ASIA OCCIDENTALE
01 dicembre 2023

Sta Per Arrivare La Fine Dello Stato D’Israele? - Seconda parte


di Don Curzio Nitoglia

Seconda Parte

La distruzione dell’intera Giudea (135)

Vespasiano e Tito in Giudea

L’Imperatore Nerone, decise allora d’inviare in Giudea il suo miglior generale: Tito Flavio Vespasiano, originario di Reate (oggi Rieti) nella Sabina, che aveva combattuto valorosamente in Britannia e in Germania. Vespasiano cominciò a preparare l’esercito che avrebbe dovuto comandare e a tal fine si recò ad Antiochia (in Siria) e inviò suo figlio Tito ad Alessandria (in Egitto) a mobilitare la XV Legione Apollinaris. Vespasiano si ricongiunse con suo figlio Tito a Tolemaide nella primavera del 67. La città di Jotapata oppose una forte resistenza a Vespasiano, che durò 47 giorni. Mentre si svolgeva l’assedio a Jotapata, Japha – una città vicina a questa – si ribellò anch’essa. Vespasiano inviò contro Japha il generale Traiano padre del futuro Imperatore omonimo, comandante della X Legione ed espugnò la città i primi giorni del mese di giugno e 15.000 Giudei vi furono uccisi. Alla fine cadde anche Jotapata i primi di luglio. Il primo a entrare fu Tito. La vendetta dei Romani fu tremenda, tanto più che durante la resa, il Centurione Antonio fu ucciso proditoriamente da un giudeo, che aveva finto di arrendersi, mentre Antonio gli stringeva la destra per aiutarlo a uscire da una caverna. I Giudei morti furono 40. 000 e la città fu rasa al suolo.

Giuseppe Flavio, il furbo Fariseo che aveva combattuto con i Giudei a Jotapata, si consegnò ai Romani ebbe la vita salva e poi aderì pienamente a Roma, narrando la storia della Guerra Giudaica per conto di Vespasiano, che lo portò con sé a Roma, rimanendo presso i Flavi e prendendo il nome di Flavio. Infine, nell’ottobre fu espugnata anche Gamala, dopo 7 mesi d’assedio, ma questa volta per vendetta i Romani uccisero tutti gli abitanti, comprese le donne e i bambini. Verso la fine del 67 tutta la Galilea e la Samaria erano state conquistate da Roma. Vespasiano andò a svernare a Cesarea marittima con le sue Legioni in attesa d’assalire Gerusalemme.

Situazione interna di Gerusalemme

Gerusalemme era dominata da 2 partiti avversi: 1°) il partito moderato sacerdotale/sadduceo, che era minoritario e 2°) il partito estremista degli Zeloti/Sicari, che era maggioritario e divenne, nel 67, l’unica forza trainante del Giudaismo. Giovanni di Ghischala arrivò allora a Gerusalemme e si mise alla testa degli Zeloti/Sicari, passando sùbito all’azione: le personalità aristocratiche del partito moderato di Gerusalemme furono incarcerate e poi messe a morte, ma il partito sacerdotale/sadduceo soppiantato, tentò una riscossa, così si riaccese la guerra intestina e Gerusalemme (compreso il Tempio) divennero un grande teatro di guerra.

Gli Zeloti, con l’aiuto degli Idumei, capitanati da Eleazaro con un esercito di 20.000 uomini, presero il sopravvento e instaurarono un regime di terrore in Gerusalemme. “I cortili del Tempio erano tutti allagati di sangue e vi giacevano circa 8.500 morti” (Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, IV, 5, 1). Il Sommo Sacerdote Anano fu ucciso assieme ad altri Sacerdoti e circa altri 12.000 aristocratici Sadducei furono trucidati. Gli Zeloti rimasero padroni assoluti della città.

Vespasiano astutamente attendeva a Cesarea che le divisioni intestine in Gerusalemme consumassero i due contendenti per poi espugnare la capitale senza troppe perdite di soldati romani. Verso la fine di maggio si accampò a Gerico.

In quel frangente gli arrivò la notizia della morte di Nerone e dell’elezione di Galba, mandò così suo figlio Tito a Roma a rendere omaggio al nuovo Imperatore, ma quando il giovane Tito giunse nell’Urbe, Galba era stato ucciso. Perciò, Vespasiano decise di non portare avanti la guerra, in questa situazione politica incerta in Roma, e le sue truppe restarono in pace dal giugno del 68 al giugno del 69. 

