ASIA OCCIDENTALE
05 novembre 2023 Ottobre 2023 Verso La Fine D’Israele? di Don Curzio Nitoglia
Yakov M. Rabkin, professore al Dipartimento di Storia dell’Università di Montreal, ha scritto un interessante libro intitolato: Una minaccia interna. Storia dell’opposizione ebraica al sionismo. Sin dall’«Introduzione» al suo libro, l’Autore rifiuta ogni tentativo di far passare per antisemita colui il quale rigetta il sionismo in nome dellaTorah. Infatti, lo Stato d’Israele non corrisponde ai canoni religiosi dei rabbini talmudisti, ma è piuttosto «un’entità nazionale nel senso europeo del termine» (p. 216). Invece, secondo i religiosi ebrei, «il Tempio può scendere dal cielo in qualsiasi momento […], affinché nessuno creda che il Tempio sia stato ricostruito da uomini […]. L’intera città di Gerusalemme può solo scendere dal cielo e non può derivare da sforzo umano» (ivi). Una delle sorprese che ci riserva il professore canadese d’origine russo-israelita, è quella secondo cui «tra i sostenitori incondizionati d’Israele ci sono più “cristiani” che ebrei». Infatti, secondo «il predicatore “evangelista” Jerry Falwell […], la fondazione dello Stato di Israele nel 1948 è “la prova che il ritorno di Gesù Cristo è vicino”». Tale tentativo è portato avanti non solo dagli ebrei sionisti, ma soprattutto dai “cristiani evangelisti”. Inoltre, il 17 gennaio 2010, abbiamo sentito che il coro del Tempio Maggiore ebraico romano cantava davanti a Benedetto XVI: “Aspettiamo il Messia”. Ma, per noi cattolici-romani Gesù è il Messia ed è venuto duemila anni or sono, ha fondato una Chiesa su Pietro e i suoi successori, i Papi, che sono i suoi “Vicari” in terra. Ora, come mai davanti al Vicario di Cristo Messia venuto, si canta “Aspettiamo il Messia” venturo? Forse, anche per il fatto che, secondo alcuni sionisti lo Stato d’Israele ha una valenza messianica, che sarà compiuta solo quando sarà ricostruito il terzo Tempio sulle rovine della Moschea di Omar? Di fronte a questa “mancanza di tatto”, per fortuna, anche qualche vescovo cattolico s’è svegliato; è famoso il caso di mons. Tadeusz Pironek ex Segretario della Conferenza Episcopale Polacca, il quale ha dichiarato «Gli Israeliani non rispettano i diritti umani dei Palestinesi. La shoah non è solo ebraica, ma riguarda cattolici e Polacchi» (Pontifex, 25 gennaio 2010, p. 2 e Corriere della Sera, 26 gennaio 2010, p. 17). A essi hanno fatto seguito mons. Simone Scatizzi vescovo emerito di Pistoia, mons. Ennio Appignanesi arcivescovo emerito di Potenza, mons. Vincenzo Franco vescovo emerito di Otranto, mons. Felice Leonardo vescovo emerito di Telese, con dichiarazioni “teologicamente scorrette” a tutto campo. Nel suo libro Rabkin spiega tale apparente contraddizione, grazie all’opposizione al sionismo e allo Stato d’Israele espressa dai rabbini ortodossi, dagli ebrei religiosi e anche da quelli liberali in nome della Torah per i primi due e del pacifismo o difesa dei diritti umani, in specie dei Palestinesi, per gli ultimi. Invece, erroneamente, tra noi goyjm si equipara antisionismo ad antisemitismo. L’attualità del libro del Rabkin oltrepassa la querelle tra ebrei religiosi, liberal-pacifisti e nazional-sionisti, per mostrare «quanto grave sia la posta in gioco per l’insieme del popolo ebraico, ancor più oggi che lo Stato sionista cerca d’imporre la propria egemonia politica e militare sulla regione, configurando una minaccia per gli ebrei ancor più fondamentale dell’ostilità araba e palestinese».
