22 settembre 2023 Papa eretico: si può giudicare solo dopo morto. Lo disse Mons. Schneider e noi lo ripetiamo.
Articolo tratto dal sito: MESSA IN LATINO
Dopo
le imbarazzanti dichiarazioni personali di Papa Francesco in
Portogallo (si veda qui:
sulle persone trans che egli chiama donne anche se sono nate uomini;
sulla "cappellana" al femminile - ricordiamo che quello del
"capellano" è un ufficio proprio dei sacerdoti,
disciplinato dal Diritto Canonico e da altre leggi ecclesiastiche-,
sulla affermazione sconvolgente che "la dottrina cambia",
sulla assoluzione di fatto della pratica omossessuale, sull'errata
opinone che
la Chiesa è peccatrice), fino a quelle pù gravi di Abu Dhabi
(qui),
riproponiamo un interessante nostro
post del 2019 sullo studio che mons. Schneider ha condotto, in
qualità di canonista e di teologo, sulla possibilità del cosidetto
"papa eretico" e sulle conseguenze.
In buona sostanza
Schneider ritiene che il papa si può solo "criticare", ma,
in ossequio al diritto canonico (e ancor prima alla volontà di N. S.
G. C. che lo istituì proprio Vicario) può essere giudicato solo
dopo morto (o dopo eventuale abdicazione) (vedere anche QUI).
Può
essere uno spunto interessante per quanti si sentono confusi
sull'attuale magistero del Papa Francesco.
Corrispondenza
Romana, 20 Marzo 2019
Pubblichiamo
una traduzione italiana, autorizzata dall’autore, di un importante
studio di S. E. Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di
Astana dedicato all’ipotesi del Papa eretico, nella certezza che
esso possa arricchire il dibattito e offrire utili elementi di
orientamento.
Sulla
questione di un papa eretico
La
questione di come comportarsi con un papa eretico, in termini
concreti, non è stata ancora trattata, nell’intera tradizione
cattolica, in modo tale da avvicinarsi a qualcosa che assomigli a un
vero consenso generale. Finora, né un papa né un Concilio ecumenico
hanno formulato dichiarazioni dottrinali rilevanti né hanno emanato
norme canoniche vincolanti sull’eventualità di come avere a che
fare con un papa eretico durante il mandato del suo ufficio.
Non
vi è alcun caso storico di perdita del pontificato da parte di un
papa, durante il suo mandato, a causa di eresia o presunta eresia.
Papa Onorio I (625-638) fu scomunicato postumo da tre Concili
ecumenici (il Terzo Concilio di Costantinopoli del 681, il Secondo
Concilio di Nicea del 787 e il Quarto Concilio di Costantinopoli
dell’870) poiché sosteneva la dottrina eretica di quanti
promuovevano il Monotelismo, contribuendo così a diffondere questa
eresia. Nella lettera con cui confermò i decreti del Terzo Concilio
di Costantinopoli, Papa San Leone II (682-683) lanciò l’anatema su
Papa Onorio (“anathematizamus Honorium“), affermando che il suo
predecessore “non illuminò questa Chiesa apostolica con la
dottrina de La
tradizione apostolica, ma cercò di sovvertire l’immacolata fede
con un empio tradimento” (Denzinger-Schönmetzer, 563).
Il
Liber Diurnus Romanorum Pontificum, una raccolta eterogenea di
formulari usati nella cancelleria papale fino all’XI secolo,
contiene il testo del giuramento papale, secondo il quale ogni nuovo
papa, al suo insediamento, doveva giurare di aver “riconosciuto il
Sesto Concilio Ecumenico che colpì con eterno anatema i creatori
dell’eresia (monotelita), Sergio, Pirro, ecc., insieme con Onorio”
(PL 105, 40-44).
In
alcuni Breviari fino al XVI o XVIII secolo, Papa Onorio fu menzionato
come eretico nelle lezioni del Mattutino per il 28 giugno, la festa
di San Leone II: “In synodo Constantinopolitano condemnati sunt
Sergius, Cyrus, Honorius, Pyrrhus, Paulus et Petrus, nec non et
Macarius, cum discipulo suo Stephano, sed et Polychronius et Simon,
qui unam voluntatem et operationem in Domnino Jesu Christo dixerunt
vel praedicaverunt“. La presenza di questa lettura in alcuni
Breviari lungo molti secoli mostra che molte generazioni di cattolici
non hanno considerato scandaloso che un papa particolare, e in un
caso molto raro, sia stato giudicato colpevole di eresia o di
sostegno all’eresia. In quei tempi, i fedeli e la gerarchia della
Chiesa potevano chiaramente distinguere tra l’indistruttibilità
della Fede cattolica divinamente garantita dal Magistero della Sede
di Pietro e l’infedeltà e il tradimento di un singolo papa
nell’esercizio concreto del suo magistero.
Dom
John Chapman, nel suo libro “The Condemnation of Pope Honorius”
(Londra 1907), spiega che lo stesso Terzo Concilio Ecumenico di
Costantinopoli, che lanciò l’anatema su Papa Onorio, determinò
una chiara distinzione tra l’errore di un singolo papa e
l’inerranza nella fede della Sede Apostolica come tale. Nella
lettera con cui chiedevano a papa Agatone (678-681) di approvare le
decisioni conciliari, i Padri del Terzo Concilio Ecumenico di
Costantinopoli affermano che Roma ha una fede indefettibile,
autorevolmente promulgata per tutta la Chiesa dai vescovi della Sede
Apostolica, i successori di Pietro. Ci si può chiedere: come è
stato possibile per il Terzo Concilio Ecumenico di Costantinopoli
affermare ciò e nello stesso tempo condannare un papa come un
eretico? La risposta è abbastanza chiara. Papa Onorio I era
fallibile, si sbagliava, era un eretico, proprio perché non aveva
ribadito autorevolmente, come avrebbe dovuto, la tradizione petrina
della Chiesa romana. A quella tradizione non aveva fatto appello, ma
aveva semplicemente approvato e ampliato una dottrina errata. Ma una
volta riprovate dai suoi successori, le parole di papa Onorio I si
resero innocue di fronte al dato dell’intransigenza nella fede
della Sede Apostolica. Erano ridotte al loro vero valore, ovvero alla
mera espressione della sua personale visione.
