Mons. Viganò
08 marzo 2023

Il caso del Monastero di Pienza. Secondo intervento di Mons. Viganò

Questa seconda parte del mio intervento a difesa delle Monache di Pienza, dopo un primo dedicato alla sequenza degli eventi (qui) e un terzo sulle iniziative da intraprendere di prossima pubblicazione, ha come argomento i provvedimenti canonici adottati dalla Santa Sede, con la collaborazione della Diocesi di Chiusi-Pienza-Montepulciano e della Federazione Picena dell’Ordine Benedettino. Queste osservazioni si basano sui documenti ufficiali consegnati alle Monache e su quelli di cui esse sono venute a conoscenza da terzi, oltre che sulle unanimi testimonianze delle Religiose e sulle prove che esse hanno conservato (come ad esempio le comunicazioni informali su WhatsApp).


Nella prima parte ho evidenziato le ragioni che hanno condotto queste giovani Monache a Pienza e la successione cronologica dei fatti a partire dal loro insediamento nell’ex-Seminario estivo, rimasto inutilizzato. Per questa cronologia mi riferisco al periodo che va dall’Agosto 2017 – che segna l’arrivo in Diocesi delle Suore – agli ultimi provvedimenti di fine Febbraio 2023.


I. La prima anomalia

Come già ricordato nella prima parte, la prima anomalia che possiamo riscontrare nella vicenda del Monastero “Maria Tempio dello Spirito Santo” risale alla sua erezione canonica da parte dell’allora Vescovo mons. Stefano Manetti, che grazie allo stesso ha ottenuto a Febbraio 2019 lo stato sui juris – ossia dipendente direttamente dalla Santa Sede – nonostante egli non avesse provveduto a dotarlo della proprietà dell’immobile e ad assicurargli i mezzi di sussistenza, probabilmente sperando di poter sanare successivamente una situazione che giudicava provvisoria e di cui si era dichiarato garante presso le Monache.


Il trasferimento alla Diocesi di Fiesole di mons. Manetti e la nomina del Card. Augusto Paolo Lojudice a Pienza – con entrata in vigore il 21 Luglio 2022, ma comunicato informalmente sin dall’Aprile precedente – cambia drasticamente le cose, costringendo mons. Manetti a cercare di sanare frettolosamente quella forzatura delle norme canoniche che avrebbe certamente sollevato dubbi nel suo successore. Non dimentichiamo che il trait d’union tra Manetti e Lojudice è dato da don Antonio Canestri, già Rettore del Seminario (il cui immobile fu poi assegnato al Monastero), promosso Vicario Generale da Manetti e confermato da Lojudice, di cui è amico di lunga data.


Non è superfluo notare che la nomina del Card. Lojudice a Pienza è stata fatta in persona Episcopi, ossia assegnando a lui personalmente la Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza, unitamente a quella di cui era già Arcivescovo, ovverosia l’Arcidiocesi di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino. Questa nomina in persona Episcopi non sarebbe stata possibile senza il trasferimento di Manetti a Fiesole.


La soluzione più lineare e conforme al Diritto Canonico sarebbe stata quella di assegnare definitivamente l’immobile del Seminario al Monastero, con un contratto di comodato pluridecennale, o una struttura analoga immediatamente disponibile e abitabile; e questo sarebbe già dovuto avvenire sin dall’inizio. Invece di seguire la via tracciata dal buonsenso senza creare ulteriori problemi alle Suore, il Vescovo Manetti cerca di persuaderle ad andarsene, e lo fa in modo informale, senza mai lasciare nulla di scritto, annunciando che questo sarebbe comunque stato il loro destino, non appena il nuovo Vescovo fosse stato insediato.


II. La comunicazione della Visita Apostolica

Premesso che con la Visita Apostolica il Romano Pontefice, attraverso suoi delegati, mette in atto la giurisdizione suprema e immediata che gli appartiene per ogni e qualsiasi parte della Chiesa, occorre nondimeno precisare che tale strumento ispettivo ha sempre un carattere straordinario, motivato da circostanze per lo più gravi e che vengono indicate nel Breve di nomina dei Visitatori. A chi è destinatario della Visita è dunque garantito il diritto di conoscere per quale ragione egli è sottoposto a un’ispezione della Santa Sede, e quali siano i poteri assegnati ai Visitatori nel documento di incarico.


La comunicazione del Card. Braz de Aviz, Prefetto del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, reca la data del 14 Settembre 2022 e il numero di protocollo 27887/2014. Le motivazioni della Visita non sono indicate, mentre è esplicitato che l’azione dei Visitatori riguarda «la conduzione del governo, la vita della Comunità e delle singole Monache, come pure la loro formazione iniziale e permanente, la prospettiva di futuro e la gestione economica del Monastero». Alla comunicazione è allegata copia del decreto di nomina dei Visitatori – l’Abate dom Giordano Rota e la Badessa Madre Roberta Lanfredini – parimenti datato 14 Settembre e con protocollo 36256/2017.


Queste comunicazioni del Dicastero, tuttavia, non sono mai state inviate al Monastero, ed è solo il 1° Novembre 2022 che le Monache apprendono per telefono dal Visitatore che due giorni dopo avrebbero dovuto riceverlo (salvo invece presentarsi di sorpresa l’indomani), dopo che il giorno 11 Ottobre precedente egli si era presentato senza preavviso a Pienza insieme alla Visitatrice e al Card. Lojudice, mentre le Monache erano in ritiro in un’altra località. La consegna del documento vaticano avviene dunque solo nel corso della Visita stessa e dietro insistente richiesta della Badessa, un mese e mezzo dopo la sua emissione, con modalità del tutto irrituali e senza che in esso siano indicate chiaramente le motivazioni della Visita.


