di Giuseppe
Salamone *
Pubblico
la lettera aperta a Liliana Segre di Najat, figlia di un padre e una
madre Palestinesi vittime della Nakba del 1948 e rifugiati in
Siria.
Una lettera commovente:
"Signora
Liliana Segre,
Lei è turbata perché si usa la parola
"Genocidio" per il Massacro a Gaza, come se questa parola
fosse un privilegio, un distintivo d'onore o addirittura
un'esclusività.
Mi creda, noi Palestinesi non vi abbiamo
rubato la parola tantomeno vogliamo farlo. Semmai sono stati quelli
che lei conosce bene che l'hanno cucita su misura del nostro corpo,
della nostra fermezza e della nostra adesione alla nostra
terra.
Vorrei dirle che non siamo contenti di questa
parola, ma come può vedere anche lei, le lettere di questa parola
sono intrise del nostro sangue, delle nostre lacrime e del nostro
dolore!
In questa parola si sente l'eco dell'esplosione
delle case, degli ospedali, delle chiese, delle moschee mentre siamo
condannati a sentire financo le risate dei soldati israeliani quando
bombardano indiscriminatamente e poi festeggiano come se per loro
fosse un gioco.
Riprenda indietro la parola "Genocidio"
cara Signora, a patto che ci restituisca oltre 30.000 anime. Riprenda
questa parola e ci ridia Hind, la bambina di soli 7 anni che il mondo
intero ha sentito piangere in macchina per giorni, circondata dai
cadaveri dei suoi familiari e dai carri armati israeliani.
La
riprenda e ci ridia Yazan, 6 anni, morto per malnutrizione perché
Israele blocca l'accesso degli aiuti umanitari. La riprenda e ci
ridia Mohammed, 16 anni, bruciato vivo. La riprenda e ci ridia
Mustafa, 14 anni, ucciso mentre andava a scuola!! La riprenda e ci
ridia Rami, 13 anni, che stava festeggiando il Ramadan con fuochi
d'artificio. La riprenda e ci ridia Ahmed, 8 anni, morto solo perché
reclamava un sacco di farina. La riprenda e ci ridia i membri dei
nostri figli, i loro occhi, le loro braccia, le loro gambe e anche il
loro spensierato sorriso.
E noi, cara Segre, promettiamo
che non useremo mai più la parola "Genocidio" nel nostro
linguaggio.
Se c'è una cosa che più di tutte vorremmo, è
non dover usare questa dannata parola. Semplicemente perché siamo un
popolo che ama la vita e merita la vita..."