Lettura “ebraica non-sionista” della shoah La shoah è vista dagli ebrei religiosi come una sorta di ripetizione della distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio nel 70 da parte di Tito. Per gli ebrei religiosi e a-sionisti, la causa di tale “catastrofe” (traduzione esatta di “shoah”, che non significa “olocausto”) è stata l’infedeltà a Dio da parte del popolo ebraico, nel 70 e nel 135 (distruzione del Tempio, di Gerusalemme da parte di Tito e della Giudea da parte di Adriano); nel 1492 (espulsione degli ebrei dalla Spagna); nel 1942-45 (la “shoah” degli ebrei dell’Europa nord-orientale). Anche il gran rabbino sefardita di Gerusalemme, Ovàdia Yosèf, ha dichiarato: «Le vittime della shoah sono le anime dei peccatori askenaziti reincarnate e castigate dai Tedeschi» (La Stampa, 7 agosto 2000, p. 11). Egli è un noto cabalista e crede cabalisticamente alla reincarnazione delle anime. Sempre La Stampa di Torino nel medesimo articolo commenta: «Oltre a rendere i nazisti strumento divino, Yosèf avalla il concetto della responsabilità degli ebrei nella propria persecuzione». Interviene anche il gran rabbino askenazita di Gerusalemme, Meir Lau, (intervistato sul medesimo quotidiano, lo stesso giorno, nell’articolo succitato) e – pur non entrando in una disputa teologica anti-cabalistico/sefardita sulla reincarnazione – afferma: «Il concetto sefardita nelle sue conclusioni è simile a quello che usava la Chiesa quando sosteneva che gli ebrei erano destinati a espiare il Deicidio». Due giorni dopo, il 9 agosto del 2000, il rabbino capo di Torino Alberto Somèk, sefardita, rilascia una lunga e autorevole intervista a La Stampa, pagina 21, in cui spiega che: «Le dichiarazioni di Ovàdia Yosèf, lungi dall’aver legami con la politica mediorientale, riflettono un dibattito tutto interno all’ebraismo come religione. Sul piano teologico la reincarnazione ha solide basi (Talmud di Babilonia, Kiddushin 72a) soprattutto dopo l’espulsione degli ebrei dalla Spagna. Le parole di Yosèf suscitano scandalo perché attaccano una teologia alternativa: “Il silenzio di Dio”, che porta alla negazione della sua onnipotenza o anche della sua esistenza, la quale negazione riprende le teorie filosofiche moderne e laiciste della “Morte di Dio”. Rav Yosèf vuol gettare le basi teologicamente ortodosse della shoah simile alla distruzione del Tempio e all’espulsione dalla Spagna». Il 15 agosto è la volta del rabbino sefardita Sholòmo Benzìri, il quale asserisce: «Durante l’olocausto i pionieri sionisti [askenaziti, nda] s’interessavano più alle proprie vacche che non al salvataggio delle Comunità ebraiche ortodosse in Europa. I Padri del sionismo [askenaziti, nda] le abbandonarono al proprio destino. Commisero un crimine imperdonabile» (La Stampa, p. 1).
La Germania aggredita dal sionismo? Rabkin confessa onestamente che nel 1933 è stata per prima «l’ala più combattiva del sionismo a tenere un discorso aggressivo nei confronti del nuovo [1933] governo tedesco. Jabotinsky agisce come se fosse il comandante supremo delle forze armate ebraiche. Egli attacca la Germania dalla radio ufficiale polacca». Il “Daily Express” del 24 marzo 1933 in prima pagina intitola: “Judea declares war on Germany. Jews of all the world unite in action. Boycott of german goods”. Hitler era appena andato al potere (gennaio 1933). Lo stesso Rabkin, che non è certamente un nazista o un antisemita, scrive: «I sionisti avrebbero dichiarato guerra a Hitler e al suo Paese molto prima della seconda guerra mondiale, avrebbero chiamato a un boicottaggio economico della Germania, scatenando la rabbia del dittatore. […] Sono questi “uomini di Stato” che nel 1933 hanno organizzato l’irresponsabile boicottaggio contro la Germania […], che ha portato la disgrazia sugli ebrei d’Europa». Rabkin continua: «Tutti i critici accusano i leader sionisti di essersi occupati più di un futuro Stato che della sorte degli ebrei […], così molti tentativi di salvare degli ebrei in Ungheria e altrove, avrebbero trovato una resistenza da parte dei dirigenti sionisti». Addirittura ci spiega che non gli antisemiti, ma «gli haredim [ebrei ultraortodossi, nda] e coloro, che provengono dall’ambiente ebraico liberale, sono stati forse i primi a paragonare i sionisti ai nazisti […] per il culto della forza e l’adorazione dello Stato. Questi paragoni, all’epoca, abbastanza frequenti, […] sono stati ripresi dopo dalla propaganda sovietica e, più tardi, da molti media arabi». Le Leggi razziali di Norimberga sono del 1935, cioè due anni dopo la dichiarazione di guerra del giudaismo sionista alla Germania.
