Ambientalismo
02 settembre 2023

IL VERO NEMICO DELL'ECOLOGIA? LA DECRESCITA
Intervista al Generale Vannacci

INTERVISTA AL GENERALE ROBERTO VANNACCI


La vicenda di Roberto Vannacci solleva due tipi di dibattito. Uno attiene ai 13 temi toccati nei 13 capitoli del libro del Generale. L’altro attiene alla libertà di espressione che in questo Paese manca, a dispetto di ogni proclama Costituzionale. In proposito viviamo in un Paese infantile e immaturo, ove se esprimi pareri diversi da ciò che viene chiamato politicamente corretto sei letteralmente massacrato. Chi legge sa di cosa parlo e ritengo superfluo espandere oltre. Non a caso il suo libro, avverte Vannacci, è per un lettore adulto e maturo. Forse avrebbe dovuto scriverlo in altra lingua. Ad ogni modo, ho concordato con le tesi del Generale prima ancora di averne letto il libro. Com’è possibile? – direte voi. Ecco come. 


Da sùbito Vannacci fu fatto passare per matto. Si crede Giulio Cesare si disse: «Vannacci rivendica l’eredità di Giulio Cesare, forse il più grande comandante militare mai esistito; e qui possiamo sorridere serenamente» (Aldo Cazzullo, Corriere della Sera). Il messaggio era chiaro: «Giulio Cesare è stato il più grande comandante militare mai esistito, Roberto Vannacci è un comandante militare, a noi scappa da ridere (o sorridere)». Cercate nel libro e scoprirete che in alcun modo Vannacci s’è paragonato a Giulio Cesare. Altrettanto immediatamente, fu messo alla gogna per queste due frasi: «Cari omosessuali non siete normali». E, su Paola Egonu: «I suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità». Ma le due frasi virgolettate sono vere: tutti insieme quelli da etichettare con una delle lettere Lgbtq+ costituiscono meno del 7% della popolazione, cioè non sono normali, come non lo sono io con le mie sei diottrie di astigmatismo; e alzi la mano chi afferma che l’atleta nigeriana (peraltro diventata cittadina italiana a 16 anni) ha tratti somatici italiani. Si può essere messi alla gogna per frasi vere? Da noi sì. Infine, la parlamentare europea Elisabetta Gualmini ha dichiarato pubblicamente che il libro di Vannacci le fa ribrezzo e perciò «quel libro non l’ho letto né mai lo leggerò». Da stare senza parole, e comunque quanto basta per stare col Generale. Che, avendo dedicato un capitolo del suo libro all’ambientalismo, ci incuriosisce tanto da chiedergli un’intervista.


Generale, cosa pensa del grido di dolore di Greta Thunbergh, alla quale la nostra e la passata generazione avrebbero rubato i sogni?


«Sulle rappresentazioni oniriche non mi sbilancio, ma il tanto disprezzato progresso industriale le ha garantito la veglia ed il più che agiato presente. L’ha fatta nascere in un ospedale, riducendo a numeri risibili la mortalità infantile. L’ha fatta crescere in una casa dotata di tutte le comodità, permettendole di sviluppare altre capacità che non fossero connesse con la mera sopravvivenza. Le ha consentito un’educazione, e di diffondere il suo sprezzante messaggio nei confronti di chi le ha permesso tutto ciò attraverso mezzi di comunicazione che continuano a emettere quelle tanto denigrate tonnellate di CO2».


