IDROGENO
Onorevole Matteo Salvini, non cada nel tranello dei venditori d’idrogeno. E se c’è già cascato, non se ne faccia un cruccio, visto che ci cascò, oltre vent’anni fa, addirittura il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush. A infinocchiare Bush fu tale Jeremy Rifkin, un economista le cui dubbie conoscenze di fisica non gl’impedirono di scrivere due libri, uno titolato «Entropia», inevitabilmente infarcito di strafalcioni di fisica; e un altro ove magnificava quella dell’idrogeno come l’economia del futuro. Con la «Freedom Car Initiative», Bush prometteva di liberare l’America dalla dipendenza dal petrolio arabo, e il 28 gennaio 2003 ci staccò un primo assegno da $720 milioni. Dopo vent’anni, di auto a idrogeno non si vede l’ombra.
Da noi vari enti locali si sono eccitati per l’idrogeno: per esempio la Regione Puglia, la Provincia di Modena e, più recentemente, il comune di Busto Arsizio, tutti accomunati nel vagheggiare una non meglio identificata «Hydrogen Valley».
A scanso di equivoci, qui si parla della molecola di H2, che sulla Terra non sembra esistere. Recentemente qualcuno dice di averne scoperto qualche giacimento. Potrebbe essere che vi siano produzioni naturali (per esempio da reazioni, in presenza di acqua, di ossidazione di ferro bivalente con produzione di H2). Ammesso e non concesso che ci sia sostanza nella scoperta, temo sia illusoria ogni speranza di sviluppi e repliche, visto che dell’esistenza dell’idrogeno nessuno s’è accorto a dispetto di un secolo di trivellazioni occorse per varie ragioni.
Sull’uso dell’idrogeno come vettore energetico, il Paese guida fu l’Islanda. Nel 2000 i due terzi dell'energia prodotta in quell’isola era, beati loro, rinnovabile (idroelettrica e geotermica). Non contenti, e ignari che spesso il meglio è nemico del bene, i governanti decisero di utilizzare il surplus elettrico per produrre H2 dall'elettròlisi dell'acqua. L'idrogeno sarebbe stato utilizzato per la riconversione dei bus esistenti nell'isola e subito dopo per la flotta dei pescherecci, protagonisti del 70% della ricchezza nazionale. Si vagheggiava che, in prospettiva, l'Islanda si sarebbe resa totalmente indipendente dai combustibili fossili per i mezzi di trasporto terrestri e navali.
I primi autobus entrarono in servizio nell'agosto del 2003 dopo la realizzazione in aprile del primo distributore pubblico d’idrogeno: era targato Shell. I primi tre autobus navetta furono messi in servizio all’aeroporto di Reykjavik. La fantasia volava alto: si sarebbe passati ai veicoli privati (180.000) e alla flotta da pesca (2.500 unità). Nel 2005 gli autobus avrebbero dovuto essere 30. Il secondo obiettivo, entro il 2007, era creare un mercato di auto ad idrogeno, sostituendo l’intero parco auto. Il terzo obiettivo, entro il 2015, era di alimentare con l'idrogeno l’intera flotta dei pescherecci. Il quarto obiettivo, entro il 2030, era vendere all’Europa l’idrogeno prodotto in Islanda. L'idrogeno doveva essere utilizzato anche per produrre energia per tutti i servizi cittadini. Poi, tra il 2008 e il 2011, l’Islanda ha subito un crack finanziario senza precedenti che ha ridotto il Paese sul lastrico, anche a causa della disinvoltura con cui la classe politica aveva deciso di investire sull’idrogeno. Inutile dire che nessuno degli obiettivi è stato raggiunto.
Al momento, gli esaltati dalla prospettiva di diventare l’Arabia dell’idrogeno vivono in quel di Busto Arsizio. «Arabia dell’idrogeno» non è una mia licenza giornalistica, ma sono i termini usati da chi governa Busto. In queste occasioni s’usano parole grosse. Eccone altre: rivoluzione industriale, autonomia energetica, petrolio green. Le intenzioni sono ambiziose: contano di «alimentare aerei, tir, treni, autobus». Magari conviene rammentare a costoro le esplosioni degli shuttle spaziali Challenger nel 1986 e Columbia nel 2003. E, con tutto il rispetto, era tecnologia Nasa, non made in Busto Arsizio.
Purtroppo troppi politici si sono abbeverati – e ne sono rimasti inebriati – di Pnrr. Non staremmo qui a parlare di idrogeno se la Ue, in tutta la sua insipienza, non ci avesse messo i denari. I denari fanno gola a molti, ma spesso offusca le menti. Un gigantesco problema del nostro Paese è quello rappresentato nella figura qui sotto e che non richiederebbe alcun commento: l’Italia è il Paese col costo della elettricità più alto al mondo, e questo sia per le utenze domestiche che per le imprese. La nostra competitività è debolissima. Parte del Pnrr è denaro in prestito e il debito peserà su chi verrà dopo di noi. Impegnarlo oggi su imprese tipo fotovoltaico ed idrogeno, avrà arricchito gli interessati, ma lascerà il resto del Paese in braghe di tela.
Figura: Prezzo dell’elettricità (in US$/kWh) per le utenze domestiche nel Marzo 2023 nel mondo. (Fonte: Statista). Nota: con 0.61 US$/kWh, l’Italia è prima anche per le utenze d’impresa.
Franco Battaglia