicco, e compilo il modulo chiedendo che Yt dica le mie colpe, visto che io le ignoro. Siccome ho frequentato scuole cattoliche e ho una certa pratica col sacramento della confessione, nel modulo mi ero anche detto pronto a: 1) dichiararmi sinceramente dispiaciuto del peccato commesso qualunque esso sia (contrizione), 2) promettere di non ripeterlo (proposito di emendarmi), 3) a pagare una multa (penitenza) e 4) a chiedere il perdono (assoluzione), che se Dio mi ha dato per altri peccati commessi, sicuramente, aggiungevo, Yt non mi negherà. Invece niente: Yt non ha perdonato e neanche ha risposto al ricorso che esso stesso mi aveva offerto. So solo di essere stato definitivamente bannato. 


Questo lungo racconto è stato abbastanza noioso, e me ne scuso. Ma è da quel che si apprende da esso che viene il bello. 

  1. Innanzitutto, vorrei dissentire dalla leggenda metropolitana secondo cui siccome queste piattaforme sono private, avrebbero esse tutto il diritto di formulare le proprie regole e bannarti a piacimento. Un dissenso, il mio, che non è un’opinione ma l’applicazione di una pratica in vigore nell’ordinamento della nostra società democratica. Ove, se apro una pizzeria o avvio una compagnia di taxi – entrambi esempi di privatissime attività – la legge mi vieta di apporre all’ingresso del locale o sul parabrezza dei miei taxi un cartello con su scritto, che so: «i negri non entrano». Pur attività “private”, esse svolgono un servizio pubblico, e questo vale anche per Yt, Fb, etc. 


  1. È evidente che non c’era alcun essere umano dietro la vicenda perché, ci fosse stato, m’avrebbe detto la natura dei miei peccati, non foss’altro che per tagliar corto. Il processo è governato da una qualche sedicente “intelligenza”, ancorché artificiale. La IA ha i suoi pregi; esattamente come li ha un calcolatore che in pochi secondi risolve un’equazione che a esseri umani richiederebbe mesi di lavoro e, cionondimeno, la natura resta intelligente per l’uomo e stupida per il calcolatore. Insomma la IA, a dispetto del nome, è una cosa stupida, anche se fa meraviglie finché le si chiedono informazioni. E qui casca l’asino: meravigliosa con le informazioni, la IA è pessima con le opinioni e, peggio mi sento, con le decisioni: non bisogna commettere l’errore di chiederle pareri o, peggio, di decidere essa per noi. Per esempio, una IA mal programmata avrebbe potuto bannare questo articolo per il solo fatto che io ho usato la parola “negri”. Essa, in conseguenza di una correttezza politica che è velleitaria – e, in questo caso, anche carente nelle lingue sia italiana che inglese (che è da dove origina il ripudio della parola, innocua in italiano, mentre la parola inglese a essa assonante è dichiaratamente offensiva) – è immeritatamente evocativa di razzismo, captato dalla IA, anche se nessun essere umano, a rileggere quanto sopra scritto, si sognerebbe di censurarmi.


  1. Ma la IA usata dalla piattaforma credo sia più evoluta e non censurerebbe né questo articolo né censurò, di suo, i miei interventi. Credo invece che ci sia stata una “segnalazione-denuncia” da qualcuno della cricca dei climatologi di cui scrivevo in un precedente articolo. I quali, pur di evitare che io rispondessi alle obiezioni dei commentatori, ha pensato bene di denunciarmi quale possibile attentatore alla sicurezza degli utenti di Yt. La cui IA, però, incapace com’è, come detto, di prendere decisioni puntuali, taglia corto e banna. L’incapacità è indubbia, visto che non ha saputo dirmi ove esattamente avrei trasgredito. Il che è decisamente sgradevole visto che Yt – che per essere seguito non accetta che si mettano blocchi alla pubblicità – sta lucrando sugli utenti che ascoltano il dibattito o conferenze ove io sono protagonista, ma ove io non posso intervenire per rispondere ad eventuali obiezioni, lasciando così l’impressione, mio malgrado, di non saper rispondere. Insomma, Yt mi sta danneggiando impedendomi di intervenire ma sta incassando i proventi di chi mi ascolta. 


Forse i governi sedicenti democratici dovrebbero prendere provvedimenti al fine di garantire la libertà d’espressione di tutti in piattaforme che, pur private, stanno di fatto svolgendo un servizio pubblico. A costoro, allora, a mio parere, si deve richiedere solo di vigilare sulle eventuali trasgressioni di leggi dello Stato senza inventarsene di nuove. O, se esse vogliono che i loro utenti seguano regole aggiuntive, queste devono essere chiare e specifiche. Attualmente, le linee-guida di Yt sono del tipo: «vietato il linguaggio scurrile, razzista, offensivo, etc.». Molto giuste, ma vaghe e dalla interpretazione equivoca. Insomma auspicherei un organo di vigilanza dello Stato affinché codeste piattaforme – pena multe – garantiscano la libertà di parola che vige nella nostra società sedicente democratica, libertà che deve essere superiore alle regole che la piattaforma, in quanto servizio pubblico, si voglia dare.


Ho usato varie forme dubitative perché mentre finora ho addebitato alle piattaforme ogni responsabilità di eventuale attacco alla libertà d’espressione e ho auspicato l’intervento dei governi per evitare quell’attacco, nella nostra Ue sembra che stia accadendo il contrario. Il Digital Services Act (Dsa) della Ue, approvato nel 2022 ed entrato in vigore nel febbraio di quest’anno, è invece la legge “di Stato” che limita la nostra libertà di espressione e le piattaforme, per non essere multate (o affinché i loro responsabili non siano incarcerati) sono costretti ad adeguarsi. Clima, gestione della pandemia, questione ucraino-russa sono solo esempi che fanno somigliare la nostra Unione europea a quella sovietica d’altri tempi. 


Franco Battaglia











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