Papa
San Agatone non si lasciò confondere e scuotere dal comportamento
deplorevole del suo predecessore Onorio I, che aveva contribuito a
diffondere l’eresia, ma mantenne la sua visione soprannaturale
sull’inerranza della Sede di Pietro nell’insegnare la fede, come
scrisse agli imperatori a Costantinopoli: “Questa è la regola
della vera fede, che questa madre spirituale del tuo molto pacifico
impero, la Chiesa Apostolica di Cristo (la sede di Roma) ha sempre
sostenuta e difesa con energia sia nella prosperità che
nell’avversità; che, sarà dimostrato, per grazia di Dio
Onnipotente, non ha mai deviato dal sentiero della tradizione
apostolica, né è stata depravata cedendo alle innovazioni eretiche,
ma fin dall’inizio ha ricevuto la fede cristiana dai suoi
fondatori, i principi degli Apostoli di Cristo, e rimane
incontaminata fino alla fine, secondo la promessa divina dello stesso
Signore Salvatore, che egli annunciò nei santi Vangeli al principe
dei suoi discepoli dicendo: “Simone, Simone, ecco Satana vi ha
cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non
venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi
fratelli” (Ep. “Consideranti mihi” ad Imperatores).
Dom
Prosper Guéranger diede una breve e lucida spiegazione teologica e
spirituale di questo caso concreto di un papa eretico, dicendo: “Ma
quale tattica in questa campagna di Satana! Quale plauso nell’abisso
allorché un giorno il rappresentante [Papa Onorio I] di Colui che è
la luce apparve complice delle potenze delle tenebre per recare la
notte! Previeni, o Leone, il ripetersi di situazioni così penose!”
(L’Anno Liturgico, Alba (Cuneo) 1956, vol. 2, pag. 828).
Vi
è, inoltre, il fatto che durante duemila anni non vi è mai stato un
caso in cui un papa durante il mandato del suo ufficio sia stato
dichiarato deposto a causa del reato di eresia. Papa Onorio I fu
anatemizzato solo dopo la sua morte. L’ultimo caso di un papa
eretico o semieretico fu il caso di Papa Giovanni XXII (1316-1334),
secondo cui i santi avrebbero goduto della visione beatifica solo
dopo il Giudizio Universale, nella seconda venuta di Cristo. La
questione delle teorie papali erronee venne così affrontata: ci
furono ammonizioni pubbliche (dell’Università di Parigi e di Re
Filippo VI di Francia) e una confutazione diffuse attraverso diverse
pubblicazioni teologiche e una correzione fraterna da parte del
Cardinale Jacques Fournier, che poi succedette a Giovanni XXII con il
nome di Papa Benedetto XII (1334-1342).
La
Chiesa, nei rarissimi casi concreti di un pontefice che commette
gravi errori teologici o eresie, potrebbe sicuramente continuare a
vivere. La pratica della Chiesa fino ad ora è stata quella di
lasciare il giudizio finale su un papa eretico regnante ai suoi
successori o ad un futuro Concilio ecumenico, come nel caso di Papa
Onorio I. Lo stesso sarebbe probabilmente accaduto con Papa Giovanni
XXII, se non avesse ritrattato il suo errore.
I
pontefici furono deposti diverse volte da poteri secolari o da gruppi
criminali. Ciò avvenne specialmente durante il “saeculum
obscurum”, il cosiddetto secolo buio (X e XI secolo), quando gli
imperatori tedeschi deposero diversi papi indegni, non a causa della
loro eresia, ma per la loro scandalosa vita immorale e per il loro
abuso di potere. Tuttavia, non furono mai deposti secondo una
procedura canonica, poiché ciò è impossibile a causa della
struttura divina della Chiesa. Il papa ottiene la sua autorità
direttamente da Dio e non dalla Chiesa; perciò la Chiesa non può
deporlo, per nessuna ragione.
È
un dogma di fede che il papa non possa proclamare un’eresia quando
insegna ex cathedra. Questa è la garanzia divina che le porte
dell’inferno non prevarranno contro la cathedra veritatis, che è
la Sede Apostolica dell’apostolo San Pietro. Dom John Chapman,
esperto sulla storia della condanna di papa Onorio I, scrive:
“L’infallibilità è, per così dire, il vertice di una piramide.
Più solenni sono le espressioni della Sede Apostolica, più possiamo
essere certi della loro verità. Quando raggiungono il massimo della
solennità, cioè quando sono rigorosamente ex cathedra, la
possibilità di errore viene completamente eliminata. L’autorità
di un papa, anche in quelle occasioni in cui non è effettivamente
infallibile, deve essere implicitamente seguita e riverita. Che possa
essere dalla parte sbagliata è una contingenza che la storia e la
fede mostrano come possibile” (The Condemnation of Pope Honorius,
London 1907, pag. 109).
