Ambientalismo
29 dicembre 2023

FLOP TERMOELETTRICO E PURE IL FOTOVOLTAICO FARÀ LA STESSA FINE

PROGETTO ARCHIMEDE


Rammentate il progetto Archimede? No? Vi rinfresco la memoria. L’energia solare diretta (cioè non mediata da biomasse, bacini idroelettrici o vento) può essere trasformata in energia elettrica o con impianti fotovoltaici o con impianti termoelettrici. Del fallimento dei primi vi scrivo, invano, da quasi cinque lustri, e quando cominciai a scriverci lo facevo anche del fallimento dei secondi. Pure in questo caso scrivevo invano, ma il tempo è stato galantuomo: di termoelettrico non si parla più perché esso è miseramente fallito, sebbene i sostanziali investimenti di denaro pubblico elargiti a dispetto dei miei caveat.

Il solare termoelettrico consiste nel concentrare la radiazione solare su un serbatoio contenente un fluido, tipicamente un olio che, portato a centinaia di gradi di temperatura, grazie ad un opportuno scambiatore di calore, produce vapore acqueo ad alcune centinaia di gradi, sì da azionare una turbina che, collegata ad un generatore, produce corrente elettrica.  La concentrazione della radiazione solare si effettua tramite opportuni specchi che in Italia abbiamo chiamato, molto romanticamente, specchi d’Archimede. Il progetto Archimede differisce solo per il fatto che invece di olio si usano sali fusi, circostanza che evita fastidiosi incendi con la totale distruzione dell’intero impianto; ma obbliga a tenere i sali costantemente allo stato fuso, pena la totale distruzione dell’intero impianto.

L’efficienza della tecnica è il prodotto di tre efficienze: quella ottica degli specchi, circa il 75% (non tutta l’energia solare incidente viene riflessa, ma una parte viene assorbita), quella termica dell’olio o dei sali fusi, circa il 40% (non tutta l’energia riflessa dagli specchi si trasforma in calore dell’olio o dei sali) e, infine, l’efficienza termodinamica del processo di trasformazione di energia termica in energia elettrica, circa il 33%. L’efficienza totale è il prodotto delle tre, cioè il 10%. Ma, se gli specchi devono riflettere l’energia solare al massimo dell’efficienza, essi devono poter seguire il sole nel corso della giornata e orientarsi continuamente verso di esso; ogni unità mobile di specchi, allora, non deve fare ombra alle unità vicine, e ciò si realizza mantenendo le unità a sufficiente distanza l’una dall’altra. Il risultato finale è l’occupazione di chilometri quadrati a go-go di territorio. Se si fa l’aritmetica, per soddisfare il 10% del fabbisogno elettrico dell’Italia, bisognerebbe spalmare specchi per 400 km2.

Vi sembra poco? Chiudete gli occhi un attimo e provate a vedere, con quelli della mente, 400 km2 coperti di specchi che, per mantenere alta l’efficienza ottica, vanno regolarmente lavati, diciamo due volte al mese. Perché, se non si lavano almeno due volte al mese succede quel che succederebbe alla vostra auto che, appena uscita dall’autolavaggio, viene lasciata parcheggiata in strada per due settimane: vi ci potete specchiare al primo giorno, ma non più dopo due settimane. E allora, vi invito a chiudere di nuovo gli occhi e a immaginare la faraonica operazione di lavaggio. 

Negli Usa esistevano alcuni impianti di questo tipo che, ancorché costruiti in aree desertiche, sono stati osteggiati dagli ambientalisti perché sembra che gli specchi disturbano la tartaruga del deserto. All’apice della loro performance la loro produzione non ha superato il gigawatt (per confronto, la domanda elettrica degli Usa si attesta a 500 gigawatt), ma gli impianti sono stati quasi tutti chiusi. Qualcuno si chiuse da solo, distrutto dagli incendi di migliaia di ettolitri di therminol (l’olio ove si concentrava la radiazione solare). Anche nel mondo le cose non vanno meglio: la produzione di elettricità dal solare termico si attesta a meno di 2 gigawatt, a fronte di una domanda globale di 3500 gigawatt. Per ulteriore confronto, la produzione di elettricità mondiale da fotovoltaico si attesta a meno di 150 gigawatt. Insomma, se il fotovoltaico contribuisce quasi niente, per il solare elettrotermico possiamo togliere il «quasi».

E non che non ci siano stati spesi denari. Al contrario, ci si è spesa una fortuna: sul fotovoltaico, tanto quanto sarebbe stato necessario per installare 1000 reattori nucleari che avrebbero fornito il triplo della elettricità – elettricità sicura, cioè né instabile né intermittente, e per 60 anni e non per 20 anni – fornita dai pannelli.

E sul solare termoelettrico? Beh, sul progetto Archimede inizialmente ci si misero 50 milioni di euro per specchi per la potenza di 5 megawatt – che in proporzione significa 100 miliardi per gigawatt elettrico prodotto, cinque volte di più del costosissimo fotovoltaico.  

I commentatori Verdi, o Gretini che dir si voglia, attribuiscono il fallimento italiano alla nostra burocrazia e magnificano gli Emirati arabi che «invece» avrebbero investito 5 miliardi per un’impresa di termoelettrico solare da 700 MW di potenza. Cioè, a quanto pare, ciò che da noi si fece con 50 milioni a Dubai s’è fatto con 35 milioni: una differenza comprensibile e poco significativa. Che, anche fosse stata colpa della burocrazia, benedetta burocrazia, verrebbe da dire. Comunque sia, il solare termoelettrico, in Italia come nel mondo, è – tutti zitti e mosca! – nella tomba.

Quando nella medesima vi calerà il solare fotovoltaico sarà sempre tardi. Anche per esso il tempo ci sarà galantuomo, e sappiamo come finirà: i sostenitori del medesimo diranno di averlo detto da sempre e per i nostri problemi proporranno qualche altra bizzarria. Peccato che io non abbia la palla di cristallo ma, come alla Provvidenza divina, non metto limite alla devastante fantasia dei Verdi.


Franco Battaglia










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