Ambientalismo
06 giugno 2024

IL CLIMA MUTA IN BASE AL SOLE, ALTRO CHE Co2

INTERVISTA A JAVIER VINÓS



Javier Vinós è uno scienziato spagnolo che ha trascorso decenni a fare ricerca sulla neurobiologia e sul cancro presso l'Howard Hughes Medical Institute, l'Università della California, il Medical Research Council del Regno Unito e il Consiglio Nazionale delle Ricerche spagnolo. Le sue pubblicazioni scientifiche sono state citate più di 1.200 volte dai suoi colleghi. Nel 2015, la preoccupazione per gli effetti del cambiamento climatico in atto lo ha portato a studiare la scienza del clima. Da allora ha consultato migliaia di articoli scientifici e analizzato dati su decine di variabili e centinaia di indicatori climatici, diventando un esperto di cambiamenti climatici naturali. Ha pubblicato due libri sull'argomento. L'ultimo sarà pubblicato in italiano quest'anno. Quelli che io chiamo climatologi di serie C, come sempre in assenza di argomenti, lamenteranno che non è un vero climatologo. Anche Pierre Fermat era avvocato, eppure dette alla matematica contributi pari a quelli dei più grandi matematici.


Dottor Vinós, lei nasce biogo e neurologo: come ha deciso di occuparsi di clima?


«Come biologo, sono consapevole dei cambiamenti climatici fin dagli anni Ottanta, e come scienziato sono allenato a esaminare le prove presentate nei lavori di ricerca e a ignorare le interpretazioni dei loro autori. Quando ho cercato le prove che l'aumento della CO₂ fosse responsabile del riscaldamento, non le ho trovate da nessuna parte. Nella scienza non basta essere convinti di qualcosa, bisogna dimostrare le proprie convinzioni. Così ho deciso di imparare come il clima è cambiato naturalmente nel tempo. Non si può escludere un contributo naturale al recente riscaldamento senza sapere come funziona. In passato, le cause naturali hanno portato a grandi cambiamenti climatici. L’ultimo è l’uscita dalla Piccola era glaciale, un paio di secoli freddi, col minimo di temperatura occorso intorno al 1690, da quando, molto prima delle nostre emissioni, è iniziato il riscaldamento tuttora in atto e di cui ci si lamenta oggi. Ci sono molte cause naturali di cambiamento climatico che gli scienziati affiliati all'Ipcc (il comitato dell’Onu sui cambiamenti climatici, ndr) stanno ignorando. Ho studiato il problema per sette anni, finché nel 2022 ho pubblicato un libro che comunicava i miei risultati».


E non teme che il suo contributo alla scienza del clima venga ignorato dai climatologi perché lei è un biologo molecolare?


«È possibile. Gli scienziati si specializzano molto e sono esperti in aree molto specifiche. Io ho avuto il lusso di imparare da più di dieci discipline scientifiche legate al clima. La mia conoscenza sul clima può non essere profonda in alcuni aspetti (ma questo è vero per qualunque specialista di qualunque campo), però è molto ampia e questo mi dà una prospettiva diversa. Ovviamente, c'è il rifiuto di avere uno scienziato di un'altra area che ti dica che hai torto: i geologi hanno rifiutato Alfred Wegener, che era un meteorologo, quando parlava di deriva dei continenti, e ci sono voluti 30 anni per ammettere che si sbagliavano».


Perché pensa che l'Ipcc si sbaglia?


«Parte della attuale climatologia non è una scienza sperimentale, ma si basa molto sui modelli climatici, che sono programmi al calcolatore che, di tutta evidenza, forniscono risultati senza alcun legame con la realtà fisica. Negli anni '60 sono stati programmati con ciò che si sapeva e la climatologia è rimasta intrappolata nel paradigma secondo cui l'unica cosa che conta è il bilancio energetico nella parte superiore dell'atmosfera. Questo ha portato alla conclusione che la CO₂ è il principale agente del cambiamento climatico. Il problema è che il clima del passato contraddice questa congettura. I dati ci dicono che negli ultimi 50 milioni di anni il clima del pianeta cambiava, spesso, senza correlazione con la CO₂. Le contraddizioni più evidenti sono l'Oligocene, l'Olocene e il periodo 1945-1975, quando la CO₂ e la temperatura hanno fatto esattamente il contrario. Anzi, a dire il vero, i periodi in cui si è osservata correlazione sono l'eccezione, il che esclude che la CO₂ sia un fattore importante. La cosa curiosa è che molti scettici accettano questo paradigma anche quando essi stessi propongono cambiamenti nell'energia solare o nelle nubi come causa del cambiamento climatico. Sembra quasi impossibile uscire da questo paradigma sbagliato».