Se
un papa diffonde errori dottrinali o eresie, la struttura divina
della Chiesa fornisce già un antidoto: la supplenza ministeriale dei
rappresentanti dell’episcopato e l’invincibile sensus fidei dei
fedeli. In questa materia il fattore numerico non è decisivo. È
sufficiente avere anche solo un paio di vescovi che proclamino
l’integrità della fede e correggano in tal modo gli errori di un
papa eretico. È sufficiente che i vescovi istruiscano e proteggano
il loro gregge dagli errori di un papa eretico e che i loro sacerdoti
e i genitori delle famiglie cattoliche facciano lo stesso. Inoltre,
poiché la Chiesa è anche una realtà soprannaturale, un mistero, un
unico organismo soprannaturale, ovvero il Corpo mistico di Cristo, i
vescovi, i sacerdoti e i fedeli laici – oltre a correzioni,
appelli, professioni di fede e resistenza pubblica – devono
necessariamente compiere anche atti di riparazione e di espiazione
alla Divina Maestà per le eresie di un papa. Secondo la Costituzione
dogmatica Lumen gentium (cfr 12) del Concilio Vaticano II, l’intero
corpo dei fedeli non può errare nella fede, quando dai vescovi fino
all’ultimo fedele laico, mostrano un consenso universale in
questioni di fede e morale. Anche se un papa sta diffondendo errori
teologici ed eresie, la Fede della Chiesa nel suo complesso rimarrà
intatta a causa della promessa di Cristo circa l’assistenza
speciale e la presenza permanente dello Spirito Santo, lo Spirito
della verità, nella sua Chiesa (cfr Gv 14,17; 1 Gv 2,27)
Quando,
per un imperscrutabile permesso di Dio, in un certo momento della
storia e in un caso molto raro, un papa diffonde errori ed eresie
attraverso il suo magistero quotidiano o non infallibile, la Divina
Provvidenza risveglia allo stesso tempo la testimonianza di alcuni
membri del collegio episcopale e anche i fedeli, per compensare i
fallimenti temporanei del Magistero pontificio. Si deve dire che una
tale situazione è molto rara, ma non impossibile, come dimostra la
storia della Chiesa. La Chiesa è davvero un unico corpo organico, e
quando c’è una infermità o una mancanza nella testa (il papa), il
resto del corpo (i fedeli) o parti eminenti dello stesso (i vescovi)
suppliscono i temporanei errori papali. Uno degli esempi più famosi
e tragici di una simile situazione si verificò durante la crisi
ariana del IV secolo, quando la purezza della fede fu mantenuta non
tanto dall’ecclesia docens (papa ed episcopato) ma dall’ecclesia
docta (fedeli), come ha affermato il beato John Henry Newman.
La
teoria o l’opinione della perdita dell’ufficio papale per
deposizione o ipso facto implicitamente identifica il papa con tutta
la Chiesa o manifesta l’atteggiamento malsano di un “centrismo
papale”, in ultima analisi, della papolatria. I sostenitori di tale
opinione (specialmente alcuni santi) manifestavano un esagerato
ultramontanismo o “centrismo papale”, rendendo il pontefice una
sorta di semi-dio, che non può commettere errori, nemmeno in materie
fuori dell’oggetto dell’infallibilità papale. Quindi, un papa
che commette errori dottrinali – il che include teoreticamente e
logicamente anche la possibilità di commettere l’errore dottrinale
più grave, ovvero un’eresia – è per i seguaci di questa
opinione (cioè la deposizione di un papa e la perdita del suo
ufficio a causa dell’eresia) insopportabile o impensabile, anche se
si tratta di temi estranei all’infallibilità papale.
La
teoria o l’opinione teologica secondo la quale un papa eretico può
essere deposto o perdere l’ufficio era estranea al primo millennio.
Ha avuto origine solo nell’alto medioevo, in un periodo in cui il
papo-centrismo arrivò a un certo apice, quando inconsapevolmente il
papa fu identificato con la Chiesa in quanto tale. Ciò presagiva
già, nella sua radice, l’atteggiamento mondano di un principe
assolutista secondo il motto: “L’État, c’est moi!” o, in
termini ecclesiastici: “Io sono la Chiesa!”.
L’opinione
che sostiene che un papa eretico perde il suo ufficio ipso facto, è
diventata comune a partire dall’alto Medioevo fino al XX secolo.
Rimane un’opinione teologica e non un insegnamento della Chiesa e
quindi non può rivendicare il titolo di un costante e perenne
insegnamento della Chiesa in quanto tale, poiché nessun Concilio
ecumenico e nessun papa hanno sostenuto esplicitamente tale opinione.
La Chiesa, tuttavia, condannò un papa eretico, ma solo dopo la morte
e non durante il mandato del suo ufficio. Anche se alcuni santi
Dottori della Chiesa (ad esempio S. Roberto Bellarmino e S. Francesco
di Sales) sostengono una tale opinione, essa non prova la sua
certezza o un consenso dottrinale generale. Si sa che anche i Dottori
della Chiesa hanno errato; questo è il caso di San Tommaso d’Aquino
sulla questione dell’Immacolata Concezione, sulla questione della
materia del sacramento dell’Ordine o sul carattere sacramentale
dell’ordinazione episcopale.
C’è
stato un periodo nella Chiesa in cui si aveva, per esempio,
un’opinione teologica comune oggettivamente sbagliata secondo la
quale la consegna degli strumenti era materia del sacramento
dell’Ordine; un’opinione, tuttavia, che non poteva invocare
antichità né universalità, anche se fu per un tempo limitato
supportata da un papa (dal decreto di Eugenio IV) o da libri
liturgici (anche se per un breve periodo). Questa opinione comune fu
tuttavia corretta da Pio XII nel 1947.
La
teoria – di deporre un papa eretico o della perdita del suo ufficio
ipso facto a causa dell’eresia – è solo un’opinione, che non
soddisfa le necessarie categorie teologiche dell’antichità,
dell’universalità e del consenso (semper, ubique, ab omnibus). Non
ci sono state dichiarazioni del Magistero ordinario universale o del
Magistero pontificio che avrebbero sostenuto le teorie della
deposizione di un papa eretico o della perdita del suo ufficio ipso
facto a causa dell’eresia. Secondo una tradizione canonica
medievale, poi raccolta nel Corpus Iuris Canonici (la legge canonica
valida nella Chiesa latina fino al 1918), un papa potrebbe essere
giudicato in caso di eresia: “Papa a nemine est iudicandus, nisi
deprehendatur a fide devius“, cioè “il papa non può essere
giudicato da nessuno, a meno che non sia stato trovato deviante dalla
fede” (Decretum Gratiani, Prima Pars, dist. 40, c. 6, 3. pars). Il
Codice di Diritto Canonico del 1917 tuttavia, eliminò la norma del
Corpus Iuris Canonici, che parlava di un papa eretico. E nemmeno il
Codice di Diritto Canonico del 1983 prevede tale norma.