Come abbiamo visto nella prima parte, il Card. Lojudice, interpellato dalla Badessa se fosse al corrente della Visita, ha prima negato e poi ammesso obtorto collo di aver accompagnato i Visitatori l’11 Ottobre precedente, confermando così di essere a conoscenza di quanto andava preparandosi a Roma. Da quanto sinora emerso è evidente che, contro ogni norma del diritto e contro la Carità che dovrebbe improntare ogni azione disciplinare dei Pastori, si sia voluto fare di tutto per rendere la Visita il più traumatizzante possibile nascondendone le motivazioni, conducendo gli interrogatori delle Monache in modo intimidatorio, cercando risibili pretesti come l’orientamento dell’altare o la vendita di marmellate, non rispettando la privacy delle Religiose, rendendo loro impossibile conoscere le accuse da cui difendersi e perfino tacendo i risultati della Visita stessa.


III. Le modalità di comunicazione dei risultati della Visita

In data 30 Gennaio 2023 il Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata ha emanato quattro decreti, firmati da mons. José Rodriguez Carballo, Segretario del medesimo Dicastero, identificati dallo stesso numero di protocollo 27887/2014, che pare peraltro riportato in modo errato e con un riferimento cronologico all’anno 2014. In realtà, anche il decreto di nomina dei Visitatori ha un numero di protocollo anomalo – 36256/2017 – che pare registrato nel 2017. Semplice svista?


Il primo decreto dispone che il Monastero «diventi membro della Federazione “Picena” delle Monache Benedettine in Italia»; il secondo dispone l’affidamento del governo del Monastero alla Presidente federale e al Consiglio pro temporedella predetta Federazione; il terzo decreto impone alla Badessa, Madre Diletta, l’esclaustrazione per tre anni con l’ingiunzione di lasciare il Monastero entro una settimana dalla notifica del decreto; e il quarto decreto impone alla Priora, Suor Margherita dell’Annunciazione, il trasferimento per un periodo di un anno al “monastero” di Bose entro una settimana dalla comunicazione del decreto. In pratica, col primo decreto le Monache sono messe in balia della Federazione e vengono così a perdere ogni prospettiva di poter mantenere il loro carisma “tradizionale”; col secondo viene imposta una Badessa, Madre Vacca, che funga da esecutrice degli ordini vaticani.


L’esclaustrazione di Madre Diletta, dopo ventun anni di vita claustrale, è un provvedimento estremamente severo, in assenza di motivazioni gravi, con cui la Badessa è di fatto messa in mezzo alla strada per tre anni, senza garanzie per la sua identità religiosa, senza alcun mezzo di sussistenza e senza certezza circa il suo futuro. Immaginate come può sentirsi una Monaca di clausura, cacciata senza ragione e punita senza potersi difendere, e che si vede ordinare di tornare a vivere in quel mondo che ella ha scelto di abbandonare per seguire la propria vocazione contemplativa. La spietatezza di un simile provvedimento dovrebbe fare inorridire, soprattutto quando i cortigiani di Santa Marta non si vergognano di celebrare Bergoglio come “il papa della tenerezza” e additare come “rigidi” quanti denunciano la deriva dottrinale e morale in cui egli ha fatto sprofondare la Chiesa di Cristo.


Non è meno assurdo l’invio della Priora a Bose, che suona come una crudele condanna alla “rieducazione” della Monaca in una comunità mista, notoriamente acattolica, ecumenica ed ultraprogressista, dove le sarà impossibile trovare serenità e seguire la propria vocazione. Comprendiamo quindi come dagli Accordi (segreti) tra la Santa Sede e il regime comunista di Pechino, il silenzio della Chiesa sulle violazioni dei diritti umani in Cina si accompagni all’acquisizione, da parte della Gerarchia bergogliana, di quei metodi di “riprogrammazione” cui sono sottoposti gli oppositori della dittatura di Xi Jinping.


Nonostante la data dei decreti sia il 30 Gennaio 2023, essi sono stati consegnati brevi manu alle Religiose il 13 Febbraio successivo da due sacerdoti (padre Raffaele Mennitti, Responsabile della Pastorale Vocazionale e per gli Istituti Religiosi della Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza, e don Paolo Mancini, qualificatosi come “segretario del Cardinale Lojudice”. La consegna è avvenuta in violazione dei doveri di riservatezza, dando notizia all’intera Comunità anche dei provvedimenti concernenti la Badessa e la Priora (can. 220).


I due sacerdoti hanno chiesto alle Monache di firmare una ricevuta, senza tuttavia rilasciarne loro regolare copia (can. 37) e senza menzionare in alcun modo a che titolo essi avessero ricevuto l’incarico di notificare e dare esecuzione ai decreti.


Un’altra anomalia: gli atti consegnati recano, al posto del timbro del Dicastero romano, il timbro della Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza, con la data del 9 Febbraio 2023 e un numero ulteriore di protocollo n. 03.A.54. Non si comprende il motivo per cui i decreti della Santa Sede siano stati inviati alla Diocesi e non direttamente al Monastero, dal momento che esso non è soggetto alla giurisdizione dell’Ordinario; né per quale motivo essi siano stati divulgati a terzi, in violazione ai doveri di riservatezza e ordinaria discrezione che tutelano il diritto alla buona fama anche delle Istituzioni e degli Enti ecclesiastici.


