Proponiamo
la lettura dell’introduzione di questo saggio
DA
MALTHUS AL RAZZISMO VERDE
LA
VERA STORIA DEL MOVIMENTO PER IL CONTROLLO DELLE NASCITE
Il
libro pubblicato da 21mo
SECOLO
fu scritto da Antonio Gaspari nel 1997 e riproposto in una seconda
edizione nel 2011.
Oggi
più che mai è attualissimo perché porta a galla le radici elitarie
e razziste dei vari movimenti ecologisti dietro i quali si celano i
sempre soliti noti. Coloro che pensano di essere i potenti della
Terra.
Gli
ambientalisti che facevano i campioni di pacifismo oggi si schierano
apertamente per una guerra contro la Russia, come vogliono i loro
padroni.
La
nidiata occidentale degli Young
Global Leaders sono
tutti creature di Schwab. A partire da Trudeau in Canada, al primo
ministro finlandese….
,
la prima ministra neozelandese sono tutti caratterizzati dalla loro
impronta ambientalista, ecologista, anti umana e maltusiana.
In
Germania il ministro degli esteri Annalena Baerbock, una nullità
sconosciuta fino a prima della formazione dell’ultimo governo
tedesco, anche essa pupilla di Schwab, è il capo del partito verde
teutonico.
I
grunen che si sono caratterizzati perla loro politica “pacifista”
nei decenni passati, oggi sono schierati apertamente a favore della
guerra contro la Russia proprio sotto la direzione del ministro degli
esteri tedesco.
Questo
fa tornare a mente le stesse radici ambientaliste del partito nazista
che all’inizio odiava la tecnologia e il suo utilizzo in
agricoltura poi finì nel fare la guerra alla Russia perché così
volevano i loro creatori.
È
interessante rileggere il saggio proprio
per la sua attualità, per la ricchezza dei dati riportati nel
libro viene che adesso ristampato in una terza edizione arricchita e
può essere ordinato direttamente al sito www.21mosecolo.it
INTRODUZIONE
dell’autore.
Quando,
più di dieci anni fa, cominciai ad occuparmi di “ambientalismo”
rimasi impressionato da alcune contraddizioni profonde che
caratterizzano ancora oggi l’intero arcipelago verde.
Notai
con un certo stupore come tutti i membri delle associazioni
ambientaliste, nonostante la grande diversità di filosofie,
ideologie, fede religiosa, distinzioni politiche e di ceto sociale
identificassero nella crescita della popolazione la causa scatenante
della globalità dei problemi ambientali del pianeta. E soprattutto
rimasi sorpreso constatando che le politiche di controllo delle
nascite, brutali e segnate da violazioni palesi dei diritti umani,
venissero giustificate in nome della difesa ambientale.
La tesi
della crescita della popolazione come una bomba ad orologeria che
sarebbe esplosa scatenando i peggiori disastri per il mondo e,
soprattutto, la convinzione che per questo motivo l’uomo sia
paragonabile a un cancro
che divora il pianeta, mi sembrava
esagerata e molto lontana dalla realtà. Ma questa è la filosofia di
fondo che, ancora oggi, la totalità delle potenti organizzazioni
ambientaliste internazionali utilizza come cavallo di battaglia.
Non
è un caso che le tesi “catastrofiste” in merito alla crescita
della popolazione del pastore anglicano più noto come economista
Thomas Robert Malthus, insieme alle teorie evoluzioniste di Charles
Darwin, vengano poste
all’origine dell’ambientalismo
classico.
Per anni l’ecologia fu studiata solo da piccole
élite della nobiltà terriera e da piccoli gruppi di intellettuali
legati a questa élite. Poi si diffuse tra vasti strati della
popolazione con la pubblicazione nel 1972 del primo rapporto
su
I
limiti dello Sviluppo
realizzato dal Club di Roma. Nei suoi Rapporti il Club di Roma ha
indicato quattro pericoli mortali che incombono sull’umanità:
l’esplosione demografica, la mancanza di cibo, la scarsità di
risorse e la crisi
energetica. Per far loro fronte propose la
crescita zero per la popolazione e consumi ridotti, prospettando, in
un certo senso, un mondo in cui solo pochi privilegiati potessero
godere di una certa qualità della vita.
Nonostante la
provenienza chiaramente “capitalistica” di Aurelio Peccei e dei
suoi sostenitori, la sinistra sposò le tesi del Club di Roma, così
che oggi il movimento verde anche nella sua componente
radical-socialista sostiene le teorie di Malthus.