Pericolosità apocalittica del sionismo Secondo molti pensatori haredim «la shoah e lo Stato d’Israele non costituiscono affatto degli avvenimenti antitetici – distruzione e ricostruzione -, ma piuttosto un processo continuo: l’eruzione finale delle forze del male […]. La tradizione giudaica considera rischiosa ogni concentrazione di ebrei in uno stesso luogo. I critici odierni fanno osservare che le previsioni più gravi sembrano realizzarsi, perché lo Stato d’Israele è diventato “l’ebreo tra le Nazioni” e il Paese più pericoloso per un ebreo». Che cosa dire oggi (ottobre 2023), nella tragica congiuntura storica che stiamo vivendo, riguardo a questa costatazione fatta dagli haredim? Nel capitolo VII del suo libro Rabkin continua e approfondisce questo stesso tema: «Lo Stato d’Israele è in pericolo […]. Quello che veniva presentato come un rifugio, addirittura il rifugio per eccellenza, sarebbe diventato il luogo più pericoloso per gli ebrei. Sono sempre più numerosi gli israeliani che si sentono presi in una “trappola sanguinaria”. […] E cresce il numero di quanti esprimono dubbi circa la sopravvivenza di uno Stato d’Israele creato in Medio Oriente, in quella “zona pericolosa” […]. I teorici dell’antisionismo rabbinico sostengono […] che la shoah sia solo l’inizio di un lungo processo di distruzione, che l’esistenza dello Stato d’Israele non fa che aggravare. […] Concentrare [nove, nda] milioni di ebrei in un luogo così pericoloso sfiora la follia suicida».
Conclusione Mentre in “occidente” i goyjm sono ossessionati dalla shoah, come da “un passato che non passa” (Sergio Romano); in Israele da parte di molti si comincia a capire che la shoah è l’inizio di un lungo processo di distruzione. Infatti, essa è la trappola rischiosamente cruenta per i circa nove milioni di ebrei concentrati in un medesimo luogo. Quello che poteva sembrare inizialmente un magnifico trionfo o un bellissimo sogno, si sta rivelando sempre di più un terribile scacco e un tremendo processo di auto-distruzione. Giustamente il Rabkin vede in Israele un pericolo per l’intera umanità, che potrebbe portare a una ‘catastrofe’ di proporzioni mondiali. Alla luce di quanto sta succedendo in questi giorni in Palestina, con il rischio che la guerra israeliana si estenda al Libano, all’Iran e alla Russia come dar torto al professor Rabkin? Infatti, egli ci mostra quanto sia grave la posta in gioco per l’insieme del popolo ebraico, e ciò vale ancor più oggi (2023), quando lo Stato sionista cerca d’imporre la propria egemonia politica e militare anche nei confronti del Libano, della Siria, dell’Iran e, perciò, anche della Russia. Se, si considera – anche alla luce della stessa tradizione ebraica – il rischio della concentrazione di milioni di ebrei in uno stesso luogo, i tragici fatti odierni ci fanno osservare che le previsioni più gravi sembrano realizzarsi, perché realmente «lo Stato d’Israele è diventato “l’ebreo tra le Nazioni” e il Paese più pericoloso per un ebreo». In effetti, lo Stato d’Israele è in pericolo e con esso il mondo intero. don Curzio Nitoglia
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