Queste gravi lacune formali rendono il decreto arbitrario, assolutamente privo di fondamento, e pertanto manifestamente nullo (cfr. can. 51), anche in ragione della conseguente e palese assenza dell’indicazione di “gravi motivazioni” che avrebbero portato il Dicastero a destituire la Badessa e la Priora legittimamente elette.


La mancata comunicazione di motivazioni circostanziate e dei risultati della Visita Apostolica riportati nella prescritta relazione finale lede gravemente il personale e intangibile diritto di difesa delle Monache. D’altra parte, il fatto di non aver ricevuto alcuna notizia né alcun rilievo dai Visitatori, insieme al loro prolungato silenzio – da inizio Novembre 2022 a Febbraio 2023 – avevano indotto le Religiose a ritenere che la Visita non avesse rilevato criticità tali da giustificare i severissimi provvedimenti poi sorprendentemente e inaspettatamente adottati.


Non basta: il Dicastero, con il primo decreto ha disposto l’ascrizione del Monastero alla Federazione Picena (cioè che diventi membro della Federazione Picena); con il secondo decreto, ha disposto l’affidamento del governo del Monastero alla Presidente federale, Madre Vacca, e al Consiglio pro tempore della Federazione stessa. Non essendo stato dichiarato decaduto il Consiglio presieduto da Madre Diletta, l’affidamento del governo ad altri soggetti è impossibile, visto che quelli che ne sono titolari risultano essere ancora tali.


E ancora: a differenza dell’affiliazione, che comporterebbe la soppressione del Monastero con il suo stato sui juris, l’ascrizione alla Federazione non produce, ipso facto, la decadenza dei vertici dello stesso né tantomeno comporta l’affidamento del Governo a soggetti esterni ad esso. Gli articoli 57 e 59 dell’Istruzione Cor Orans, citata dal Dicastero nel secondo decreto, sembrano non integrabili, posto che l’art. 54 della stessa Istruzione applicativa della Cost. Ap. Vultum Dei Quærere menziona l’affiliazione, e non l’ascrizione, precisando che «l’affiliazione è una particolare forma di aiuto che la Santa Sede viene a stabilire in particolari situazioni in favore della comunità di un Monastero sui juris che presenta un’autonomia solo asserita, ma in realtà assai precaria o, di fatto, inesistente». L’autonomia del Monastero Maria Tempio dello Spirito Santo non è affatto «solo asserita», «precaria» o «inesistente», né si possono addurre come motivazioni le irregolarità causate da mons. Manetti e che egli stesso si era impegnato a sanare, perché esse c’erano già al momento dell’erezione canonica. In ogni caso, né in occasione della Visita né successivamente l’autonomia del Monastero è stata contestata alle Monache. Né questo sarebbe stato possibile, dal momento che la mancanza di un immobile di proprietà non è imputabile alle Suore, e che nessun cambiamento è successivamente sopravvenuto a modificare la situazione. Inoltre, è del tutto anomalo che una Comunità di tredici giovani religiose sia giudicata incapace di autonomia, quando la maggior parte dei Conventi e dei Monasteri in Italia e in quasi tutti i Paesi del mondo conta un numero ben inferiore di suore.


L’affiliazione va intesa come «un aiuto» a quelle Comunità che, per il numero esiguo di suore, per la loro avanzata età e per l’oggettiva difficoltà di gestire il Monastero si troverebbero agevolate da altri Monasteri federati, in modo da poter avere delle consorelle che si prendano cura di loro, le assistano, si facciano carico delle incombenze più onerose. Essa non è, e non può essere, uno strumento con il quale commissariare delle Comunità di giovani monache, per il solo fatto che le loro legittime scelte in ambito liturgico o di vita religiosa non piacciono ai Superiori, notoriamente progressisti, avversi a qualsiasi forma di vita contemplativa e di cattolicesimo tradizionale.


Nel secondo decreto, il Dicastero cita l’art. 57 di Cor Orans, che dispone: «Con l’affiliazione, la Santa Sede sospende lo status di monastero autonomo, rendendolo ‘donec aliter provideatur’ casa dipendente da un altro monastero autonomo del medesimo Istituto o dalla Federazione, secondo quanto stabilito nella presente Istruzione ed eventuali altre disposizioni in materia date dalla stessa Santa Sede». La norma di riferimento su cui pretende di fondarsi il provvedimento, rende il Monastero affiliato «dipendente da altro monastero autonomo… o dalla Federazione», ma la Presidente e il Consiglio federale pro-tempore non sono un Monastero, né tantomeno sono “la” Federazione. E dove l’art. 58 parla esplicitamente della “Superiora Maggiore”, nel decreto romano essa non viene menzionata. Affidare, dunque, il governo del Monastero “in solido” alla Presidente federale e al suo Consiglio non ha alcun fondamento normativo, ma si configura piuttosto come un abuso di autorità che non tiene conto nemmeno della forma necessaria ed elementare a garantire validità ed efficacia agli atti giuridici.


Andrebbe anche evidenziata un’ulteriore incoerenza: gli stessi Monasteri di Madre Daniela Vacca e di Madre Roberta Lanfredini – che contano pochissime religiose – non hanno essi per primi ottemperato alle disposizioni di Cor Orans. In sostanza, la Visitatrice e la Presidente Federale non hanno adempiuto nei loro Monasteri ciò che rimproverano alle Monache di Pienza. E il paradosso sta nel voler rimuovere una Badessa, Madre Diletta, col pretesto di non aver federato il suo Monastero, per sostituirla con un’altra, Madre Vacca, appartenente a un Monastero non ottemperante alle disposizioni di Cor Orans. Si noti che anche la Visitatrice, Madre Lanfredini, proviene da un Monastero parimenti non ottemperante alle disposizioni di Cor Orans.