Che paradigma propone lei?


«L'effetto serra è estremamente disomogeneo sul nostro pianeta, perché il 75% dell'effetto serra è dovuto al vapore acqueo e alle nubi che esso forma. L'atmosfera tropicale contiene molta acqua, il 3%, mentre l'atmosfera polare in inverno quasi non ne contiene affatto. Pertanto, l'effetto serra è estremamente debole nelle regioni polari, il che le rende due radiatori di raffreddamento, come un'automobile, per la Terra. Esistono diverse cause di cambiamento climatico naturale che agiscono modificando la quantità di calore trasportata dai tropici al polo. Una delle più importanti è la variazione dell'attività del sole».


Che effetto ha il sole sul clima?


«Il sole è stato sottovalutato dall'Ipcc, che ritiene che non abbia contribuito al riscaldamento. Ma le prove che il sole ha un effetto molto importante sul clima sono incontrovertibili. Il sole ha un ciclo di attività di 11 anni che si manifesta nel numero di macchie solari, ma a volte il sole riduce la propria attività per decenni, durante i quali non appaiono macchie. Questo è un grande minimo solare. Ce ne sono stati circa 25 negli ultimi 11.000 anni. Ma quattro di questi grandi minimi sono durati più a lungo, 150 anni. Sappiamo quando sono avvenuti grazie alla datazione al radiocarbonio. Si tratta di 10.300, 5200, 2800 e 500 anni fa, e queste quattro date coincidono con quattro dei principali cambiamenti climatici dell'Olocene che sono stati ampiamente studiati dagli scienziati. Durante questi grandi minimi, il pianeta si è raffreddato così bruscamente che i ghiacciai sono cresciuti molto; erano tempi con documentato declino della popolazione umana a causa della scarsità di cibo. La coincidenza temporale è così notevole che non può essere dovuta ad altre cause».


Come fa il sole ad avere un tale effetto sul clima?


«I cambiamenti nell'attività del sole causano variazioni molto piccole nell'energia che emette, e questo è l'argomento principale di coloro che negano il ruolo del sole. Ma c'è una parte del sistema climatico che risponde fortemente ai cambiamenti del sole: si tratta della stratosfera, le cui condizioni cambiano in risposta all'effetto del sole sullo strato di ozono. Esistono onde atmosferiche molto importanti, chiamate onde planetarie, che trasportano una grande quantità di energia. Responsabili di eventi meteorologici estremi come l'ondata di calore del 2003 o le alluvioni del 2013 in Europa, queste onde planetarie, quando il sole è poco attivo, indeboliscono il vortice polare. Il vortice circonda l'Artico impedendo al calore terrestre di fuoriuscire ma, quando si indebolisce, il calore entra nell'Artico provocando ondate di freddo nel Nord America orientale, in Russia e in Mongolia».


In che modo questo effetto è legato al riscaldamento dell'Artico?


«Il riscaldamento dell'Artico ha avuto un picco alla fine degli anni Novanta, che sono stati seguiti da una dozzina d’anni di hiatus climatico. Quindi il riscaldamento non può essere dovuto all'aumento della CO₂, che invece è aumentata senza sosta. In inverno nell'Artico non c'è sole, e il riscaldamento dell'Artico è dovuto a un maggiore trasporto di calore. La cosa coincide con la riduzione dell'attività solare alla fine degli anni '90, quando i cicli solari iniziano a mostrare una minore attività, portando a un aumento del trasporto di calore verso l'Artico. Gli studi dimostrano che ciò avviene da migliaia di anni. Il riscaldamento dell'Artico non è la prova di un'emergenza climatica, ma è la prova dell'effetto del sole sul clima».


Mi faccia capire: il riscaldamento globale e il riscaldamento dell'Artico sono o no collegati?


«Lo sono, e sono due facce della stessa medaglia. L'Ipcc riconosce che l'attività solare nel corso del XX secolo è stata eccezionalmente elevata. Questo ha fatto sì che il pianeta conservasse energia e si riscaldasse. Con la diminuzione dell'attività solare nel XXI secolo, una parte del calore viene trasferita all'Artico, e questo dovrebbe rallentare il riscaldamento. La verità è che per molto tempo nessuno ha mai saputo quale fosse l'effetto delle nostre emissioni sul clima. I lavori recenti dei professori W. Happer e W. van Wijngaarden hanno dimostrato che l’effetto della CO₂ antropica non è è neanche misurabile».


Franco Battaglia


Articolo pubblicato sul quotidiano LA VERITÀ il 6 giugno 2024








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