Mi era chiaro
già allora, e ancor più oggi, come Thomas Robert Malthus e i suoi
seguaci avessero sbagliato tutto, come le loro profezie fossero solo
fantasmi agitati per coprire politiche economiche colonialiste e
soprattutto
come la loro concezione dell’uomo e dei rapporti
sociali fosse così disumana da confondersi con quella che regola il
mondo animale.
Per questo motivo non mi sono stupito più di
tanto quando, proseguendo nella ricerca delle basi filosofiche e
della storia del movimento ambientalista, ho scoperto gli stretti
legami che da sempre alcuni fondatori e dirigenti degli ecologisti
hanno con le teorie del darvinismo sociale e con l’intolleranza che
si spinge fino a forme di vero razzismo contro una parte del genere
umano.
Basta analizzare la figura di colui che viene spesso
definito l’iniziatore dell’ecologia, Ernst Haeckel, per
constatare come darvinismo sociale, razzismo e selezione delle
nascite siano parte costitutiva dell’ambientalismo.
Lo zoologo
darvinista Ernst Haeckel (1834-1919) incontrò l’approvazione
entusiastica della sinistra social-comunista, che vide in lui un
campione della libertà, dell’anticlericalismo e soprattutto delle
soluzioni collettiviste ai problemi sociali. Pochi si accorsero delle
implicazioni razziste del suo pensiero: ben prima di Hitler, Haeckel
indicò nelle «razze centrali» il «più alto grado di sviluppo e
perfezione». Secondo lo zoologo tedesco la razza «indogermanica»
era superiore ai popoli «amosemitici» e grazie al suo «cervello
più sviluppato era destinata a trionfare sulle altre razze e nella
lotta per la sopravvivenza» e a «stendere le reti del suo dominio
su tutto il mondo».
Come sostenitore delle teorie evoluzioniste
Haeckel affermò che per raggiungere tale egemonia occorrevano misure
di selezione artificiale. Il modello era soprattutto quello
dell’antica Sparta, dove i neonati venivano sottoposti a rigorosi
esami fisici e a un processo selettivo. Di qui la proposta, che
Haeckel avanzò nel 1904, di sopprimere ammalati e invalidi.
Un
elemento che è stato trascurato dalla storiografia contemporanea è
il legame tra la nascita del movimento eugenetico e l’ideologia
conservazionista o, più esattamente, ambientalista. Non è difficile
scoprire, infatti, che
una delle correnti dell’eugenetica e
dell’antisemitismo classico, così come del razzismo che prese a
dilagare alla fine dell’ottocento, è l’ideologia
conservazionista.
Basta scorrere la storia e studiare il
pensiero di personaggi come il presidente degli Stati Uniti Theodore
Roosevelt, come il fondatore del movimento eugenetico statunitense
Charles Benedict Davenport, come l’avvocato (molto apprezzato da
Hitler) Madison Grant e come il presidente del Museo Americano di
Storia Naturale, Henry Fairfield Osborn, per scoprire come la difesa
e la selezione del ceppo teutonico della razza anglosassone e la
sterilizzazione delle razze inferiori andasse di pari passo con la
politica di creazione di parchi naturali, della difesa degli animali
e degli alberi di una natura selvaggia.
Charles Benedict
Davenport è considerato a ragione il fondatore e principale
sostenitore del movimento eugenetico statunitense. Razzista e
antisemita, Davenport è noto per essere stato anche uno dei padri
fondatori del movimento ambientalista. Anche l’Enciclopedia del
Novecento della Treccani lo descrive come «uno dei fondatori
dell’ecologia tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo».
Lo
stesso si può dire di Madison Grant, un avvocato di New York, che si
definiva un guardaboschi, un esploratore, un conservazionista. In
effetti, fu tra i fondatori della New
York Zoological Society
e ricoprì la carica di presi-
dente dello zoo di New York per
12 anni. Fu anche membro del consiglio di amministrazione di molte
associazioni conservazioniste tra cui la Lega della Foresta Rossa di
San Francisco.
In maniera del tutto coerente con la sua
concezione malthusiana e darvinista dell’evoluzione umana, Grant fu
uno dei personaggi più influenti nella creazione del movimento
razzista statunitense. Grant odiava tutti gli immigrati, con
particolare accanimento verso gli ebrei e i cattolici. Il suo libro
The
Passing of the Great Race,
una sorta di manifesto degli ariani contro le altre razze, fu tra i
pochi che Hitler disse di aver letto.
