Ambientalismo
21 gennaio 2024

LA VERA APOLOGIA DI FASCISMO È QUELLA GREEN


La recente sentenza della Cassazione su saluto romano e ricostituzione del partito fascista ha innescato una sequenza di dibattiti sulla stampa e per via etere, a testimonianza della nostra indole melodrammatica nemica di ogni logica. La sentenza della Cassazione non poteva essere diversa, visto che una disposizione finale della nostra Costituzione recita: «È vietata la ricostituzione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». Il divieto – pare evidente – non attiene alla sola lettera del «disciolto» partito fascista – circostanza che potrebbe essere anche irrealizzabile, soprattutto col passare dei lustri – ma attiene allo spirito: sarebbe illegale costituire un partito con programmi politici e metodi di propaganda propri di quello fascista. 


Per sciogliere ogni dubbio in proposito e dare attuazione alla disposizione costituzionale ci pensò nel 1952 il grande Mario Scelba con una legge contro l’apologia di fascismo. Essa chiarisce che «si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando un’associazione o un movimento persegue finalità antidemocratiche… esaltando, minacciando o usando violenza quale metodo di lotta politico, o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione…, ovvero compie manifestazioni esteriori di carattere fascista». Quindi, affinché al saluto romano, o anche ad apprezzamenti per il regime e i suoi esponenti, si possa addebitare il reato di apologia di fascismo è necessario che essi siano compiuti da «un’associazione o un movimento» e che questo persegua l’obiettivo di ricostituire, non tanto nel nome quanto nello spirito degli intenti, il partito fascista. Insomma, chiunque potrebbe scrivere un saggio dal titolo «Apologia del fascismo» senza con ciò fare apologia di fascismo: ci sarebbe reato solo se il saggio chiamasse alla «costituzione di un partito, associazione o movimento che persegua finalità antidemocratiche, etc.».


Appare allora futile indignarsi, per esempio, per i bracci tesi di chi commemora quei giovani (avevano 18 anni!) che nel 1978 furono assassinati barbaramente (uno, dopo essere stato colpito e essersi messo in fuga, fu inseguito e freddato alle spalle: suo papà si tolse poi la vita per il dolore). A quei tempi, esattamente come i militanti comunisti alzavano il pugno chiuso, quelli missini tendevano il braccio, ed è comprensibile che essi siano oggi così platealmente commemorati da chi desidera commemorarli. 


Ora, pur nella mia ignoranza di cose giuridiche, anzi proprio per essa, consentitemi di chiedere a chi ne sa più di me e mi legge: cosa succede se chi «propugna la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione» è già «un’associazione o un movimento» o, addirittura, se è già un partito politico, o è il loro portavoce o capo? A questo proposito, mi sovvengono due episodi che hanno protagonisti due capi di due partiti politici parlamentari.


Il primo, alcuni anni fa, in comizio in una pubblica piazza, aizzava contro due tizi che pochi giorni prima erano stati ospiti di un dibattito televisivo che aveva come argomento il referendum sul nucleare e che, liberamente, esprimevano opinione favorevole al nucleare – e anzi proprio per essa erano stati invitati a quel dibattito. Il capo del M5S, contrario al nucleare, in quella piazza espresse al suo solito modo, simpaticamente colorando il comizio di turpiloquio, la propria contrarietà, dettagliando come avrebbe trattato quei due (che, per inciso, eravamo l’On. Maurizio Lupi e io che scrivo). Per farla breve, il capo dei Cinque Stelle ci avrebbe impedito di (cito) «dialogare, andare in televisione» e, per non farci mancare proprio niente, ci avrebbe «preso a calci in culo e sbattuto in galera». «Perché – disse, quasi rimpiangendo il bel tempo che fu – ai tempi del fascismo, o si era fascisti o si era anti-fascisti, e gli anti-fascisti venivano sbattuti in galera». Il Tribunale di primo grado lo condannava a un anno di prigione, non omettendo nelle motivazioni di notare, nella verve del capo del M5S, un retrogusto di, appunto, apologia di fascismo. Scriveva il Giudice: «Si appalesa, nella struttura logico-argomentativa dell’imputato Giuseppe Piero Grillo, l’esaltazione del metodo fascista». Il che potrebbe non essere reato se espressa come emozione personale, ma sarebbe reato se espressa come metodo di agire di un partito – e chi parlava stava facendo comizio quale capo di quel partito.  Alla fine l’imputato, condannato in primo e secondo grado per il reato di diffamazione, riuscì ad avvalersi – giustamente, devo aggiungere – proprio di quella prescrizione di cui egli ha sempre propugnato la soppressione. Naturalmente, per gli altri.


Il secondo dei nostri eroi è il capo del partito dei Verdi che, appena l’estate scorsa, prometteva un progetto di legge teso a istituire il reato di negazionismo climatico. Ora, pur scientificamente corroborati, il negare e l’affermare che il clima dipende dalle emissioni antropiche sono pareri, cioè opinioni. Esattamente come, al cospetto dei sintomi da un male che vi affligge, il parere di un medico è l’intervento chirurgico e quello di un altro è la cura: decidete voi cosa fare. Nel caso del clima, cosa fare è una scelta politica, e il partito in parola, per bocca del suo capo e portavoce, sembrava voler imporre la propria scelta rendendo illegale l’opinione di chi è contrario. Mi chiedo se, per la legge Scelba, si possa ravvisare il reato di apologia di fascismo: il partito c’è già, e lo spirito della proposta è in perfetta sintonia con la definizione che la legge dà di spirito «fascista». Recita la legge: «si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando un’associazione o un movimento persegue finalità antidemocratiche… propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione». Nello specifico, si stava propugnando la soppressione della libertà costituzionale di esprimere ciascuno di noi la propria opinione. A difesa del capo dei Verdi va detto che egli non ha mantenuto neanche quella promessa della scorsa estate.


Mentre scrivo, mi sovviene la circostanza delle squadre di Ultima generazione, che compiono atti violenti o contro cose (quando deturpano beni pubblici o privati) o contro persone, (quando ne impediscono il libero movimento, stendendosi per terra sul loro cammino). Sorge spontanea la domanda se l’azione di quelle squadre possa essere equiparata allo squadrismo fascista. Recita dopotutto la legge: «si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando un’associazione o un movimento persegue finalità antidemocratiche… usando violenza quale metodo di lotta politico». Che è quel che sembra facciano queste squadre: «o smettete di usare combustibili fossili o noi deturpiamo tutto e per muovervi dovete passare sul nostro cadavere». 


La cosa curiosa è che a costoro, proprio in questi giorni condannati, sarebbe stata riconosciuta l’attenuante del «valore sociale e morale della loro azione, indotta da nobili motivi» (Ansa). Suppongo che chi ha espresso quella riconoscenza pensava alla volontà di quei giovani di «salvare il pianeta». Forse, oltre che sull’apologia di fascismo, bisognerebbe meglio riflettere sulla nobiltà del motivo: con l’abbandono dell’uso dei combustibili fossili la salvezza del pianeta è incerta, ma la distruzione dell’umanità – con miliardi di persone votati alla morte – sarebbe certa, visto che l’85% del fabbisogno energetico dell’umanità è soddisfatto dai combustibili fossili. 


Come chiosa finale pongo l’ultima domanda a chi ne sa più di me. L’art. 49 della Costituzione vorrebbe garantire che: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti»: la disposizione finale citata all’inizio non contraddice questo articolo?


Franco Battaglia










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