I Decreti impugnati dalle Monache, dunque, sono gravemente lacunosi, tanto circa il fondamento giuridico quanto a motivo della forma nella quale sono presentati. Oltre alla mancanza delle motivazioni e dei riferimenti normativi, non sono state indicate le modalità che consentano alle destinatarie dei decreti di impugnarli, rendendoli ingiustamente immediatamente esecutivi creando una evidentissima pressione intimidatoria.


Ed è sconcertante che i mezzi adottati da questi ecclesiastici siano significativamente speculari a quelli che usano le istituzioni sovranazionali per costringere i governi dei Paesi aderenti al World Economic Forum ad adeguarsi all’Agenda 2030: il metodo del ricatto economico – (Se non legalizzi i matrimoni omosessuali e il gender, non ti concedo i finanziamenti di cui hai bisogno) – si accompagna anche al ricorso a forme di “rivoluzione colorata” fomentata dalle fondazioni di George Soros per condurre al regime change e all’imposizione di un Premier gradito al sistema. Lo hanno fatto in Ucraina, stanno cercando di farlo in Moldavia, in Bielorussia, in Ungheria; parallelamente, i cortigiani di Bergoglio agiscono allo stesso modo per sostituire i Superiori “sgraditi” delle Comunità religiose o i Vescovi che nelle proprie Diocesi non si adeguano al nuovo corso.


IV. Aqua et igni interdictio

È inutile cercare qualche traccia, non dico di cristiana Carità, ma anche solo di umanità in questa vicenda. Agli abusi e alle irregolarità formali e sostanziali si aggiungono una serie di elementi, la cui valutazione contribuisce a comporre un quadro a dir poco allarmante circa la disastrosa situazione in cui versa il Vaticano, drammaticamente degenerata in questi ultimi dieci anni. Gli emissari della Santa Sede sono giunti ad applicare metodi persecutori e pesantemente punitivi, che nell’antica Roma erano riservati a chi fosse privato della cittadinanza per crimini gravissimi. Tra questi, la aqua et igni interdictio, ossia la privazione di qualunque sostegno e aiuto da parte degli altri cittadini romani, per costringere i colpevoli all’esilio.


Questa aqua et igni interdictio si è concretizzata su due fronti. Il primo è la revoca della delega all’uso del conto corrente del Monastero da parte della banca, su richiesta della sedicente nuova legale rappresentante, Madre Vacca, e senza che ne fosse informata la Badessa, Madre Diletta. Questo non sarebbe stato possibile senza la complicità e la connivenza degli impiegati dell’agenzia di Montepulciano della Banca Intesa San Paolo. La revoca della delega aggiunge alle gravi irregolarità di questi provvedimenti la privazione dei mezzi di quotidiano sostentamento per le Religiose, con chiaro intento intimidatorio se non addirittura ricattatorio. Ad aggravare la situazione si consideri che Madre Vacca, in una comunicazione di fatto minatoria inviata alle Religiose il 14 Febbraio 2023, ha dichiarato di aver assunto la rappresentanza legale dell’Ente Monastero anche agli effetti civili in data 3 Febbraio, ossia dieci giorni prima della notifica del decreto. Il che non solo rappresenta un’ennesima violazione della legge, ma dimostra anche da parte del Dicastero una volontà persecutoria del tutto ingiustificata e gravemente lesiva dei diritti delle Monache, non disgiunta dal ricorso a vili stratagemmi per impedire alle Monache di tutelarsi prelevando per tempo i loro risparmi.


La seconda forma di aqua et igni interdictio si è concretizzata nella comunicazione, diffusa agli organi di informazione, con cui la Diocesi dichiarava: «Si rende presente che non sono autorizzate in alcun modo raccolte di denaro da inviare a conti del Monastero o tantomeno intestate a persone fisiche». In questo modo le Monache, private della possibilità di usare il conto corrente su cui hanno depositato i loro risparmi – nientemeno che seimila euro per tredici Suore – si vedono costrette dal “misericordioso” intervento non firmato della Curia di Pienza a non poter nemmeno ricorrere alla carità dei fedeli. Se pensiamo che l’Elemosiniere pontificio, il Card. Krajewski – noto come Don Corrado – è andato personalmente a riaprire i contatori elettrici di un edificio occupato abusivamente da un centro sociale di estrema sinistra (qui), offrendosi di pagare le bollette arretrate (cosa poi non fatta), comprendiamo a che punto sia invertita la gerarchia di valori a cui fa riferimento la corte di Bergoglio.


Inutile ricordare che la Diocesi non ha alcun titolo per vietare raccolte di fondi al Monastero: nessuno può impedire libere donazioni da parte dei fedeli. Ma vale la pena evidenziare la spietata durezza di questi ecclesiastici, per i quali il prossimo tuo è l’immigrato clandestino, il transessuale, l’estremista anarchico, ma mai chi professa la Fede cattolica, si tratti di un chierico, di una religiosa, di un semplice fedele. Tanta disparità di trattamento è rivelatrice di un’impostazione ideologica nefasta che contraddice il Vangelo e mostra chi se ne fa promotore per quello che è.


