Ad
affermarlo è un’autorità assoluta nel campo della politica
internazionale: l’ambasciatore Sergio
Romano.
Nella sua lunga e prestigiosa carriera diplomatica, è stato, tra
l’altro, ambasciatore presso la Nato e ambasciatore a Mosca
(1985-1989), nell’allora Unione Sovietica. È stato visiting
professor all’Università della California e a Harvard, e ha
insegnato all’Università di Pavia, a quella di Sassari e alla
Bocconi di Milano. Tra i suoi numerosi libri, ricordiamo, Merkel. La
cancelliera e i suoi tempi (con Beda Romano, Longanesi, 2021);
Processo alla Russia. Un racconto (Longanesi, 2020); Atlante delle
crisi mondiali (Rizzoli, 2018); Il rischio americano (Longanesi,
2003); Il declino dell’impero americano (Longanesi, 2014); Trump e
la fine dell’American dream (Longanesi, 2017); Il suicidio
dell’Urss (Sandro Teti Editore, 2021); La scommessa di Putin.
Russia-Ucraina, i motivi di un conflitto nel cuore dell’Europa
(Longanesi, 2022). L’ultimo libro ha un titolo che ben si attaglia
alla realtà d’oggi: La democrazia militarizzata. Quando la
politica cede il passo alle armi (Longanesi, 2023). Con l’Unità,
l’ambasciatore Romano sviluppa una riflessione, che molto fa
discutere, che concludeva un suo recente articolo sul Corriere della
Sera: «L’Alleanza
atlantica ha avuto una parte utile e rispettabile. Ma la guerra
fredda è finita, il comunismo è sepolto, gli Stati Uniti hanno
avuto un presidente come Trump e sarebbe
giunto il momento di fare a meno di un’istituzione, la Nato, che ha
ormai perduto le ragioni della sua esistenza».
Una considerazione che attualizza quanto lo stesso Romano aveva
sostenuto nel 2016, quando la guerra d’Ucraina era molto in là a
venire:
«La
sola scelta di sicurezza per l’Europa dovrebbe essere quella della
neutralità. L’Europa non può essere una potenza militare
interventista e aggressiva. Credo che se l’Europa scegliesse la
strada della neutralità metterebbe in discussione l’esistenza
della Nato».
E ancora: «Oggi
i suoi compiti non sono più indispensabili, certi obiettivi non ci
sono più e non c’è motivo di cercare di raggiungerli. Il patto è
ancora in piedi perché gli Stati Uniti hanno interesse a mantenere
la gestione militare di una grande parte del pianeta. L’Alleanza è
una conquista americana, alla quale Washington non intende
rinunciare. Sarei stato contento se la Nato fosse stata sciolta alla
fine della Guerra Fredda».
Ambasciatore
Romano, chiunque provi a proporsi come “facilitatore” negoziale –
sia esso il Papa, Lula, Xi Jinping viene subito colpito e affondato.
Perché?
Una
persona può essere detestata, invidiata, considerata un intralcio.
Vi sono ragioni che sfuggono all’analisi politica. E ci sono
circostanze in cui la politica deve farsi da parte per lasciare
spazio alla psicologia.
Esiste
a suo avviso uno spazio negoziale oppure tutto è affidato alle
armi?
Prima
o dopo verrà il momento del negoziato. Ma per ora e per un futuro
indeterminabile le armi sono ancora quelle che dettano legge. Vede,
questa è una guerra non soltanto tra alcuni Paesi ma è
fondamentalmente diventata una guerra fra due grandi personalità –
il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo ucraino Volodymyr
Zelenski, che stanno giocando se stesse. In questa circostanza è
molto difficile che uno dei due si abbandoni a un negoziato in cui
lui, in questo caso il discorso vale soprattutto per Zelensky,
finisce per avere un ruolo minimo perché entreranno in gioco altre
persone, altre motivazioni, altri interessi. Questa per il momento
rimane una battaglia tra due leader e lo sarà probabilmente fino al
momento in cui o i due si renderanno conto di non poter essere
vincitori e allora accettano in qualche modo una soluzione finale o
addirittura finisce quando finisce fisicamente uno. Non si tratta di
essere pessimisti, ma realisti. Immaginare una soluzione diplomatica
è uno sforzo titanico destinato per il momento a rimanere tale, non
solo per quanto detto prima, lo scontro tra due leader che si stanno
giocando il loro futuro, ma anche perché in gioco sono entrati di
terze parti, nella fattispecie gli Stati Uniti.
Lei
è uno dei pochi in Italia ad aver cercato in questo tempo di guerra
di andare oltre lo schema aggredito-aggressore e andare alle radici
delle ragioni profonde, che non nascono certo il 24 febbraio 2022,
della guerra.
Non
c’è dubbio che dietro la vicenda ucraina vi è il desiderio della
Russia di riconquistare quella autorevolezza, quel prestigio, quello
spazio di potere che aveva quando ancora si parlava di impero russo.
