Ambientalismo
24 agosto 2024

LA BUFALA DEL RISCALDAMENTO GLOBALE CON IL GRAFICO TRUCCATO DI NATURE

CLIMATOLOGIA 2


Recentemente siamo stati tutti allarmati da ogni organo d’informazione che l’estate del 2023 sarebbe stata la più calda «di sempre». La “notizia” è l’iperbole di un articolo pubblicato su Nature, che mi è stato segnalato in un recente dibattito (che, se lo cercate, lo trovate su Youtube) occorso tra me e Daniele Visioni, un giovane e inesperto scienziato, quale prova inconfutabile della correttezza dell’origine antropica del riscaldamento globale. L’ho detto “inesperto” perché l’inconfutabilità della prova, dice il buon Daniele, è conseguenza del prestigio della rivista ove l’articolo è pubblicato. Ma il metodo scientifico non funziona così: in particolare, il metodo rifiuta qualunque autorità (in questo caso della rivista; ma anche di scienziati), e non si può dire che una cosa è vera perché è pubblicata su una rivista prestigiosa (o perché è affermata da uno scienziato autorevole).


Nature è certamente una rivista prestigiosa ma, a mio parere, l’articolo è sbagliato e, fossi stato io il referee, avrei suggerito la non pubblicazione. Prima di vedere perché, devo ribadire che l’accettazione o il rigetto per la pubblicazione di un articolo non dà alcuna garanzia di correttezza (men che meno di rilevanza scientifica) di esso e, parimenti, anche un articolo con risultati corretti e pregevolissimi potrebbe ben esser rigettato. Questo perché i referee non possono certamente ripetere gli esperimenti o i calcoli dell’autore dell’articolo: la cosa equivarrebbe a interrompere la propria ordinaria attività. Ogni referee ha il proprio approccio per svolgere il compito richiestogli dall’editore. Personalmente, in oltre quarant’anni di attività avrò “referato” oltre cento articoli, e il mio approccio è sempre stato il seguente. Innanzitutto, assumo sùbito che l’articolo che mi si sottopone sia meritevole di pubblicazione – cioè ripongo ogni fiducia che gli esperimenti e i calcoli siano stati eseguiti in modo corretto. Quindi, procedo alla lettura dell’articolo facendo attenzione che non vi siano contraddizioni interne, premesse o conclusioni ingiustificate, o evidenti fallacie. Se le trovo e ritengo che possano essere corrette senza inficiare l’intero articolo, suggerisco la pubblicazione a condizione che si apportino le correzioni. Se invece è l’intero articolo ad essere inficiato, ne suggerisco il rigetto. Nel complesso avrò rigettato il 5% degli articoli propostimi.


L’articolo in parola sostiene – e questo è anche il titolo – che «il caldo dell’estate 2023 non ha avuto precedenti negli ultimi 2000 anni». Il principale risultato (che Visioni esibiva, acriticamente, come oro colato), è il grafico in figura, ove sarebbe rappresentata la variabilità climatica degli ultimi 2000 anni. 



Figura. Variabilità climatica degli ultimi 2000 anni (lo zero è posto al valor medio della temperatura globale degli anni 1850-1900). Fonte: J. Esper, M. Torbenson, U. Büntgen, Nature 631, p. 8019 (2024).


Che dire? Innanzitutto che, ammesso e non concesso che il grafico sia corretto, esso non rivela alcuna differenza tra gli ultimi 2000 anni e quelli successivi al 1850 (a parte il fatto che questi sono evidenziati in rosso). Ma il grafico sembra sbagliato per varie ragioni:

  1. Scrivono gli Autori: «Dimostriamo che l’estate 2023 è stata 2.07 gradi più calda dalla temperatura media misurata negli anni 1850-1900». Ma questa affermazione, che assume una precisione al centesimo di grado, è ingiustificata perché la precisione più alta dei termometri degli anni 1850-1900 era del decimo di grado (ed era addirittura di ±0.2 gradi quella dei termometri tipicamente usati in meteorologia). Non è possibile assegnare alle misure una precisione maggiore di quella degli strumenti usati.

