02 ottobre 2023

IL TRANSUMANESIMO IN UNA MOSTRA A MILANO CON LA SPONSORIZZAZIONE DELLA DEUTCHE BANK

Lu Yang 7 vite come i gatti

di Antonella Brizzolara

Anche gli orsetti hanno sette vite come i gatti, l’ho scoperto alla Mostra di LuYang al MUDEC di Milano (dal 14 sett. - 22 ott.). Orsetti digitalizzati s’intende. Veramente non del tutto orsetto ma solo in parte: solo la testa. Il resto del corpo è un umanoide infilato nella tutina appositamente ideata da un altrettanto creativo per vestire le reincarnazioni virtuali di Lu Yang, performer asiatico dall’estro macabro e un tantino depresso. La testa pelosetta della reincarnazione Animal che ricorda quello stile anni 70 un po’ superato: copricapo di pelo abbinato ai dopo sci dalla stessa foggia pelosa: un bel completino per un’apparizione d’effetto all’aperitivo al Vip e Bilbò Club di Cortina. In ogni caso Animal è proprio animalesco nelle movenze, nei tratti, la sua danza famelica mi ricorda che sono fortunata ad essere solo spettatrice al di fuori del video altamente tecnologico e curato dalla Britta Faber, Global Head of Art & Culture comprensibilmente costato alla Deutsche Bank un patrimonio ma chi se ne frega, sono soldini ben spesi, in un modo o nell’altro bisognava pur sdoganare in forma pseudoartistica il transumanesimo e l’afro-futurismo! Ops scusate è da un pezzo che imperversavano ma non mi ero mai accorta che fosse una forma d’arte ma solo un cambio di paradigma. Le nuove generazioni ne sono affascinate sia per la tecnologia innovativa e l’art-video immaginifica che per i contenuti postmoderni. Nel bene e nel male anche i c.d. adulti sopra gli anta possono rimanerne impressionati? Nel male sì, senz’altro e non mi riferisco solo all’atmosfera così aliena dall’essere umano ma anche da ciò che traspare dall’intimo sentire che Lu Yang vuole farci conoscere. “Creatore d’opere” così si definisce Lu Yang infatti non vuole essere chiamato artista e benché non avessi nessuna intenzione di farlo, devo riconoscergli quel tanto di squilibrio al kilo che lo accomuna ai folli che son detti geniali solo perché destabilizzati. Presentato al MUDEC come uno dei più talentuosi esponenti dell’avanguardia contemporanea, nonostante le fattezze e gli occhi a mandorla, Lu Yang non vuole nemmeno dirsi cinese; forse inglese? No, Abruzzese? Nemmeno. Si chiama cittadino di Internet così che, in quanto tale, dietro lo schermo dell’internauta “si può abbandonare la propria identità, nazionalità, genere, persino la propria identità come essere umano”. Chiaramente non menziona il sesso e quanto al genere è ovviamente “fluid”. Insomma si pone quale essere indefinibile e quindi inafferrabile. Gli Avatar di LU Yang sebbene danzanti sono per lo più arrabbiati, brandiscono teste mozzate e si aggirano come dannati in ambienti che ricordano molto da vicino il presbiterio di immense cattedrali usurpate da satanisti ma il riferimento è, invero, al Buddismo Karmico, la ruota Karmica della vita con le sue morti e resurrezioni. L’Avatar Heaven vestito di bianco con l’aureola pare però non trovarsi a suo agio in luogo definitivo, dovrà combattere ancora contro l’Avatar distruttore personaggino di tutto rispetto davanti al quale l’Avatar Hell pare perfino un tipo tranquillo. Questi Avatar fanno tenerezza esprimono il disagio di Lu Yang di stare nel corpo reale per questo li ha digitalmente creati. Una fuga insomma nell’artefatto mondo digitale dove tutto è possibile anche superare il confine tra la vita e la morte in quanto un Avatar è di per sé un altro sé digitalmente reincarnato.

Alla fine del percorso espositivo l’esperimento tecnologico di rara intensità non lascia indifferenti avendo suscitato sentimenti ed emozioni contrastanti che si possono così felicemente riassumere nella perplessa domanda posta da una visitatrice alla guida: “ma questo qui si è fatto mai psicanalizzare?








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