Ambientalismo
03 novembre 2023

IL FALLIMENTO DEL FOTOVOLTAICO: COSTA DIECI VOLTE PIÙ DEL NUCLEARE

ARITMETICA IN PARLAMENTO


Se qualche parlamentare ci legge, e se è volenteroso, vorrei suggerirgli di eseguire in Aula un semplice calcolo aritmetico. Potrebbe cominciare, come di solito, con “Onorevoli colleghi…”, fin qui è facile. Ma, tutto sommato, è facile anche il resto. Ecco qua.


Nel paese sono installati impianti fotovoltaici (Fv) per 24 GW (gigawatt), i quali producono 3 GW elettrici. Così per produrre 1 GW elettrico col Fv bisogna installare 8 GW di pannelli. Il Fv costa 2400 euro per kW (chilowatt): questo è, per esempio, proprio il prezzo che il governo giallo-rosso precedente ha pagato a chi installava il Fv nell’ambito di quel capolavoro che passa sotto il nome di Superbonus 110%.  Basta ora moltiplicare 2400 euro/kW per 8 GW per sapere quanto denaro ci vuole per produrre 1 GW elettrico col fotovoltaico: euro più euro meno sono 20 miliardi.


E proprio 20 miliardi sono quelli impegnati dalla Polonia alla Westinghouse che le fornirà 3 reattori nucleari che produrranno 3.3 GW elettrici. Cioè gli stessi soldi per ottenere, apparentemente, il triplo. Solo apparentemente. Innanzitutto, gli impianti nucleari hanno vita certificata tripla di quella degli impianti Fv. Detto diversamente, per garantirsi col Fv la produzione di 1 GW elettrico per 60 anni, bisognerà impegnare 60 miliardi, e per garantirsi 3.3 GW elettrici bisognerà impegnare 200 miliardi. Mica fessi i polacchi: con 20 miliardi ottengono lo stesso risultato.


Inoltre, il Fv produce per 6 ore al giorno (sempreché il cielo di giorno sia limpido) cosicché deve essere affiancato o da impianti convenzionali per coprire le restanti 18 ore o, peggio mi sento, da sistemi di accumulo. Trascuriamo la prima opzione perché gli impianti convenzionali (gas o carbone) emettono CO2 che, a detta dei plenipotenziari di Bruxelles, è il diavolo.  


Per discutere i sistemi d’accumulo è necessaria ancora un po’ d’aritmetica. Il nostro Paese assorbe, come minimo, 30 GW, cioè per le 16 ore quando il Fv è morto, moltiplicando i due numeri, consuma quasi 500 GWh (gigawattora) d’elettricità. Ma 500 GWh di capacità d’accumulo non possono essere ovviamente sufficienti, perché se si accumulano oggi col sole e si consumano più tardi quando è buio, non è detto che il mattino dopo sia bello. Insomma, avremmo bisogno di capacità di accumulo che copra per più giorni. Quanti? I tecnici che sanno queste cose dicono per 20 giorni, per stare proprio al sicuro. Ma noi ci accontentiamo di 4 giorni, cioè di 4x500=2000 GWh che, al costo di 1 miliardo di euro per GWh, fanno 2000 miliardi, che è l’intero nostro Pil. È evidente che l’opzione dell’accumulo non è percorribile.


Ci tocca tornare sui nostri passi, rivedere quanto prima trascurato, e risolverci con l’affiancare al Fv gli impianti convenzionali. I più costosi dei quali sono, appunto quelli nucleari. Ma abbiamo appena detto che con 20 miliardi di nucleare si ottiene lo stesso di quel che si ottiene con 200 miliardi di Fv. La conclusione di qualunque buon padre di famiglia sarebbe: il Fv non voglio vederlo neanche dipinto. I 200-20=180 miliardi evitati serviranno non solo per scuole, ospedali, ferrovie e quant’altro vi venga in mente; ma serviranno per dighe, argini, invasi, casse d’espansione e tutto il resto che ci vuole per governare le acque ed evitare sia quelle alluvioni che quelle conseguenze dei periodi di siccità che gli allupati venditori di Fv promettono di evitarci coi loro farlocchi impianti.


Il Fv è incentivato in Italia da quasi vent’anni, e in Paesi come la Germania da quasi trent’anni. Ha già dimostrato di aver fallito (cosa peraltro prevedibile e, a dire il vero, ben prevista): «se in Italia ci sono 24 GW di Fv che producono 3 GW elettrici, in Germania ci sono 70 GW di Fv che producono 7 GW elettrici». Ecco cosa potrebbe dire il mio parlamentare ideale in Aula. E potrebbe concludere sollevando il dubbio che se dopo oltre vent’anni una tecnologia pretende ancora incentivi con denaro pubblico, forse quella tecnologia assomiglia alle lozioni per far crescere i capelli.


C’è una sola fonte rinnovabile che val la pena incentivare: l’idroelettrico di grossa taglia. Ma l’incentivo che serve non è tanto economico quanto di garanzia. Garanzia che chi impegna denaro privato su un’opera essa vada poi a buon fine. Oggi come oggi, anche aprire un passo carraio induce la formazione di comitati contro di esso. Ai tempi di Pierluigi Bersani il settore energetico è stato abbandonato nelle mani di enti locali, anche minuscoli, col potere di bloccare l’intero Paese. Oggi si sono inventati un’altra perla: le “comunità energetiche”, sorgenti di sperperi e di confusione in un settore che avrebbe invece bisogno del controllo del governo centrale e, soprattutto, di essere elevato a settore strategico. 


Quando il 2 giugno 1955 si riunirono a Messina – rappresentava l’Italia Gaetano Martino, padre del compianto Antonio – i membri della Ceca approvarono la risoluzione secondo cui «la Ue non ha futuro senza energia abbondante e a buon mercato». E Ceca significava Comunità europea del carbone e dell’acciaio, cosa di cui a Bruxelles si sono belli e dimenticati. Chi oggi governa la Ue ha ridotto l’Europa ad irrilevante espressione geografica e, se non viene fermato in tempo, verrà posta in svendita all’ingrosso, con l’Italia il boccone più appetitoso e più a buon mercato. Il rischio è che possa arrivare il momento quando sarà troppo tardi per porvi rimedio.


Franco Battaglia 











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