La
Chiesa ha sempre insegnato che anche una persona eretica,
automaticamente scomunicata a causa dell’eresia formale, può
tuttavia amministrare validamente i sacramenti e che un prete eretico
o scomunicato può in un caso estremo esercitare anche un atto di
giurisdizione impartendo a un penitente l’assoluzione sacramentale.
Le norme dell’elezione papale, valide fino a Paolo VI incluso,
ammettevano che anche un cardinale scomunicato poteva partecipare
all’elezione ed essere eletto papa: “Nessun Cardinale elettore
potrà essere escluso dall’elezione, attiva e passiva, del Sommo
Pontefice, a causa o col pretesto di qualunque scomunica,
sospensione, interdetto o di altro impedimento ecclesiastico; queste
censure dovranno ritenersi sospese soltanto agli effetti di tale
elezione” (Paolo VI, Costituzione Apostolica Romano Pontifice
eligendo, 35). Questo principio teologico deve essere applicato anche
al caso di un vescovo eretico o di un papa eretico, che nonostante le
loro eresie possono validamente compiere atti di giurisdizione
ecclesiastica e quindi non perdere ipso facto l’ufficio a causa
dell’eresia.
La
teoria o opinione teologica che consente la deposizione di un papa
eretico o la perdita del suo ufficio ipso facto a causa dell’eresia
è in pratica inattuabile. Se fosse applicata nella pratica,
creerebbe una situazione simile a quella del Grande Scisma, che la
Chiesa già sperimentò disastrosamente alla fine del XIV e
all’inizio del XV secolo. Infatti, ci sarà sempre una parte del
collegio cardinalizio e una parte considerevole dell’episcopato
mondiale e anche dei fedeli che non saranno d’accordo nel
considerare un concreto errore papale (errori) come eresia formale
(eresie), e di conseguenza continueranno a considerare il papa
regnante come l’unico papa legittimo.
Uno
scisma formale, con due o più pretendenti al trono pontificio –
che sarà una conseguenza inevitabile anche di una deposizione
canonica di un papa – causerà necessariamente più danni alla
Chiesa nel suo complesso che un periodo relativamente breve e molto
raro in cui un papa diffonde errori dottrinali o eresie. La
situazione di un papa eretico sarà sempre relativamente breve
rispetto ai duemila anni di esistenza della Chiesa. In questo caso
raro e delicato bisogna lasciare spazio a un intervento della Divina
Provvidenza.
Il
tentativo di deporre un papa eretico ad ogni costo è segno di un
comportamento troppo umano, che alla fine riflette una riluttanza a
sopportare la croce temporale di un pontefice eretico. Forse riflette
anche l’emozione troppo umana della stizza. In ogni caso, offrirà
una soluzione eccessivamente umana e, in quanto tale, in qualche modo
simile al comportamento nella politica. La Chiesa e il Papato sono
realtà non puramente umane, ma anche divine. La croce di un papa
eretico – anche quando è di durata limitata – è la più grande
croce immaginabile per tutta la Chiesa.
Un
altro errore nell’intenzione o nel tentativo di deporre un papa
eretico consiste nell’identificazione indiretta o subconscia della
Chiesa con il papa o nel fare del papa il punto focale della vita
quotidiana della Chiesa. Ciò significa in definitiva e
subconsciamente un cedimento a un ultramontanismo malsano, al
papo-centrismo e alla papolatria, cioè un culto della personalità
papale.
Ci
sono stati effettivamente periodi nella storia della Chiesa quando,
per un tempo considerevole, la Sede di Pietro rimase vacante. Ad
esempio dal 29 novembre 1268 al 1° settembre 1271, non ci fu nessun
papa e nemmeno alcun anti-papa. Pertanto, i cattolici non dovrebbero
rendere il pontefice, le sue parole e le sue azioni il proprio punto
focale quotidiano.
Si
può diseredare i figli di una famiglia. Tuttavia non si può
diseredare il padre di una famiglia, per quanto sia colpevole o si
comporti mostruosamente. Questa è la legge della gerarchia che Dio
ha stabilito anche nella creazione. Lo stesso vale per il papa, che
durante il suo mandato è il padre spirituale dell’intera famiglia
di Cristo sulla terra. Nel caso di un padre criminale o mostruoso, i
bambini devono ritirarsi da lui o evitarne il contatto. Tuttavia, non
possono dire: “eleggeremo un nuovo e buon padre per la nostra
famiglia”. Sarebbe contrario al buon senso e alla natura. Lo stesso
principio dovrebbe essere applicabile quindi alla questione del
deporre un papa eretico. Il papa non può essere deposto da nessuno;
solo Dio può intervenire e lo farà a suo tempo, poiché Egli non
sbaglia nella sua provvidenza (“Deus in sua dispositione non
fallitur“). Durante il Concilio Vaticano I, Mons. Zinelli, Relatore
della commissione conciliare sulla Fede, parlò in questi termini
della possibilità di un papa eretico: “Se Dio permette un male
così grande (cioè un papa eretico), i mezzi per porre rimedio a
tale la situazione non mancheranno” (Mansi 52, 1109).
La
deposizione di un pontefice eretico finirebbe per favorire l’eresia
del conciliarismo, del sedevacantismo e un atteggiamento mentale
simile a quello di una comunità puramente umana o politica.
Promuoverebbe anche una mentalità simile al separatismo del mondo
protestante o all’autocefalismo nella comunità delle chiese
ortodosse.