Nel 1887, Grant e altri
soci del circolo di Osborn fondarono il Boone and Crockett Club
(B&C), ricordato come la prima associazione conservazionista
degli Stati Uniti.
Esso godeva del sostegno delle potenti
famiglie che rappresentavano l’élite WASP (White Anglo-Saxon
Protestant) di New York e cioè i Morgan, i Frick, i Dodge, i
Vanderbilt, i Rockefeller e gli Harrimann. Obiettivo del potente Club
era quello di sostenere i movimenti eugenetici per la restrizione
dell’immigrazione e promuovere la conservazione della flora e della
fauna selvatica. A questo scopo il Club decise di incoraggiare tutte
le attività del Museo Americano di Storia Naturale, del giardino
zoologico di New York (Bronx Zoo) e della Lega della Foresta Rossa di
San Francisco.
Presidente del Club fu Theodore Roosevelt, il
quale, divenuto in seguito presidente degli Stati Uniti (1901-1908),
si dimostrò un campione di imperialismo, razzismo e
conservazionismo.
Roosevelt, che lanciò l’allarme per
impedire «il suicidio della razza bianca» provocato dalla
«degenerazione» causata dagli immigrati, è ricordato dagli
ambientalisti come il primo presidente che abbia avviato la
realizzazione dei Parchi Nazionali. Così, mentre disprezzava gran
parte dell’umanità (neri, ebrei, cattolici, slavi, italiani,
irlandesi, e i poveri in genere) perché di «sangue degenerato»,
Roosevelt difendeva la natura selvaggia.
Le più grandi
associazioni ambientaliste statunitensi dipendono ancora oggi, per
una parte importante dei loro finanziamenti dagli stessi circoli che
fondarono il Boone and Crockett Club.
Seppure Malthus e i suoi
seguaci avessero fatto parte dell’élite di quei proprietari
terrieri che oggi definiremmo reazionari, sarebbe un errore non
rilevare che l’ideologia ambientalista con queste sue
caratteristiche di darvinismo sociale e intolleranza è stata accolta
positivamente anche
dalla sinistra socialista. Haeckel era un
socialista ed ebbe grande influenza nel movimento operaio tedesco, ed
erano socialisti Sidney e Beatrice Webb, fondatori della Società
Fabiana e fautori della selezione eugenetica delle nascite, così
come socialista e favorevole all’eugenetica era anche George
Bernard Shaw.
Ai giorni nostri tra i principali esponenti di
questa corrente di pensiero possiamo citare il fondatore del
movimento di liberazione degli animali, il professor Peter Singer. Il
filosofo australiano, sostenitore dell’infanticidio
dei
bambini malati o disabili, è stato accusato in alcune nazioni di
portare avanti una concezione etica molto simile a quella dei
nazisti. Nonostante ciò egli ha proposto a Tony Blair, a Massimo
D’Alema e agli altri leader socialisti
europei di sposare una
nuova concezione di “darvinismo sociale”, più egualitario, però,
perché privo di distinzioni tra uomini e animali. Una sorta di
“socialismo darviniano” in cui le politiche di selezione delle
nascite siano in
accordo con quelle della difesa della
natura.
Su questa linea di pensiero è anche il tedesco Peter
Sloterdijk. Già ideologo delle frange più estremiste della
contestazione giovanile, Sloterdijk è considerato uno dei più noti
intellettuali della sinistra. Docente di Estetica
all’Università
Humboldt di Monaco, Sloterdijk ha riproposto la selezione delle
nascite, che porterebbe a una razza di superuomini più adatta a
governare il genere umano. Per questa ragione Sloterdijk è stato
definito come «un
comunista che non sapeva di essere
nazista».
Il razzismo è un sentimento, un modo di pensare e di
essere che va al di là delle idee politiche e parte essenzialmente
da una bassa concezione dell’essere umano mista spesso alla paura
dell’altro. “Altro” inteso in senso molto ampio. Definire le
razze attraverso le caratteristiche craniometriche, il quoziente di
intelligenza, il colore della pelle, le differenze somatiche, ma
anche l’appartenenza ad un ceto sociale, le differenze politiche,
culturali e religiose, è solo funzionale alla razionalizzazione di
questa intolleranza, alla giustificazione dell’odio nei confronti
degli altri esseri umani, alla legittimazione dei privilegi che un
gruppo di persone detiene.
Questo non significa che il razzismo
sia una malattia che colpisce solo le classi agiate: troviamo forme
di razzismo profondo anche negli ideatori e sostenitori
dell’ideologia marxista leninista. Lì il “razzismo” invece che
tra
razze diventa tra classi: proletari contro intellettuali,
borghesi e capitalisti.