Aggiungo, per comprendere la disparità di trattamento riservata a queste Monache rispetto ai veri casi di grave scandalo, un fatto di cronaca recentissima. Il gesuita Marko Rupnik, noto per aver deturpato molte chiese con i suoi orribili mosaici, è stato condannato per gravissimi crimini – tra cui lo stupro di decine di suore e di ragazzi, oltre che la violazione del Sacramento della Confessione – ha beneficiato della revoca della scomunica da parte di Bergoglio (alla faccia della lotta alla corruzione nella Chiesa). Alcune religiose si erano rivolte al gesuita Hans Zollner, per denunciare le molestie subìte, senza che questi vi desse seguito. Ebbene, lo scorso 2 Marzo il Cardinal Vicario Angelo de Donatis lo ha nominato consulente per la tutela dei minori della Diocesi di Roma (qui). Possiamo facilmente immaginare con quale efficacia egli agirà per proteggere le vittime dei pervertiti che infestano le istituzioni cattoliche. E se per i farisei romani la Badessa Madre Diletta merita di essere esclaustrata, senza nemmeno sapere per quale motivo, sappiate che Rupnik non è stato nemmeno allontanato dal Centro Aletti. Questo per avere la misura dell’ipocrisia che regna dietro le Mura Leonine da dieci anni.


V. Il ricorso delle Monache

È per queste ragioni che le Religiose hanno presentato formale Remonstratio al Dicastero per la Vita Religiosa, chiedendo la revoca integrale dei decreti e l’accesso a tutti gli atti, ivi compresi quelli a suo tempo inviati da mons. Manetti a Roma per l’erezione canonica del Monastero. Esse chiedono anche chiarimenti sull’anomalia dei numeri di protocollo uguali per documenti differenti.


La legge della Chiesa riconosce ai destinatari di un provvedimento il diritto di fare ricorso, e prevede parimenti la sospensione dell’esecutività del provvedimento stesso fino a che l’organo non abbia preso in esame le motivazioni addotte dal ricorrente. Il Dicastero romano dovrà dunque rispondere alle eccezioni sollevate dal Monastero di Pienza, sia di ordine formale sia di ordine sostanziale, e rendere accessibili gli atti che lo riguardano per consentire l’esercizio del diritto di difesa.


Va evidenziato che, in presenza di un ricorso pendente, viene sospesa l’esecutività dell’atto contro cui si fa ricorso. Ciò significa che le due emissarie del Dicastero e i loro zelanti accompagnatori non avevano e non hanno alcun titolo per pretendere di accedere al Monastero e scacciarne la Badessa e la Priora.


VI. L’atto di significazione e diffida

Il 24 Febbraio scorso dal sito dell’agenzia ANSA (qui) si è appreso di una diffida formale alle Monache presentata dalla Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza e dalla Federazione Picena. L’Atto di Significazione e Diffida, vergato dall’avvocato Alessandro Pasquazi, è stato poi pubblicato sul sito della Diocesi (qui): con esso si intima alle Monache di dare esecuzione ai decreti della Santa Sede.


La cosa surreale è che tale atto non sia mai stato notificato alle Monache, ma che sia stato invece fatto avere ai media, tra l’altro in violazione dei doveri di riservatezza cui tanto la Diocesi quanto la Federazione Picena dovrebbero essere tenute.


Nell’atto non si fa minimamente menzione del ricorso che legittimamente le Monache hanno opposto ai decreti vaticani, tale da sospenderne l’esecutività, ma si rimprovera loro di aver alimentato «un indebito dibattito sui mezzi di informazione», quando la realtà dei fatti sconfessa questa accusa, valida invece per la Diocesi, responsabile di aver divulgato la diffida senza che le Monache ne ricevessero notifica – cosa che a tutt’oggi non è ancora avvenuta. Ed è a dir poco sconcertante che gli estensori di queste “grida” di manzoniana memoria cerchino di insinuare il sospetto che le “sobillatrici” della “rivolta” siano unicamente la Badessa e la Priora, mentre la Comunità delle Sorelle è ben salda e unita nell’affrontare questa scandalosa vicenda e nell’opporsi alla violazione dei loro diritti. Mi chiedo: qual è il ruolo che Bergoglio vorrebbe dare alle donne nella Chiesa? quello di subire in silenzio le malversazioni di un’autorità tirannica, senza potersi nemmeno difendere, in nome di un distorto concetto di obbedienza che vale solo per chi è fedele alla propria Vocazione, mentre religiosi e chierici corrotti, eretici o fornicatori possono violare nella certezza dell’impunità?


L’intimazione finale dell’avvocato Pasquazi dovrebbe valere anzitutto per i suoi patrocinati: «Non sarà oltremodo consentito di veicolare ricostruzioni di parte e fuorvianti della complessa fattispecie che è stata oggetto di decisione da parte della Santa Sede», soprattutto considerando che le «ricostruzioni di parte e fuorvianti» sono state originate dai comunicati della Diocesi e della Federazione, oltre che dalle molteplici criticità contenute nei decreti del Dicastero vaticano.


VII. La violazione delle norme concordatarie

L’incursione del 17 Febbraio da parte di Madre Vacca e di Madre Di Marzio, assieme ad un laico (il vice-economo della Diocesi di Montepulciano) e ad altre persone, è avvenuta alla presenza del Maresciallo della locale Stazione dei Carabinieri e di due altri membri dell’Arma. Non è dato sapere a che titolo i tre militari siano intervenuti, né chi li abbia chiamati, anche se è evidente che non sono state le Monache.