La
teoria o opinione che permette la deposizione e la perdita
dell’ufficio si rivela inoltre essere nelle sue radici più
profonde – sebbene inconsciamente – anche una sorta di
“donatismo” applicato al ministero papale. La teoria donatista
identificava i sacri ministri (sacerdoti e vescovi) quasi con la
santità morale di Cristo stesso, richiedendo quindi per la validità
del loro ufficio l’assenza di errori morali o di cattiva condotta
nella loro vita pubblica. In un modo simile, la suddetta teoria
esclude la possibilità che un papa possa commettere errori
dottrinali, cioè eresie, dichiarando per questo stesso fatto il suo
ufficio invalido o vacante, proprio come fecero i donatisti, che
dichiaravano l’ufficio sacerdotale o episcopale invalido o vacante
a causa di errori nella vita morale.
Si
può immaginare che in futuro l’autorità suprema della Chiesa (il
Papa o il Concilio ecumenico) potrebbe stabilire le seguenti o simili
norme canoniche vincolanti per il caso di un papa eretico o
manifestamente eterodosso:
• Un
papa non può essere deposto in nessuna forma e per nessun motivo,
neppure per ragioni di eresia.
• Ogni
nuovo papa eletto che prende possesso del suo ufficio è obbligato,
in virtù del suo ministero di maestro supremo della Chiesa, a
prestare il giuramento di proteggere l’intero gregge di Cristo dai
pericoli delle eresie e di evitare nelle sue parole e azioni ogni
apparenza di eresia, nel rispetto del suo dovere di rafforzare nella
fede tutti i pastori e i fedeli.
• Un
papa che diffonde evidenti errori teologici o eresie o contribuisca
alla loro diffusione con le sue azioni e omissioni dovrebbe essere
debitamente corretto in una forma fraterna e privata dal Decano del
Collegio cardinalizio.
• Dopo
le correzioni private infruttuose, il Decano del Collegio dei
Cardinali è tenuto a rendere pubblica la sua correzione
• Insieme
alla correzione pubblica, il Decano del Collegio cardinalizio deve
fare un appello alla preghiera per il papa affinché possa
riacquistare la forza per confermare in modo inequivocabile l’intera
Chiesa nella Fede.
• Allo
stesso tempo il Decano del Collegio dei Cardinali dovrebbe pubblicare
una formula di Professione di Fede, in cui verrebbero respinti gli
errori teologici che il Papa insegna o tollera (senza necessariamente
nominare il Papa).
• Se
il Decano del Collegio dei Cardinali dovesse omettere o non fare la
correzione, l’appello alla preghiera e la pubblicazione di una
Professione di Fede, ogni cardinale, vescovo o un gruppo di vescovi
dovrebbe farlo e, se anche i cardinali e i vescovi omettono o non
riescono a farla, qualsiasi membro dei fedeli cattolici o qualsiasi
gruppo di fedeli cattolici dovrebbe farlo.
• Il
Decano del Collegio cardinalizio o un cardinale, o un vescovo o un
gruppo di vescovi, o un fedele cattolico o un gruppo di fedeli
cattolici che hanno fatto la correzione, appello alla preghiera, e la
pubblicazione della Professione di Fede non possono essere sottoposti
a sanzioni canoniche o accusati di mancanza di rispetto verso il papa
per questo motivo.
Nel
caso estremamente raro di un papa eretico, la situazione spirituale
della Chiesa può essere descritta con le parole usate da Papa San
Gregorio Magno (590-604), che parlava della Chiesa del suo tempo come
di “una vecchia nave tristemente danneggiata; perché le acque
stanno entrando da tutte le parti, e le giunture, colpite dalle
scosse quotidiane della tempesta, stanno diventando marce e
preannunciano il naufragio” (Registrum I, 4, Ep. ad Ioannem
episcopum Constantinopolitanum).
Gli
episodi evangelici di Nostro Signore che calma il mare tempestoso e
salva Pietro, che stava affondando nell’acqua, ci insegnano che
anche nella situazione più drammatica e umanamente disperata di un
papa eretico, tutti i Pastori della Chiesa e i fedeli dovrebbero
credere e confidare che Dio, nella Sua Provvidenza, interverrà e
Cristo calmerà la furiosa tempesta e restituirà ai successori di
Pietro, suoi Vicari sulla terra, la forza di confermare tutti i
Pastori e fedeli nella Fede cattolica e apostolica.
Papa
San Agatone (678-681), che ebbe il difficile compito di limitare il
danno causato da papa Onorio I all’integrità della Fede, lasciò
parole vivide in un ardente appello a ciascun successore di Pietro,
che deve essere sempre consapevole del suo grave dovere di custodire
intatta la purezza verginale del Deposito della Fede: “Guai a me se
trascuro di predicare la verità del mio Signore, che ha sinceramente
predicato. Guai a me, se copro con il silenzio la verità che sono
tenuto a dare al mio gregge, cioè di insegnare e convincere il
popolo cristiano. Che cosa dirò nel futuro giudizio di Cristo
stesso, se arrossisco – Dio non lo voglia! – nel predicare qui la
verità delle sue parole? Quale soddisfazione potrò dare per me
stesso, circa le anime che mi sono state affidate, quando Egli
chiederà un rigido resoconto dell’ufficio che ho ricevuto? “(Ep.
“Consideranti mihi” ad Imperatores).
Quando
il primo Papa, San Pietro, si trovava materialmente in catene, tutta
la Chiesa implorò la sua liberazione: “Pietro dunque era tenuto in
prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla
Chiesa per lui” (Atti 12,5). Quando un papa diffonde errori o
persino eresie, è in catene spirituali o in una prigione spirituale.
Pertanto, l’intera Chiesa deve pregare senza sosta per la sua
liberazione da questa prigione spirituale. L’intera Chiesa deve
avere una perseveranza soprannaturale in tale preghiera e una fiducia
soprannaturale nel fatto che in fondo è Dio che governa la Sua
Chiesa e non il Papa.