La situazione interna di Gerusalemme, frattanto, s’aggravava. Il caporione estremista Simone Bar-Ghiora s’era asserragliato a Masada con un esercito agguerrito di 40.000 soldati e infestava il territorio che lo separava da Gerusalemme, con atti di vero e proprio brigantaggio. In Gerusalemme la situazione era degenerata. Infatti, Giovanni di Ghischala vi dettava legge e assieme alla tirannia aveva introdotto nella capitale la licenza più sfrenata. Gli Zeloti, che erano nati per lo “zelo della Casa del Signore e della Legge” e adesso non solo uccidevano e rubavano, ma violentavano le donne, si vestivano essi stessi da donna, truccandosi, e facevano cose abominevoli al cospetto di Dio come gli abitanti di Sodoma (G. Flavio, Guerra Giudaica, IV, 9, 10). “Il Fariseismo era degenerato nello Zelotismo, lo Zelotismo si era organizzato in banditismo, il banditismo finiva in lupanare” (G. Ricciotti, Storia di Israele, cit., vol. II, p. 493). Per liberarsi da tanta vergogna i nemici di Giovanni di Ghischala chiamarono a Gerusalemme Simone Bar-Ghiora con i suoi briganti, ma non lenoni. Simone entrò nella capitale nell’aprile del 69, però gli Zeloti di Giovanni di Ghischala non lo vollero accogliere e si asserragliarono nel Tempio. Simone lo assalì, ma fu respinto, così la città fu nuovamente divisa in due fazioni “l’una contro l’altra armata” e la guerra civile giudaico/gerosolomitana continuò.

Vespasiano, alla fine di maggio, senza eccessivo impegno, s’avvicinò in un giro di ricognizione a Gerusalemme. Agli Zeloti nella Giudea restavano solo Masada, Macheronte, Herodium e Gerusalemme.

Il 1° luglio del 69 le Legioni romane proclamarono Imperatore Vespasiano, che con l’uccisione dell’Imperatore Vitellio (il 20 dicembre del 69), divenne l’unico Imperatore romano. Vespasiano quale nuovo Imperatore partì da Alessandria per Roma all’inizio dell’estate del 70, portando con sé Giuseppe Flavio, che divenne lo storico ufficiale dell’Imperatore. Il suo unico figlio Tito ricevette da lui il compito di continuare la campagna della Giudea.

Frattanto, a Gerusalemme le cose s’erano complicate. Infatti, ai due partiti di Giovanni e Simone se ne era aggiunto un terzo, capeggiato dal Sacerdote, estremista anche lui, Eleazaro, che era stato un seguace di Giovanni, ma lo aveva abbandonato visti i suoi eccessi. Così, Gerusalemme fu divisa in tre parti: la parte più alta del Tempio andò a Eleazaro, Giovanni occupò il resto del Tempio e Simone la parte alta di Gerusalemme e una porzione della parte bassa. Tra le bande, specialmente quelle di Giovanni e di Eleazaro, avvenivano sovente delle violente e devotamente “zelanti” scaramucce dentro il recinto sacro del Tempio. Eleazaro sito nella parte più alta si difendeva più facilmente, ma Giovanni fornito maggiormente di armi e macchine belliche attaccava rabbiosamente, cagionando numerose perdite all’esercito di Eleazaro.

Nonostante ciò il servizio liturgico nel Tempio continuava, ma spesso i Pellegrini e i Sacerdoti restavano uccisi dalle catapulte di Giovanni. “Gerusalemme, ch’era la Città Santa di Jaweh; oramai era diventata una gabbia di belve inferocite, che si dilaniavano tra di loro. Da di fuori, però, s’avvicinava il domatore col ferro e col fuoco” (G. Ricciotti, cit., p. 496).

La Pasqua ebraica dell’anno 70

Tito e Vespasiano s’avvicinarono a Gerusalemme e nell’aprile del 70 (durante la Pasqua ebraica) accerchiarono la città, non impedendo ai pellegrini di entrarvi per celebrare la loro festa. Fu così che la città si sovraffollò (arrivando a contenere circa 3 milioni di persone, secondo Giuseppe Flavio) e rese la sua caduta ancora più tragica.

Inoltre, i partigiani di Giovanni di Ghischala, travestiti da pellegrini, senza essere riconosciuti entrarono nella parte alta del Tempio, l’espugnarono ed eliminarono il partito d’Eleazaro.

Tito fece numerosi tentativi per ottenere la resa di Gerusalemme, onde poterla risparmiare, ma non ottenne nulla. Giovanni di Ghischala e Simone Bar-Ghiora s’unirono solo allora, per combattere l’odiato Romano.

L’attacco di Gerusalemme

Le catapulte romane iniziarono a scagliare massi di circa 50 chili, con una gittata di quasi 400 metri, verso le mura di Gerusalemme e a fare strage di Zeloti, i quali, però, uscirono dalla città e incendiarono parte delle macchine d’assalto romane. Tuttavia, furono ricacciati dopo una lotta aspra da Tito, che uccise di sua mano 12 Zeloti. I primi di maggio i Romani riuscirono a impadronirsi del Muro Terzo di Gerusalemme; dopo 5 giorni anche del Muro Secondo, penetrando così nella città, ma non riuscirono a costringere alla resa i Giudei.