Come ho già sottolineato nella prima parte, questo coinvolgimento del “braccio secolare” sconfessa la presunta volontà conciliatoria della Diocesi e del Dicastero romano, secondo i quali la reazione delle Religiose sarebbe frutto di un deplorevole fraintendimento. Esso si configura altresì nella sua chiara valenza intimidatoria, anche in relazione alla successiva attività di indagine svolta dai Carabinieri in maniera informale, i quali hanno convocato i parenti delle Monache – come testimoniato da alcuni di essi – interrogandoli sulla conduzione del Monastero e cercando di portare alla luce una inesistente quanto assurda manipolazione delle religiose da parte della Badessa e della Priora.


Secondo quanto a me riportato dalla madre di una Monaca, convocata dai Carabinieri di Ancona il giorno 28 Febbraio, le domande che le sono state rivolte nel corso di un interrogatorio serrato e traumatizzante, erano di questo tenore: Può visitare sua figlia? Ogni quanto? L’ha mai vista triste o preoccupata? Si è mai lamentata di come vive, o ha fatto delle confidenze su problemi in Monastero? Chi custodisce il telefono in Monastero? Sua figlia può mandare messaggi e usare WhatsApp, oltre a chiamare? I Carabinieri, senza averne il mandato, hanno anche pressato la madre della Monaca affinché mostrasse loro il contenuto del suo cellulare. Faccio notare che alle persone convocate dai Carabinieri non è stata consegnata copia del verbale redatto durante l’interrogatorio, nonostante ne abbiano fatto richiesta. Anche questo, in punto di diritto, è assolutamente inconcepibile e censurabile.


Stupisce il comportamento dei carabinieri che hanno effettuato l’interrogatorio senza rispettare le recenti modifiche del Codice di Procedura Penale che prevede che venga dato avviso alla persona interrogata circa la possibilità di registrare o meno l’interrogatorio. Il trattamento a cui sono stati sottoposti i parenti delle Monache verrà a suo tempo valutato dai legali per un’ulteriore azione.


Va inoltre precisato che nei Monasteri e nelle Case religiose fedeli alla Regola e al proprio Carisma è normale disciplina limitare o non ammettere l’uso di internet, come pure regolamentare i rapporti con il mondo esterno.


Mi pare sia evidente che “qualcuno” abbia volutamente fatto credere ai Carabinieri di trovarsi davanti a una sorta di “psico-setta”. Ma le stesse “accuse” che secondo la stampa sarebbero rivolte alle Monache di dedicarsi troppo a internet – addirittura avendo un proprio sito internet, come quasi tutte le Comunità – sono in contraddizione con questa presunta loro impossibilità di comunicare con l’esterno.


In ogni caso, il legale delle Monache verificherà chi ha richiesto l’intervento dei Carabinieri suggerendo la possibilità di una manipolazione psicologica delle Religiose, e ne chiederà conto nelle sedi opportune, sia che la “soffiata” sia arrivata dalla Curia, sia da un intervento a più alti livelli, ad esempio dalla Segreteria di Stato al Ministero dell’Interno. Perché, se così fosse, il pericolo di un autoritarismo manipolatorio da parte della Badessa avrebbe dovuto essere dichiarato nelle motivazioni della Visita e nella Relazione finale, cosa che non risulta, proprio per la deliberata assenza di motivazioni, in violazione a quanto previsto dalla legge canonica.


Suona a dir poco spropositato che la Santa Sede, tanto impegnata a parole a prendere le distanze dalle commistioni con il potere temporale e tanto zelante nel predicare la separazione tra Stato e Chiesa, non esiti a sguinzagliare la forza pubblica contro tredici Suore che hanno il solo torto di voler rimanere fedeli al proprio carisma di Benedettine – ora et labora – senza dover subire prima le intromissioni indebite di Kiko Argüello, poi quelle non economicamente disinteressate della Curia, e perfino quelle ideologicamente orientate del Vaticano.


Questo coinvolgimento del “braccio secolare” costituisce inoltre una gravissima violazione delle norme concordatarie, e crea un pericoloso precedente che va a sommarsi a quanto già vergognosamente accaduto durante la farsa pandemica, quando le forze dell’ordine irrompevano nelle chiese e costringevano il celebrante ad interrompere la Messa con la scusa delle deliranti norme sanitarie allora vigenti. Il precedente, in questo caso di Pienza, è che l’autorità civile possa intervenire con la forza per dare esecuzione a provvedimenti emanati dall’autorità ecclesiastica, con questo violando l’indipendenza dei due poteri che sta alla base del Concordato.


Un altro elemento da evidenziare è che l’Arma dei Carabinieri si sia prestata a questa operazione del tutto forzata, senza nemmeno rendersi conto di collaborare ad una vera e propria sopraffazione autoritaria e illegittima dell’Autorità ecclesiastica, ingiustificata anche dal ricorso pendente presso il Dicastero, oltre che dalla mancata comunicazione degli atti agli interessati. Chi non è addentro alle questioni canoniche potrà capire l’enormità del fatto considerando che esso potrebbe paragonarsi alla pretesa delle forze dell’ordine di procedere al sequestro di un immobile o all’arresto di una persona senza presentare il mandato o l’ordine del magistrato. In ogni caso, alcuni tra gli stessi Carabinieri hanno manifestato imbarazzo e disagio al vedersi coinvolti in questa operazione.


VIII. Nuovi sconcertanti dettagli: il centro di accoglienza

Proprio mentre questa seconda parte del mio intervento stava per essere pubblicata, due notizie, apparse su Repubblica, portano ulteriori elementi a conferma della totale pretestuosità dei provvedimenti assunti dalla Santa Sede e dai suoi emissari.