Quando
papa Onorio I (625-638) adottò un atteggiamento ambiguo sulla
diffusione della nuova eresia monotelita, san Sofronio, Patriarca di
Gerusalemme, mandò un vescovo dalla Palestina a Roma, dicendogli:
“Vai alla Sede Apostolica, dove sono le fondamenta della santa
dottrina, e non cessare di pregare finché la Sede Apostolica non
condanni la nuova eresia”.
Nel
trattare il tragico caso di un pontefice eretico, tutti i membri
della Chiesa, a cominciare dai vescovi, fino ai semplici fedeli,
devono usare tutti i mezzi legittimi, come le correzioni private e
pubbliche al papa errante, costanti e ardenti preghiere e professioni
pubbliche della verità, affinché la Sede Apostolica possa di nuovo
professare con chiarezza le verità divine, che il Signore ha
affidato a Pietro e a tutti i suoi successori. “Lo Spirito Santo
infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare,
con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con
scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la
rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede”
(Primo Concilio Vaticano, Costituzione dogmatica Pastor aeternus,
cap. 4).
Ogni
Papa e tutti i membri della Chiesa devono ricordare le parole sagge e
senza tempo che il Concilio Ecumenico di Costanza (1414-1418) ha
pronunciato sul Papa, visto come la prima persona nella Chiesa ad
essere vincolata dalla Fede, di cui deve scrupolosamente custodirne
l’integrità: “Poiché il Romano Pontefice esercita un così
grande potere tra i mortali, è giusto che sia sempre più legato dai
vincoli incontrovertibili della fede e dai riti che devono essere
osservati riguardo ai sacramenti della Chiesa. Perciò decretiamo e
ordiniamo, affinché la pienezza della fede possa risplendere in un
futuro Romano Pontefice con singolare splendore fin dal primo momento
del divenire papa, che da quel momento in poi chi sarà eletto Romano
Pontefice farà la seguente confessione e professione pubblica”
(Trentanovesima sessione del 9 ottobre 1417, ratificata da papa
Martino V).
Nella
stessa sessione, il Concilio di Costanza decretò che ogni nuovo papa
eletto dovesse fare un giuramento di fede, proponendo la seguente
formula, di cui citiamo i passaggi più cruciali:
“Io,
N., papa eletto, con cuore e bocca confesso e professo a Dio
onnipotente, che crederò fermamente e conserverò la Fede Cattolica
secondo le tradizioni degli Apostoli, dei Concili Generali e degli
altri Santi Padri. Conserverò questa fede immutata fino all’ultimo
punto e confermerò, difenderò e predicherò fino alla morte e allo
spargimento del mio sangue, e allo stesso modo seguirò e osserverò
in ogni modo il rito tramandato dei sacramenti ecclesiastici della
Chiesa Cattolica”.
Quanto
sarebbe urgente mettere in pratica un simile giuramento del papa,
soprattutto ai nostri giorni! Il pontefice non è un monarca
assoluto, che possa fare e dire ciò che gli piace, che possa
cambiare la dottrina o la liturgia a sua discrezione.
Sfortunatamente, nei secoli passati – contrariamente alla
tradizione apostolica dei tempi antichi – il comportamento dei papi
come monarchi assoluti o semi-divinità divenne comunemente accettato
nella misura in cui influenzava le visioni teologiche e spirituali
della maggioranza dei vescovi e dei fedeli, e specialmente della pia
gente. Il fatto che il papa debba essere il primo nella Chiesa a
dover evitare novità, obbedendo in modo esemplare alla tradizione
della Fede e della Liturgia, a volte è stato dimenticato nella
coscienza dei vescovi e dei fedeli da una cieca e pia accettazione di
un assolutismo papale.
Il
giuramento pontificio del Liber Diurnus Romanorum Pontificum
considerava come obbligo principale e qualità più distinta di un
nuovo papa, la sua incrollabile fedeltà alla Tradizione, così come
gli è stata tramandata da tutti i suoi predecessori: “Nihil de
traditione, quod a probatissimis praedecessoribus meis servatum
reperi, diminuere vel mutare, aut aliquam novitatem admittere; sed
ferventer, ut vere eorum discipulus et sequipeda, totis viribus meis
conatibusque tradita conservare ac venerari” (“Non cambierò
nulla della Tradizione ricevuta, e nulla di ciò che ho trovato prima
di me custodito dai miei venerandi predecessori, né intaccherò,
altererò, o permetterò qualsiasi innovazione in essa; anzi
riverentemente la salvaguarderò con ardente affetto come un vero e
fedele discepolo, trasmettendola con tutta la mia forza e il massimo
sforzo”).
Lo
stesso giuramento papale ha definito, in termini concreti, la fedeltà
alla lex credendi (la regola della fede) e alla lex orandi (la regola
della preghiera). Per quanto riguarda la lex credendi (la regola
della fede), il testo del giuramento dice:
“Verae
fidei rectitudinem, quam Christo autore tradente, per successori tuos
atque discipulos, usque ad exiguitatem meam perlatam, in tua sancta
Ecclesia reperi, totis conatibus meis, usico ad animam et sanguinem
custodire, temporumque difficultates, cum tuo adjutorio, toleranter
sufferre” (“Prometto di mantenere con tutte le mie forze, fino
alla morte e allo spargimento del mio sangue, l’integrità della
vera fede, il cui autore è Cristo, e che, attraverso i suoi
successori e discepoli, è stata trasmessa alla mia umile persona
e che io ho trovato nella Sua Chiesa. Prometto anche di sopportare
con pazienza le difficoltà dei tempi”).
Per
quanto riguarda la lex orandi, il giuramento del Papa afferma:
“Disciplinam
et ritum Ecclesiae, sicut inveni, et a sanctis praecessoribus meis
traditum reperi, illibatum custodire” (“Prometto di mantenere
inviolata la disciplina e la liturgia della Chiesa come le ho trovate
e come sono state trasmesse dai miei santi predecessori”).