La fame in Gerusalemme era molto grave, molti pellegrini lasciarono la città, dopo aver ingoiato le monete d’oro che possedevano e averle poi riottenute per evacuazione. La fame aumentò sempre più e diventò disumana e bestiale. I gerosolomitani mangiavano anche il cuoio. Avvenne che alcuni Arabi e Siri, ingaggiati dai Romani, s’accorsero che un fuggitivo da Gerusalemme, recuperava dalle proprie feci i denari d’oro che aveva ingoiati prima di fuggire. Si sparse, così, la voce che i Giudei che abbandonavano la città, avevano il ventre pieno di monete d’oro. Quindi, a partire da quel momento tutti i fuggitivi che venivano intercettati erano passati a fil di spada per squarciare il loro ventre ed estrarne il tesoro sperato, in una sola notte 2.000 Giudei furono sventrati.

Un giorno alcuni Zeloti, passando per un viottolo della città, sentirono un odore d’arrosto che usciva da una casa, si precipitarono dentro; trovarono una donna ancora viva, la minacciarono di scannarla se non avesse consegnato loro il cibo. Era il suo bambino, che nella frenesia della fame di sua mano aveva ucciso, aveva arrostito, aveva per metà mangiato, e adesso ne elargiva l’altra metà agli Zeloti ma, davanti a quella spaventosa pietanza anche i Sicari tremarono. L’infelicissima madre era una certa Maria, di ricca e nobile famiglia di Beth-Ezob in Transgiordania, ch’era venuta in pellegrinaggio a Gerusalemme e v’era rimasta chiusa, durante l’assedio” (G. Flavio, Guerra Giudaica, VI, 3, 3-4).


I Romani penetrano nel Tempio

Il 5 di luglio del 70, sul far della notte, una ventina di soldati romani sorpresero, e uccisero le sentinelle giudee e penetrarono nella Torre Antonia di Gerusalemme, poi con le trombe avvertirono gli altri soldati che erano entrati. Tito con alcuni legionari scelti penetrò sùbito dentro la Torre. I combattimenti furono aspri, ma alla fine i Romani ebbero la meglio, e ricacciarono gli Zeloti accorsi verso il Tempio. Il 17 luglio Tito fece abbattere la Torre Antonia per avere ampio spazio di manovra riguardo al Tempio in cui si erano asserragliati gli Zeloti.

17 luglio 70, cessa per sempre il sacrificio liturgico nel Tempio ebraico

Il 17 luglio del 70 per la prima volta dopo circa dieci secoli venne a mancare nel Tempio il sacrificio quotidiano per difetto degli Zeloti e non dei Romani (G. Flavio, Guerra Giudaica, VI, 2, 1). Da quel giorno sino a oggi l’Ebraismo non ha più celebrato il sacrificio a Jaweh.

Tito avrebbe voluto salvare il Tempio e mandò Giuseppe Flavio a invitare gli assediati ad arrendersi, ma invano; soltanto parecchi Sacerdoti disertarono e si presentarono ai Romani.

Distruzione del Tempio

Tito fece costruire contro il muro settentrionale del Tempio quattro bastioni, che furono ultimati l’8 d’agosto. Sùbito le catapulte entrarono in azione, ma il muro del Tempio era granitico. Tito allora ordinò di appiccare il fuoco alle porte, dopo avervi fatto accumulare una grande quantità di materiale incendiario. I metalli delle porte si fusero, i battenti s’incenerirono e il fuoco si propagò al portico del Tempio. I difensori furono costernati nel vedere il fuoco penetrare nel Tempio e non fecero nulla per spegnerlo. Tito ordinò di estinguere l’incendio, essendo cessata ogni difesa bellica degli Zeloti, era il 9 di agosto. Tito dette, nuovamente, l’ordine di risparmiare il Tempio. Il 10 agosto del 70 fu il giorno più luttuoso per l’Ebraismo. Gli Zeloti, che avevano ripreso la difesa del Tempio, furono ricacciati indietro dai Romani, che lanciavano contro i fuggitivi tutto ciò che capitava loro in mano, anche i tizzoni dell’incendio che stavano spegnendo. Nella foga “uno dei soldati spinto da qualche impulso preternaturale (“daimonìo”) afferrò un legno ardente e, sollevato da un commilitone, lo lanciò dentro il Tempio attraverso la Finestra Dorata” (F. Giuseppe, Guerra Giudaica, VI, 4, 5). Le stanze del Tempio in cui cadde il tizzone erano di legno vecchio e contenevano i materiali infiammabili destinati ai fuochi degli olocausti liturgici, il caldo in agosto era tremendo e il tizzone fece divampare immediatamente un grande incendio, che divenne indomabile; Tito, impartì l’ordine di provare a spegnerlo, ma nella calca i suoi ordini non furono uditi e non furono eseguiti. I soldati furono presi da un furore irrefrenabile e irruppero nel santuario, iniziando a uccidere tutti i Giudei che incontravano sulla loro strada.