Eppure sono in tanti i giovani a seguirla…


«Dalle loro comode case riscaldate, dalle loro auto che gli consentono spostamenti sicuri e veloci, collegati in rete con altri fondamentalisti dell’ecosistema mentre pianificano la prossima manifestazione, questi ragazzi guardano ad una Natura che esiste solo nella loro immaginazione. La Natura non ha pulsioni umane né sentimenti. Il leone non è cattivo perché sbrana la gazzella e la Terra non ci vuole male perché ci inghiotte nella lava di un’eruzione vulcanica. Pensi che recentemente nella Costituzione dell’Ecuador si è attribuita soggettività giuridica alla Natura, avendo introdotto il concetto secondo cui “la Natura ha il diritto di esistere, persistere, mantenersi, rigenerarsi attraverso i propri cicli vitali, la propria struttura, le proprie funzioni e i propri processi evolutivi”. Ma che significa? Se il Cosmo, sistema naturale per eccellenza, ci invia un meteorite, esso, essendo prodotto naturale e quindi soggetto giuridico, ha il diritto di impattare liberamente sulla superficie terrestre e noi dovremmo rispettare questa prerogativa ecologica? Se l’Etna erutta e la sua colata lavica si dirige verso Catania, dovremmo astenerci da ogni tentativo di deviarla per non ledere un processo evolutivo naturale dell’ambiente che, come soggetto giuridico, ha i suoi inalienabili diritti?»


Che ambientalismo è il suo?


«Io sono un pragmatico e l’ambientalismo che ho in mente studia le relazioni tra l’umanità e l’ambiente inteso come ecosistema necessario per il sostegno alla vita e funzionale all’incremento del benessere umano. Se dovessi preservare l’ambiente così com’è e come Madre Natura l’ha concepito, dovrei rinunciare a lottare contro il vaiolo, prodotto squisitamente naturale; dovrei abbandonare le tecniche di irrigazione dei terreni, perché provocano la deviazione dei corsi d’acqua che scenderebbero naturalmente verso valle. Il dualismo uomo-natura, artificiale-naturale deve essere sorpassato proprio concentrandosi sul fatto, di sconcertante banalità, che l’uomo è un tutt’uno con l’ambiente che lo circonda, ne fa parte, ne è intimamente ed inevitabilmente connesso».


Insomma lei non crede che ci sia un Pianeta da salvare…


«Il pianeta si salva da solo, come fa da 4 miliardi di anni! Piuttosto siamo noi che dobbiamo salvarci e trovare il modo per continuare a vivere in simbiosi con l’ambiente che ci circonda sfruttando al massimo tutte le risorse a disposizione per continuare, nel tempo, ad accrescere il nostro benessere».


Suona cinico e utilitaristico…


«Ma penso che sia come ho detto: è l’uomo che deve adattarsi ad un Pianeta che cambia continuamente indipendentemente da noi. Per esempio, sappiamo per certo che il clima è sempre cambiato. Se ora sta cambiando più velocemente che nel passato anche e soprattutto per l’azione antropica dell’uomo, come ci dicono, allora non ci resta che accelerare la nostra adattabilità con dei provvedimenti immediati e concreti che producano effetti altrettanto repentini: le azioni di mitigazione avranno effetto tra 80-100 anni, visto che per fare aumentare la temperatura media del pianeta di 1,1 gradi noi ci abbiamo messo 150 di anni.  Ma ogni progetto di adattamento viene ostacolato dai Verdi, dagli ambientalisti, dagli eco-ansiosi, dai sostenitori delle trote e delle anguille, dai protettori delle lontre e dai fanatici della legge sulla restaurazione della Natura in nome della quale dovremmo distruggere le dighe per lasciar libero il passo a salmoni e lamprede. La diga di Vetto, vicino a Reggio Emilia, ne è un esempio eminente e chiarissimo: un progetto degli anni ‘80 mai portato a termine. Dopo 35 anni e una infinità di ricorsi, boicottaggi, picchettaggi, sit-in di ambientalisti a difesa di lontre, faine, rospi, e insetti vari, non se ne è ancora fatto nulla. Solo ad aprile scorso Enrico Ottolini – capogruppo di Europa Verde – ribadiva il no ad un’opera che risolverebbe il problema della siccità nell’operosa Emilia».