Negli
ultimi cento anni, ci sono stati alcuni esempi spettacolari di un
assolutismo papale. Quando consideriamo la lex orandi, furono
drastici e radicali i cambiamenti operati dai Papi Pio X, Pio XII e
Paolo VI e, riguardo alla lex credendi, da Papa Francesco.
Pio
X divenne il primo papa nella storia della Chiesa latina a compiere
una riforma tanto radicale dell’ordine della salmodia (cursus
psalmorum), che portò alla creazione di una forma di un nuovo
Ufficio Divino riguardo alla distribuzione dei salmi. Poi ci fu Papa
Pio XII, che approvò per l’uso liturgico una versione latina
radicalmente modificata del millenario e melodioso testo del Salterio
della Vulgata. La nuova traduzione latina, il cosiddetto “Salterio
Piano”, era un testo fabbricato artificialmente dagli accademici ed
era, nella sua ricercatezza, difficilmente pronunciabile. Questa
nuova traduzione latina, giustamente criticata con il proverbio
“accessit latinitas, recessit pietas“, venne di fatto respinta da
tutta la Chiesa sotto il pontificato di Papa Giovanni XXIII. Papa Pio
XII cambiò anche la liturgia della Settimana Santa, un tesoro
liturgico millenario della Chiesa, introducendo rituali inventati
parzialmente ex novo. Un cambiamento liturgico, tuttavia, fu eseguito
da Papa Paolo VI con una riforma rivoluzionaria del rito della Messa
e degli altri sacramenti, una riforma liturgica, che nessun papa
prima ha osato eseguire con tale radicalità.
Un
cambiamento teologicamente rivoluzionario è stato fatto da Papa
Francesco in quanto egli approvò le norme in alcune chiese locali
che prevedano di ammettere alla Sacra Comunione in casi singolari e
eccezionali adulteri sessualmente attivi (che convivono nelle
cosiddette “unioni irregolari”). Anche se queste norme locali non
rappresentano una norma generale nella Chiesa, tuttavia costituiscono
una negazione pratica della verità dell’assoluta indissolubilità
del matrimonio sacramentale rato e consumato. Altro cambiamento
radicale nelle questioni dottrinali è la modifica della dottrina
biblica e del Magistero bimillenario della Chiesa riguardo alla
legittimità in via di principio della pena di morte. Un successivo
mutamento dottrinale è stata l’approvazione di Papa Francesco
della frase contenuta nel documento interreligioso di Abu Dhabi del 4
febbraio 2019, secondo cui, la diversità dei sessi e delle razze
insieme con la diversità delle religioni corrisponde alla sapiente
volontà di Dio. Questa formulazione in quanto tale richiede una
correzione papale ufficiale, altrimenti costituirebbe una evidente
contraddizione del Primo Comandamento del Decalogo e dell’inequivoco
ed esplicito insegnamento di Nostro Signore Gesù Cristo, dunque,
costituirebbe in ultima istanza una contraddizione della Rivelazione
Divina.
Su
questo sfondo si staglia e fa riflettere un fatto impressionante
della vita di Papa Pio IX: di fronte alla richiesta di un gruppo di
vescovi di introdurre un piccolo cambiamento nel Canone della Messa
per inserirvi il nome di San Giuseppe, rispose: “Non posso farlo.
Io sono solo il Papa!”.
La
seguente preghiera di Dom Prosper Guéranger, in cui elogia Papa San
Leone II per la sua strenua difesa dell’integrità della Fede
all’indomani della crisi causata da Papa Onorio I, dovrebbe essere
pregata assiduamente da ogni papa e da tutti i fedeli, specialmente
nel nostro tempo:
“San
Leone, mantieni il pastore al disopra della zona delle malefiche
brume che si levano dalla terra; conserva nel gregge quella preghiera
che deve salire continuamente a Dio per lui dalla Chiesa (Atti 12,
5): e Pietro, fosse anche sepolto nel profondo delle più oscure
prigioni, non cesserà di contemplare il puro splendore del Sole di
giustizia; e l’intero corpo della santa Chiesa si troverà nella
luce. Il corpo infatti – dice Gesù – è rischiarato dall’occhio:
se l’occhio è semplice, tutto il corpo risplende (Mt. 6, 22).
Ammaestrati da te sul valore del beneficio che il Signore ha elargito
al mondo quando lo stabilì sull’insegnamento infallibile dei
successori di Pietro, conosciamo ora la forza della roccia che
sostiene la Chiesa; sappiamo che le porte dell’inferno non
prevarranno contro di essa (ibid. 16, 18). Mai infatti lo sforzo di
quelle potenze dell’abisso andò tanto oltre come nella funesta
crisi [di Papa Onorio] alla quale tu ponesti termine. Del resto, il
loro successo, per quanto doloroso, non andava contro le promesse
divine: non già al silenzio di Pietro [di Papa Onorio e al suo
sostegno all’eresia], ma al suo insegnamento è
stata promessa l’immancabile assistenza dello Spirito di verità”
(L’Anno liturgico, Alba (Cuneo) 1956, vol. 2, p. 829).
Il
caso estremamente raro di un papa eretico o semi-eretico deve alla
fine essere sopportato e sofferto alla luce della fede nel carattere
divino e nell’indistruttibilità della Chiesa e dell’ufficio
petrino. Papa San Leone Magno formulò questa verità, affermando che
la dignità di San Pietro non si attenua nei suoi successori, per
quanto indegni possano essere: “Cuius dignitas etiam in indigno
haerede non deficit” (Serm. 3, 4).