La prima notizia, diffusa il 2 Marzo (qui) fa luce sulle intenzioni della Diocesi circa l’utilizzo dell’immobile dell’ex-Seminario, attualmente destinato alle Monache. Secondo quanto riferisce Repubblica, il Monastero «potrebbe presto diventare un centro di accoglienza per immigrati e profughi, ormai troppi, anche nel senese, rispetto alle strutture del territorio. Con le stesse monache, se saranno disponibili, a dare una mano. Una destinazione del tutto in linea con la “Chiesa dei poveri” cara a papa Francesco, e con il carisma episcopale di Augusto Paolo Lojudice, dal 2019 arcivescovo di Siena e dallo scorso settembre a capo anche della diocesi di Montepulciano Chiusi Pienza, e con alle spalle un lungo impegno nelle periferie romane».


Il sospetto di una speculazione immobiliare – sospetto del tutto ragionevole, visti il comportamento dei protagonisti della vicenda – pare perdere consistenza, in favore di una operazione di propaganda ideologica: la “chiesa dei poveri” vorrebbe dare alloggio a profughi e immigrati nel cuore della Toscana, in un comune di duemila anime della Val d’Orcia che vive di turismo. Non oso immaginare quale sarà la risposta degli abitanti a questa demagogica decisione del Card. Lojudice. Il quale, credendo di non essere attaccabile sul fronte mediatico rivelando le proprie intenzioni “inclusive”, si troverà ora contro tutta Pienza, legittimamente preoccupata per le conseguenze di tale improvvida decisione. Non è un mistero che i centri di accoglienza comportino problemi di ordine pubblico e di controllo degli “ospiti”, come dimostrano invariabilmente tutti i casi analoghi. A quel punto i Carabinieri avranno ben altro di cui occuparsi, che degli interrogatori dei parenti delle suore.


Nello stesso articolo si fa menzione del fatto che il decreto del Dicastero sarebbe «gravato da segreto pontificio»: questo non solo non è vero, ma nemmeno possibile! come potrebbero difendersi le Monache da accuse mai circostanziate, i cui atti non sono stati notificati e i cui decreti sarebbero, secondo Repubblica, secretati?


Sempre secondo Repubblica, le Monache sarebbero state «trasferite in Olanda, da qui allontanate proprio per via del loro carisma poco allineato», quando invece il loro invio all’estero è stato deciso da Kiko in accordo con il Vescovo di Amsterdam per aprire una nuova Comunità; e la loro decisione di abbandonare quel Monastero è stata presa per sottrarsi alle interferenze della dirigenza del Cammino Neocatecumenale. Non vi sono, insomma, “precedenti” di trasferimenti o rimozioni di natura punitiva, ma una sofferta testimonianza di coerenza, per cui quanto più le Monache si avvicinavano alla Tradizione, tanto più sono state fatte oggetto delle attenzioni dei Superiori ecclesiastici.


E mentre scopriamo dalla stampa che il Monastero sarà convertito in centro di accoglienza per la gioia dei pientini (e, immagino, della locale stazione dei Carabinieri), non possiamo non rilevare che, nel delirio pauperista di Lojudice, non si è tenuto in alcun conto il carisma benedettino di vita claustrata delle religiose, decidendo motu proprio di trasformarle in assistenti sociali. Non basta: la sola prudenza avrebbe dovuto sconsigliare di mettere insieme giovani Monache con immigrati e profughi che – per religione e cultura – potrebbero creare seri problemi. Ma forse è proprio questo lo scopo: fare alle Religiose una proposta apparentemente conciliante, ma che risulti per loro talmente incompatibile con il proprio carisma da costringerle ad abbandonare Pienza. E se questo dovesse avvenire in concomitanza con le legittime proteste dei pientini contro l’apertura del centro, a quel punto la vendita dell’immobile sarebbe probabilmente considerata preferibile e auspicabile. Non c’è che dire: l’immobile dell’ex-Seminario si rivela fonte di profitto sia che diventi un centro di accoglienza, sia che venga venduto o dato in locazione a terzi, mentre al momento non rende nulla. Delle tredici Monache e del ruolo soprannaturale della preghiera che esse ricoprono nella Chiesa, a questi grigi miserabili funzionari vaticani non importa nulla.


Il secondo articolo, pubblicato il 4 Marzo (qui) e indicato come agenzia ANSA, rivela notizie sconcertanti, relative ad una indagine della Procura, in vista della quale i Carabinieri starebbero raccogliendo testimonianze. Se così fosse, sarà arduo per la Diocesi e la Federazione Picena dimostrare la legittimità di provvedimenti non notificati, e pretendere l’esecutività di decreti che, essendo stati impugnati con un ricorso, sono per legge da considerarsi sospesi. Diciamo che questa notizia, sapientemente diffusa all’ANSA, serve più che altro a ingigantire il caso per intimidire e logorare psicologicamente le Monache.


Ciò che è invece interessante è che anche questo articolo ribadisca le intenzioni di Lojudice di «trasformare il convento di Pienza in struttura per i profughi», «con le suore (se lo volessero) a dare una mano, a meno di non esporre il monastero al rischio della soppressione, e se stesse alla riduzione allo stato laicale». Un ricatto in piena regola: prima si creano i presupposti per esasperare una situazione sino ad allora normale; poi, alla legittima reazione delle Monache, le si rassicura che non dovranno andarsene, salvo scoprire che il loro destino – che Repubblica liquida disinvoltamente come «dare una mano» –rende la proposta irricevibile e le costringe quindi a rifiutarla, facendole apparire come disobbedienti e “ribelli”.