  2. Per tutti gli anni antecedenti al 1850 gli Autori si affidano a temperature stimate da informazioni indirette. Ma non ha alcun fondamento scientifico il confronto fra questi valori stimati del passato e i valori ottenuti dalle misure recenti. Questi ultimi, una volta registrati, sono poi statisticamente elaborati (per esempio si calcolano le medie aritmetiche dei valori), ma non è detto che le ricostruzioni da informazioni indirette del passato e i valori di temperatura assegnati siano quelli che si sarebbero ottenuti dalla stessa elaborazione statistica che si fa sulle misure odierne. In particolare, medie diverse forniscono non solo valori diversi ma, addirittura, andamenti diversi (cioè se una media dà un rinfrescamento, un’altra media potrebbe dare un riscaldamento).

  3. La risoluzione temporale nelle misure odierne è dell’ordine del giorno, mentre la risoluzione temporale nelle ricostruzioni è, quando va bene, dell’ordine dell’anno. Di fatto, la ricostruzione degli Autori vìola un noto teorema della teoria dei segnali, il teorema di Shannon-Nyquist.

  4. La ricostruzione della figura è sbagliata perché contraddice un fatto (e i fatti sono l’ultimo e inappellabile giudice di ogni scienza): l’esistenza del Periodo caldo medievale e della Piccola era glaciale. Quest’ultima, in particolare (un paio di secoli con minimo intorno al 1690), fu un fenomeno globale occorso in corrispondenza di un minimo di attività solare – noto agli astrofisici come minimo di Maunder – è dagli Autori considerata un evento locale attribuito a consistenti eruzioni vulcaniche. Corroborano la loro affermazione con riferimenti, ma di fatto citano sé medesimi. Insomma, secondo gli Autori la Piccola era glaciale non è esistita perché lo dicono loro. 

  5. Insistono che anche il rinfrescamento degli anni 1940-80 fu dovuto ad alte concentrazioni sulfuree in atmosfera (stavolta non da vulcani, ma da attività umane) e scrivono che il rinfrescamento finì «negli anni ’80 quando in Europa e in Nord America sono state adottate misure efficaci per ridurre l’inquinamento da zolfo». Ma il protocollo di Helsinki per ridurre quell’inquinamento era del 1990, fu firmato nel 1993, e cominciò ad essere implementato negli anni successivi. Di fatto, l’inquinamento da zolfo raggiunse i livelli del 1940 non prima del 2000.


Quelli sopra elencati sono solo alcuni dei motivi che, fossi stato io il referee, mi avrebbero indotto a rigettare l’articolo come non meritevole di pubblicazione. Il sospetto che questo sarebbe stato il verdetto finale nasce però subito quando, nel riassunto e nelle conclusioni, gli Autori manifestano «l’urgenza a ridurre le emissioni antropiche di CO2», una esortazione politica, ideologica e, soprattutto, acritica giacché non offrono alcun suggerimento di come codesta riduzione debba attuarsi, posto che tutti i tentativi di attuarla han fallito. 


Ancora più curioso è quando scrivono che il limite posto dagli Accordi di Parigi di non superare i 2 gradi di riscaldamento è stato già abbondantemente superato; ora, siccome la necessità di non superare questo limite ci è stata venduta come condizione necessaria (pena, in mancanza, indicibili catastrofi) per l’esistenza della nostra stessa civiltà («existential threat», copyright Joe Biden), posto che il limite sarebbe stato superato senza che sia occorsa alcuna catastrofe, come mai gli Autori non concludono, invece, che quegli Accordi erano solo fuffa?


2. Fine


Franco Battaglia


Articolo pubblicato sul quotidiano LA VERITÀ il 21 agosto 2024








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