L’ideologia di intolleranza e di
razzismo dominante negli ultimi duecento anni di storia è il
maltusianismo, ripreso oggi dalle teorie neomalthusiane. Sostenere
infatti che la crescita demografica è il principale dei
problemi
dell’umanità è il primo passo di un percorso che
porta alla selezione di chi potrà riprodursi e chi no. Per Malthus
il problema fu subito chiaro: la classe ricca e agiata doveva
riprodursi, mentre ai poveri bisognava negare ogni aiuto, anche
quello della carità. Malthus arrivò a raccomandare
ogni tipo
di azione che favorisse la riduzione e l’eliminazione dei poveri.
Per Malthus ogni proposta che andasse nella direzione del
miglioramento delle condizioni delle classi più disagiate era non
solo immorale, ma anche contraria alle leggi di Dio e della
natura.
Seppure sia ormai chiaro come il “capitale umano” e
il contributo delle giovani generazioni arrivate con l’emigrazione
abbiano permesso a molte società prive di materie prime di diventare
ricche, l’idea che bisogna impedire ai poveri di riprodursi è
ancora molto diffusa.
Questo mostra come il razzismo possa
essere anche un fenomeno incredibilmente sfuggente, nel senso che può
essere patrimonio di ideologie diverse le quali, in nome di un
presunto progresso e miglioramento dell’umanità, dividono gli
uomini in base a criteri ideologici in categorie sociali che poi
contrappongono tra loro. La diversità del genere umano, che è una
ricchezza, diventa così elemento di scontro e
contrapposizione.
Oggi, per esempio, ci troviamo di fronte a una
forte forma di intolleranza di tipo ambientalista, un fenomeno che
pochi percepiscono a causa della confusione di valori e della
mistificazione con cui vengono presentate certe campagne; accade
infatti che in nome della difesa della natura si organizzino campagne
che vanno a ledere la libertà e la dignità degli individui.
In
nome della difesa della natura abbiamo visto le diverse sigle
dell’ambientalismo organizzare manifestazioni contro intere
categorie di persone. Così gli agricoltori sono stati accusati di
essere “avvelenatori”, gli allevatori di animali “kapò” che
dirigono lager, i medici impegnati nella ricerca medica insultati e
minacciati come “torturatori di animali”, i commercianti di
pellicce sono diventati oggetto di lanci di vernice rossa, sono stati
definiti “assassini” e le vetrine dei loro negozi spaccate. A ciò
si aggiungono tralicci elettrici sabotati, cantieri ferroviari
devastati, navi assaltate, allevamenti di animali da pelliccia
rovinati, laboratori di ricerca medica distrutti.
In questo
contesto l’“ecosabotaggio” è diventato un passatempo di moda
per i “radical-chic”, l’appartenenza a gruppi di abbordaggio
delle navi per conto di Greenpeace un’esperienza esaltante da
raccontare ai giornali e nei salotti, la pubblicazione del Manuale
dell’ecosabotaggio un utile strumento operativo.
L’intolleranza
ambientalista non risparmia neanche le abitudini alimentari. Per
molte associazioni ambientaliste se mangi carne sei un “sanguinario”,
se bevi latte contribuisci a far soffrire le mucche e i vitellini, se
mangi l’agnello sei “crudele”.
L’aspetto
più allarmante di questo fenomeno è la maniera indulgente con cui
una parte dell’opinione pubblica ha finora guardato a queste
manifestazioni, che pure presuppongono violenza, prevaricazione,
pregiudizi e intolleranza.
L’atteggiamento totalitario insito
nell’ideologia ambientalista emerge prepotentemente anche nel
metodo di lavoro. Molte campagne ecologiste, infatti, non mirano a
risolvere i problemi ambientali diffondendo maggiore conoscenza o
proponendo soluzioni innovative, bensì si concentrano
nell’identificazione del nemico: l’inquinatore,
spesso
riconoscibile in una categoria specifica di persone: allevatori,
agricoltori, cacciatori, ricercatori, industriali, scienziati, ecc. A
ciò segue la condanna senza processo e senza diritto alla difesa.
Un
metodo fondato sull’intolleranza verso chi la pensa diversamente,
atteggiamento che in passato fu all’origine di pratiche che
fociarono nell’attività delle squadracce naziste e dei gruppi di
giovani comunisti impiegati durante la rivoluzione culturale
cinese.