Attorno all’altare degli olocausti, sorsero mucchi di cadaveri, che per la grande altezza raggiunta, rotolavano in basso uno sull’altro. L’altare sembrava uno scoglio in mezzo ad un pantano di sangue” (G. Ricciotti, cit., p. 514).

Tito fece un ultimo tentativo per salvare il salvabile e penetrò dentro il Santo dei Santi ove era la Shekinah o Presenza reale di Jaweh sino alla morte di Gesù, tentando di obbligare i soldati a rispettare il luogo una volta santissimo ma, nulla valse a fermare la furia dei soldati. Fu allora che uno di essi lanciò dentro il Santo dei Santi, un tizzone acceso. Anche il Santo dei Santi era perduto. Mentre l’incendio consumava i resti del Tempio, i Romani offrirono un sacrificio di ringraziamento per la vittoria agli Dei.


Distruzione di Gerusalemme

Dopo la distruzione del Tempio fu la volta di Gerusalemme. Il 20 settembre i Romani l’occuparono senza incontrare ulteriori resistenze. I rivoltosi che si erano nascosti nel sottosuolo e nelle cloache furono scovati e uccisi. Durante i 5 mesi d’assedio i prigionieri furono 97.000 e i morti 1.100.000 (G. Flavio, Guerra Giudaica, VI, 9, 3).

Tito si recò a festeggiare la vittoria in Cesarea marittima, Cesarea di Filippo, Beirut, Antiochia e Alessandria d’Egitto. Da Alessandria salpò per Roma.

Il trionfo di Tito a Roma

Nell’Urbe celebrò il suo trionfo, nel 71, assieme a suo padre Vespasiano e a suo fratello Domiziano. I legionari portavano in trionfo alcuni oggetti preziosissimi presi nel Tempio: il candelabro a sette bracci, la tavola d’oro dei pani di preposizione, che furono deposti nel Tempio della Pace.

Giovanni di Ghischala e Simone Bar-Ghiora vennero fatti sfilare e mostrati quale bottino di guerra alla folla. Simone fu ucciso nel Carcere Mamertino ai piedi del Campidoglio, che fu anche la prigione di S. Pietro e S. Paolo.

In onore di Tito, dopo la sua morte, il Senato e il popolo romano innalzarono un Arco di Trionfo (detto “di Tito”), tra il Palatino e il Foro, sulla Via Sacra.

Anche Masada è espugnata

In Palestina restavano alcune fortezze ancora inespugnate: Masada, Herodium e Macheronte. Le ultime due furono espugnate facilmente entro il 73 ma, Masada, ove si erano rifugiati gli ultimi Sicari, sotto il comando di Eleazaro, resisté ancora e bisognò costruire un muro di circonvallazione attorno ad essa e poi un barbacane per raggiungere la sua sommità. Tuttavia, quando i Romani stavano per espugnare Masada (15 aprile del 73) i circa 960 Sicari che vi si trovarono preferirono suicidarsi piuttosto che essere fatti prigionieri dai Romani. La Giudea era totalmente conquistata da Roma.

Tra le disposizioni imposte dai Romani, una particolarmente urtò i Giudei: la tassa delle due dracme che prima era pagata per il Tempio di Gerusalemme, doveva essere versata per il Tempio di Giove Capitolino in Roma. Gerusalemme era quasi totalmente distrutta, il Sinedrio era disperso, il Tempio incenerito, il sacerdozio non poteva offrire più il sacrificio, che andava celebrato solo nel Tempio di Gerusalemme, ma un collegio di rabbini si riunì a Jamnia ove sin dal 68, col permesso di Roma, raccoglievano il materiale che fu poi fissato nel Talmud.

Se il Tempio e la maggior parte di Gerusalemme erano andati distrutti con la catastrofe (“shoah”) del 70, la Giudea non era stata ridotta certamente un deserto, lo sarebbe diventata nel 135. “Più tardi alcuni paesani poterono rientrare nella città demolita e ricostruirvi un piccolo centro di vita locale, in relazione con i benestanti Giudei della diaspora” (Giuseppe Ricciotti, Storia di Israele, Torino, SEI, 2° vol., 1933, p. 523).

Nella prossima puntata vedremo le vicende storiche che portarono alla devastazione di tutta la Giudea sotto Traiano, Adriano e Bar-Kokebà (132-135). 

don Curzio Nitoglia

Fine della Seconda Parte









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