Potrebbe
verificarsi la situazione davvero stravagante di un papa che pratica
abusi sessuali su minori o subordinati in Vaticano. Cosa dovrebbe
fare la Chiesa in questa circostanza? La Chiesa dovrebbe tollerare un
pontefice predatore sessuale di minori o subordinati? Per quanto
tempo la Chiesa dovrebbe tollerare un tale papa? Dovrebbe perdere il
papato ipso facto a causa di tali abusi? In tale situazione potrebbe
sorgere una nuova teoria o opinione canonica o teologica che consenta
la deposizione di un papa e la perdita del suo ufficio a causa di
mostruosi crimini morali (ad esempio i suddetti abusi sessuali su
minori e subordinati). Tale opinione sarebbe analoga al parere che
ritiene possibile la deposizione di un papa e la perdita del suo
ufficio a causa dell’eresia. Tuttavia, una tale nuova teoria o
opinione (deposizione di un papa e la perdita del suo ufficio a causa
di mostruosi reati sessuali) non corrisponderebbe sicuramente alla
perenne mente e pratica della Chiesa.
La
tolleranza di un papa eretico come una croce non significa passività
o approvazione della sua condotta erronea. Si dovrebbe fare tutto il
possibile per rimediare a tale situazione. Sopportare la croce di un
papa eretico, in nessun caso significa acconsentire alle sue eresie o
essere passivo. Proprio come la gente deve sopportare, per esempio,
un regime iniquo o ateo come una croce (molti cattolici hanno vissuto
sotto un tale regime in Unione Sovietica, sopportando questa
situazione come una croce, in spirito di espiazione), o come i
genitori debbono portare la croce di un figlio adulto, divenuto un
miscredente o immorale, o come i membri di una famiglia devono
portare come una croce per esempio un padre alcolizzato. I genitori
non possono “deporre” il figlio errante dall’appartenenza alla
famiglia, così come i bambini non possono “deporre” il padre in
errore dall’appartenenza alla famiglia o dal titolo di “padre”.
È
più sicuro e conforme a una visione più sovrannaturale della Chiesa
non deporre un papa eretico. Fare così, con tutte le contromisure
pratiche e concrete da prendere, non significa in nessun caso
passività o collaborazione con gli errori papali, ma un impegno
molto attivo e una vera compassione con la Chiesa, che, nel tempo di
un papa eretico o semi-eretico, vive le sue ore di Golgota. Più un
papa diffonde ambiguità dottrinali, errori o persino eresie, più
nella Chiesa risplenderà brillantemente la pura Fede cattolica dei
piccoli: la Fede dei bambini innocenti; delle suore religiose; in
particolare la fede delle gemme nascoste della Chiesa: le monache di
clausura; la fede dei fedeli laici eroici e virtuosi di ogni
condizione sociale; la fede dei singoli sacerdoti e vescovi. Questa
pura fiamma di fede cattolica, spesso alimentata da sacrifici e atti
di espiazione, brucerà più intensamente della codardia,
dell’infedeltà, della rigidità spirituale e della cecità di un
papa eretico.
La
Chiesa ha un carattere così divino che può esistere e vivere per un
periodo di tempo limitato nonostante un papa regnante eretico,
proprio a causa della verità che il papa non è sinonimo o identico
alla Chiesa. La Chiesa ha un carattere così divino che nemmeno un
papa eretico è in grado di distruggerla; anche se ne danneggia
pesantemente la vita, però la sua azione ha una durata limitata. La
fede di tutta la Chiesa è più grande e più forte degli errori di
un papa eretico e questa fede non può essere sconfitta. La costanza
di tutta la Chiesa è maggiore e più duratura del disastro
relativamente breve di un papa eretico. La vera roccia su cui risiede
l’indistruttibilità della Fede e della santità della Chiesa è
Cristo stesso, essendo il papa solo il suo strumento, proprio come
ogni sacerdote o vescovo è solo uno strumento di Cristo Sommo
Sacerdote.
La
salute dottrinale e morale della Chiesa non dipende esclusivamente
dal papa, poiché per legge divina questa è garantita nella
situazione straordinaria di un papa eretico dalla fedeltà
dell’insegnamento dei vescovi e in ultima analisi anche dalla
fedeltà dell’intero corpo dei fedeli laici, come sufficientemente
dimostrato dal beato John Henry Newman e dalla storia. La salute
dottrinale e morale della Chiesa non dipende in misura tale dagli
errori dottrinali relativamente brevi di un singolo papa da rendere
la Sede Papale vacante. Come la Chiesa può sopportare un tempo senza
papa (è già accaduto nella storia per un periodo di diversi anni),
allo stesso tempo è per costituzione divina così forte che può
anche reggere un papa eretico di breve durata.
L’atto
di deporre un pontefice o il dichiarare vacante la sua cattedra per
la perdita del papato ipso facto dovuta ad eresia, sarebbe una novità
rivoluzionaria nella vita della Chiesa, che atterrebbe a una
questione molto importante della sua costituzione e della sua vita.
La via più sicura (via tutior) da seguire in una materia così
delicata, anche quando non è di natura pratica o strettamente
dottrinale, è quella che si orienta secondo il senso perenne della
Chiesa.
Nonostante
tre Concili Ecumenici successivi (il Terzo Concilio di Costantinopoli
nel 681, il Secondo Concilio di Nicea nel 787 e il Quarto Concilio di
Costantinopoli nell’870) e papa San Leone II nel 682 abbiano
scomunicato papa Onorio I per eresia, essi non hanno nemmeno
implicitamente dichiarato che Onorio avesse perso il papato ipso
facto a causa dell’eresia. Infatti, il pontificato di Papa Onorio I
fu considerato valido anche dopo aver sostenuto l’eresia nelle sue
lettere al Patriarca Sergio nel 634, poiché regnò altri quattro
anni fino al 638.
Il
seguente principio, formulato da papa Santo Stefano I (+ 257), anche
se in un contesto diverso, dovrebbe essere una linea guida nel
trattare la delicatissima e rara questione di un papa eretico: “Nihil
innovetur, nisi quod traditum est“, cioè “Non ci sia innovazione
rispetto a ciò che è stato tramandato”.
21
marzo 2019
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Athanasius Schneider, vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Santa
Maria ad Astana
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