Questa aspirazione mi sembra essere una delle grandi motivazioni di
questa vicenda. Se un Paese come la Russia aspira a ridiventare la
grande potenza che è stata in passato, è inevitabile che molte
altre medie potenze o addirittura in qualche caso piccoli Stati
possano essere preoccupati e temere che questa grande Russia a un
certo punto toglierà loro qualche cosa. Partirei da questa
considerazione e cercherei di capire esattamente quali siano le
motivazioni nei casi specifici. La ragione fondamentale è quella di
un’aspirazione imperiale e questo non può certo piacere agli Stati
Uniti che si sono visti coinvolti in una vicenda che teoricamente non
avrebbe mai dovuti coinvolgerli. Eppure così è stato.
Perché,
ambasciatore Romano?
Se
la Russia non ha soltanto un “piccolo” problema da risolvere con
l’Ucraina ma vuole approfittare di questa circostanza per diventare
nuovamente una potenza imperiale, beh a Washington questo non va giù.
Quanto a noi, noi Europa, le ribadisco quanto ho avuto modo di
scrivere poco tempo fa sul Corriere: dopo avere avuto in altri tempi
ambizioni imperiali ed essere stata anche un nido di nazionalismi
prepotenti e aggressivi, l’Europa dovrebbe essere ormai una
confederazione di Stati politicamente saggi e maturi, una grande
potenza economica e sociale, una “grande Svizzera” composta da
amici e reciproci clienti. Per l’efficacia di una tale
confederazione tuttavia, la Russia non dovrebbe essere un nemico, ma
un compagno di strada nel cammino verso un’Europa sempre più
confederale. Non dovremmo vedere nella Russia soltanto un pericoloso
concorrente, ma anche un utile interlocutore verso obiettivi che
possono essere pacificamente condivisi. So bene che in tempi come
questi può apparire un sogno, ma coltivarlo e provare a realizzarlo
sarebbe buona cosa.
Quando
si fa riferimento all’atteggiamento del mondo nei confronti di
questa guerra, sottolineando una avversione condivisa nei confronti
dell’aggressore russo, non pecchiamo di “occidentalismo” o di
eurocentrismo?
Le
confesso che il concetto di “occidentalismo” mi sembra poco
rilevante. Se siamo di fronte ad un forte desiderio della Russia di
riconquistare un ruolo, quel ruolo non è “occidentale” né
“orientale”. Sono delle ambizioni che vanno molto al di là della
singola questione regionale.
Ambasciatore
Romano, la metto giù seccamente. Perché il solo ragionare di un
superamento-scioglimento della Nato sembra essere un’eresia, una
bestemmia e chi prova a ragionarci su viene additato come un sodale
di Putin?
Sempre
continuando a ragionare con la mia tesi: è inevitabile che gli Stati
Uniti in questo momento si guardino attorno e vogliano avere ancora
quei consensi, quelle amicizie, quelle alleanze che avevano negli
anni della Guerra fredda. Noi abbiamo pensato che la Guerra fredda
fosse finita, e la Guerra fredda è finita. Ma ne è cominciata
un’altra. Questo desiderio imperiale della Russia non ha più nulla
a che vedere con i criteri della Guerra fredda, ma è inevitabile che
gli Stati Uniti considerino dal loro punto di vista l’ambizione
russa inaccettabile, pericolosa. Non mi ha sorpreso la reazione di
Washington. Non va dimenticato, peraltro, che anche gli Stati Uniti
hanno ambizioni imperiali e forse in questo momento tali ambizioni
sono più realistiche di quelle della Russia. Gli Stati Uniti stanno
praticando queste ambizioni imperiali e lo fanno utilizzando quegli
strumenti che noi consideravamo divenuti inutili, come la Nato, in
quanto la Guerra fredda era finita. Ma siccome la Nato è una
istituzione in cui gli Stati Uniti hanno un enorme potere, ecco che
la Nato diventa lo strumento per praticare queste ambizioni
imperiali, al servizio di un Paese – gli Usa – che vuole
conservare quello che aveva all’epoca della Nato-Guerra fredda.
Reiterare
quella funzione, motivandola come la lotta delle democrazie liberale
contro le autocrazie, a cominciare da quella russa. È corretto,
ambasciatore Romano?
Non
ho avuto l’impressione che questo tema venisse molto frequentemente
utilizzato. Detto questo, non sarei sorpreso se gli Stati Uniti
facessero appello a questi vecchi concetti che in questo modo possono
essere rinfrescati e rimessi sul tavolo. Da un punto di vista
europeo, questo non ha più niente a che vedere con la Nato.
Perché?
Perché
la Nato serve agli Stati Uniti. Non serve a noi. Poi se qualcuno è
più amico degli Stati Uniti di quanto sia necessario esserlo,
probabilmente suonerà la musica che piace maggiormente a Washington.
Ma io non mi unisco a questo coro.
Articolo
originale QUI