Nel suo libro suggerisce che in alcune occasioni per convivere con alte temperature sarebbe meglio lavorare di notte…


«Sì, rientra nelle soluzioni pragmatiche e praticabili. Ho servito in Iraq, complessivamente, per quasi due anni e, nei mesi estivi, quando le temperature superano i 50 gradi all’ombra, addestravamo le forze militari irachene dalle 4 alle 9 del mattino. Il resto della giornata era per il riposo. Nei Paesi mediterranei avremmo potuto organizzarci strutturalmente da tempo per consentire questo slittamento dell’orario estivo di lavoro senza, ogni estate, lamentarci di quanto sia improponibile faticare con la canicola. I nostri nonni, soprattutto al sud dello Stivale, abbassavano le serrande dall’una alle cinque del pomeriggio e si concedevano la siesta: erano molto più saggi di noi».  


Quindi siamo noi che dovremo salvarci. Come?


«Dobbiamo mettere sul piatto della bilancia il benessere e le condizioni di vita che abbiamo oggi con benessere e condizioni di vita che vorremmo avere domani. Se c’è un nemico dell’ambiente quello è sicuramente la decrescita economica, il sottosviluppo e la povertà. Non ci può essere ecologia senza ricchezza. In tutto il mio viaggiare nei Paesi meno sviluppati non ne ho visto uno che abbia maturato una coscienza ambientalista. Chi stenta a vivere nel presente non si occupa delle generazioni future ma sbarca il lunario affidandosi al destino, a Dio e alla fortuna. Siamo 1 miliardo di fortunati benestanti e 7 miliardi che stentano a sopravvivere.  L’ecologia è figlia del benessere ed è da stupidi squassare quello che abbiamo oggi e che ci consente di vivere egregiamente per ripiombare in una condizione di sopravvivenza in nome di una vaticinata catastrofe.


Quando ero a Kabul, per riscaldarsi durante i freddissimi inverni, moltissimi abitanti bruciavano pezzi plastica e di copertoni di auto. Sempre in Afganistan, nella piana di Bakwa – che in aprile si tinge di violetto per le distese coltivazioni di papaveri da oppio – si brucia sterco di animali all’interno delle capanne di fango dove vivono gli abitanti locali. Ma i fondamentalisti dell’ambiente sbandierano che l’aria è sempre troppo inquinata nelle nostre città e che l’inquinamento atmosferico sarebbe responsabile, solo in Italia, di novantamila morti premature. Però la ricchezza che il progresso “inquinante” ha prodotto ha allungato costantemente l’aspettativa di vita, cresciuta, in Italia, da 70 anni del 1960 a 83 anni del 2019. Il bilancio complessivo, quindi, è a favore del maledetto progresso “inquinante”. Invece nei paesi poveri, per quanto incontaminati, la gente muore giovane». 


Ha visto la recita della ragazza eco-ansiosa dinanzi al Ministro Pichetto Fratin?


«Sì, roba tragicomica e grottesca. Ogni anno muoiono 3000 persone sulle strade solo in Italia, se ti azzardi ad avventurarti di notte in una stazione ferroviaria di una delle nostre metropoli hai una buona probabilità di essere stuprato o derubato, il Vesuvio potrebbe detonare in qualsiasi momento ed inghiottire milioni di partenopei tra cenere e lapilli, a solo 2000 chilometri dalle nostre frontiere si combatte una guerra che potrebbe evolvere in pochi minuti in un conflitto termonucleare planetario… e la meteoropatica ambientalista si dispera per le previsioni climatiche? Avessi potuto io interloquire con la ragazza, le avrei consigliato di farsi un giro in Sudan, in Somalia, in Bangladesh, ad Haiti, in Afghanistan o in Siria: si immunizzerebbe all’istante da questo suo malessere ambientale. Soprattutto, le avrei consigliato di lavorare molto, perché solo con la ricchezza si può essere ambientalisti, e di studiare ingegneria, fisica, chimica, geologia, informatica, perché il progresso tecnologico è l’altra componente irrinunciabile dell’ambientalismo pragmatico.


Come il capitolo sull’ambientalismo si raccorda con gli altri del libro?


«L’assurdità del nostro mondo è trovarsi di fronte a gruppi disarticolati di individui che si atteggiano nel ruolo di vittime fino a prevaricare le istanze della maggioranza che ne esce impotente e soggiogata per le discutibili regole di tolleranza e inclusività imposte da altre minoranze». 

Franco Battaglia








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