Ma se la direzione di un giornale promettesse a tutti i giornalisti di una redazione di non licenziarli, destinandoli però a mansioni di segreteria o di pulizia degli uffici, accetterebbero di «dare una mano»? E soprattutto: sopporterebbero in silenzio di passare per insubordinati, quando pretendono solo di continuare a fare il lavoro per il quale sono stati assunti? Lascerebbero infangare la propria reputazione con accuse infondate e insinuazioni che mettono in discussione la loro professionalità o la loro onestà? Se la proprietà chiedesse loro di rinunciare ad essere giornalisti pur di non venire licenziati, non giudicherebbero questa proposta di «dare una mano» una provocazione e un ricatto? Forse molti di quanti riportano acriticamente le veline della Diocesi e della Federazione dovrebbero porsi queste domande, e capire che dietro questa squallida vicenda ci sono persone vere, giovani ragazze che in un mondo materialista e immorale hanno deciso di offrire la loro vita alla preghiera, e che vedono pregiudicato il proprio futuro senza aver fatto nulla di male. E tutto questo avviene in un contesto ecclesiale oggettivamente capovolto, dove le Comunità fedeli alla Tradizione sono perseguitate, mentre quelle responsabili di gravi deviazioni dottrinali o morali – non si contano più – vengono tollerate o addirittura incoraggiate e protette.


Sia chiaro: l’assistenza dei poveri e dei bisognosi è da sempre uno dei campi di azione della Chiesa e degli Ordini religiosi, oltre che un’opera di misericordia. Ciò che è moralmente riprovevole è il voler utilizzare ipocritamente l’accoglienza dei profughi e degli immigrati – non scevra da un ritorno economico, visti i contributi assegnati dallo Stato agli enti assistenziali – come mezzo per compiere un abuso immotivato nei confronti di tredici giovani Monache. E di volerle presentare come insensibili ed egoiste, per il solo fatto di non poter accettare di veder stravolte le proprie scelte di vita contemplativa, liberamente assunte.


Chi spera di lavarsi la coscienza ammantando di scopi umanitari la persecuzione delle Monache sta scoprendo a proprie spese che la disonestà e la menzogna vengono alla luce, e che dietro la promessa di non sopprimere il Monastero si nasconde l’intenzione di costringere delle vocazioni contemplative ad una vita che di contemplativo non ha nulla; che è poi lo scopo ultimo di Cor Orans e della furia demolitrice della corte bergogliana. Eccolo, il «conflitto interecclesiale» tra «settori tradizionalisti anti-bergogliani» e «la “Chiesa dei poveri” cara a papa Francesco, nonché all’arcivescovo Lojudice» di cui parla Repubblica. Un vero conflitto, in cui la missione spirituale della Chiesa Cattolica si scontra con una visione demagogica e ipocrita di chi pensa solo a piacere al mondo e a smantellare gli Ordini religiosi giudicati fuori moda e non remunerativi. Sarei curioso di sapere se la Santa Sede con altrettanta spensieratezza trasformerebbe in struttura per profughi il Centro Aletti (Fondazione Agape), i cui cospicui profitti per le “opere d’arte” musive di Rupnik difficilmente verrebbero compensati dal pur lucroso business dell’accoglienza. Ma il vero problema sono le marmellate delle Monache.


IX. Conclusione

Al di là dell’analisi dei documenti e delle considerazioni che da essi scaturiscono, è del tutto innegabile l’atteggiamento gravemente ingannatorio e menzognero di chi sosteneva che questa vicenda fosse limitata al cambio dei vertici del Monastero, e non alla sua eliminazione e trasformazione in centro di accoglienza per profughi. E se i timori delle nostre Monache dovessero apparire ingiustificati, per comprendere quanto esse abbiano avuto mille ragioni per opporsi a queste manovre criminali è sufficiente vedere quante altre Comunità religiose (si veda ad esempio qui e qui) sono state fatte oggetto di analoghi processi sommari, sempre con scuse pretestuose, sempre in violazione del diritto, sempre in presenza di prestigiosi immobili che qualcuno pensa di usare a proprio vantaggio vendendoli o rendendoli remunerativi, sempre contro comunità che non vogliono rinnegare il proprio carisma solo perché così ha deciso la junta bergogliana.


A conclusione di questa seconda parte, vorrei citare l’esortazione rivolta da José Rodriguez Carballo alle religiose di Clausura, il 21 Novembre 2018, a commento dell’Istruzione Cor Orans (qui). Queste parole, pur nel paradosso di essere state pronunciate con tutt’altro intento, valgono per le Monache di Pienza e per tutte le suore perseguitate:


Non fatevi manipolare! Siete voi che dovete gestire la vostra vita, da donne adulte! Non una, ma tre grate ci vogliono per dividervi da quelle persone che vi vogliono manipolare, anche se sono vescovi, cardinali, frati o altre persone. Siete voi che dovete fare discernimento, perché c’è gente che vi sta facendo molto male. Perché stanno proiettando su di voi le idee che loro hanno.


E se una persona come Carballo, coinvolta in scandali finanziari che hanno mandato in bancarotta l’Ordine dei Frati Minori, è stata nominata Segretario del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, non stupiamoci se nella funzione che ora ricopre egli continua l’opera devastatrice su più vasta scala. Possiamo solo pregare e sperare che «non una, ma tre grate» attendano lui e i suoi complici.


Qualcuno, a Roma e a Pienza, dimentica che le Monache sono misticamente sposate al Signore. Non oso pensare quale sarà la punizione dello Sposo divino verso chi tocca le Vergini consacrate e si tiene accanto fornicatori ed eretici.

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo
Dominica II in Quadragesima, 5 Marzo 2023








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