In questo la metodologia di intolleranza ambientalista è
assolutamente simile a quella dei gruppi razzisti, i quali,
identificato il nemico, lo inseriscono in una categoria che può
essere di tipo sociale, di provenienza geografica, etnica o
religiosa, per poi condurre campagne tendenti a demolirlo fino a
cancellarlo.
Un altro aspetto paradossale riguarda il concetto
di sensibilità. Si è soliti infatti pensare al militante ecologista
come a una persona di animo molto delicato, innamorato della natura,
dolce e romantico. Sicuramente molti degli iscritti alle associazioni
ecologiste corrispondono a tali caratteristiche; non è difficile
scoprire, però, che dietro a questa innocua patina di mitezza,
l’ideologia nasconde
un’anima violentemente luddista,
contraria alla società moderna, aggressiva fino a cercare di
distruggere le macchine e i prodotti più avanzati e, soprattutto,
carica di odio verso l’uomo sempre più rappresentato come un
“cancro del pianeta”.
Un noto psichiatra ha raccontato
recentemente di essere rimasto impressionato dalla vicenda di una
diciottenne piemontese che aveva ucciso il padre perché contrario ad
una sua relazione sentimentale 3.
Lo psichiatra, che di tanto in tanto le faceva visita in carcere, un
giorno trovò la ragazza infuriata perché una collaboratrice che
aveva accompagnato lo psichiatra indossava una pelliccia. La ragazza
spiegò loro quanti animali fossero stati utilizzati per realizzarla
e quanto tutto ciò fosse crudele: eppure lei aveva ammazzato suo
padre.
Questo squilibrio tra concezione della vita umana e
considerazione della vita animale non è patrimonio di pochi
individui ma è abbastanza diffuso e propagandato da molte
associazioni ambientaliste.
Taluni militanti animalisti, in
particolare, più che argomentare sull’amore e la cura dovuti agli
animali, esprimono un disprezzo e una intolleranza contro gli uomini
e le loro attività.
Espressioni di questa ideologia radicale
sono presenti ogni giorno in diverse parti del mondo. Negli Stati
Uniti esiste addirittura un movimento che si appella all’estinzione
degli uomini sulla Terra. Così come recentemente nella maggiore
organizzazione ambientalista del mondo, il Sierra Club, si è formato
un gruppo, sostenuto da im-
portanti fondazioni, che in nome
della difesa dell’ambiente ha richiesto misure legislative
fortemente restrittive nei confronti dell’immigrazione. A questa
proposta hanno aderito alcuni campioni dell’ambientalismo
internazionale come il direttore del World Watch Institute Lester
Brown, Paul Ehrlich autore del libro The
Population Bomb,
ambientalista tra i più premiati al mondo e Garrett Hardin,
professore emerito di Ecologia Umana all’Università di Santa
Barbara in California. Alcuni organi di stampa hanno descritto questo
fenomeno come l’esempio di un nuovo “razzismo verde”.
Scrivendo
questo libro ho voluto indagare su quelli che sono i frutti del
maltusianismo, una mala pianta che ha ancora tanta influenza sulle
istituzioni internazionali, soprattutto tra alcuni gruppi di
dirigenti delle Nazioni Unite, della Banca Mondiale, e del Fondo
Monetario Internazionale.
Il maltusianismo è un’ideologia
nata dai “poteri forti” e diffusa trasversalmente. È stata
presentata tanto sapientemente da mascherarsi sotto l’abbaglio di
un presunto conseguimento di diritti: diritti di libertà, salute e
progresso per le donne e diritti per la natura, mentre in realtà è
espressione del peggiore pensiero colonialista e neocolonialista.
Il
libro vuole smascherare nella sua vera forma l’ideologia
malthusiana e, seppure una parte del volume racconti gli aspetti più
controversi della storia del movimento ecologista, l’intenzione è
quella di fornire un contributo per un diverso approccio ai problemi
ambientali.
Un’ecologia che si fondi su una concezione più
ottimista dell’uomo e delle sue potenzialità. Un uomo che non è
maledizione, ma benedizione del pianeta. Un uomo che non è problema,
ma soluzione. Un uomo che non è impoverimento, ma ricchezza per il
mondo. Un uomo che, pur con tutte le sue imperfezioni è creato a
immagine e somiglianza di Dio e che dispone quindi di tutte le
potenzialità per rendere più bello e giusto il mondo dove viviamo.
Un uomo la cui prole suscita speranza e non disperazione, sia per
l’umanità che per l’intero creato.