Ambientalismo
07 febbraio 2023

LE ORIGINI DEL RAZZISMO EUGENETICO DI KLAUS SCHWAB DEL CLUB DI DAVOS AL QUALE SI ALLEA BERGOGLIO


Proponiamo la lettura dell’introduzione di questo saggio


DA MALTHUS AL RAZZISMO VERDE
LA VERA STORIA DEL MOVIMENTO PER IL CONTROLLO DELLE NASCITE


Il libro pubblicato da 21mo SECOLO fu scritto da Antonio Gaspari nel 1997 e riproposto in una seconda edizione nel 2011.


Oggi più che mai è attualissimo perché porta a galla le radici elitarie e razziste dei vari movimenti ecologisti dietro i quali si celano i sempre soliti noti. Coloro che pensano di essere i potenti della Terra.

Gli ambientalisti che facevano i campioni di pacifismo oggi si schierano apertamente per una guerra contro la Russia, come vogliono i loro padroni.

La nidiata occidentale degli Young Global Leaders sono tutti creature di Schwab. A partire da Trudeau in Canada, al primo ministro finlandese….

, la prima ministra neozelandese sono tutti caratterizzati dalla loro impronta ambientalista, ecologista, anti umana e maltusiana.

In Germania il ministro degli esteri Annalena Baerbock, una nullità sconosciuta fino a prima della formazione dell’ultimo governo tedesco, anche essa pupilla di Schwab, è il capo del partito verde teutonico.

I grunen che si sono caratterizzati perla loro politica “pacifista” nei decenni passati, oggi sono schierati apertamente a favore della guerra contro la Russia proprio sotto la direzione del ministro degli esteri tedesco.

Questo fa tornare a mente le stesse radici ambientaliste del partito nazista che all’inizio odiava la tecnologia e il suo utilizzo in agricoltura poi finì nel fare la guerra alla Russia perché così volevano i loro creatori.


È interessante rileggere il saggio proprio per la sua attualità, per la ricchezza dei dati riportati nel libro viene che adesso ristampato in una terza edizione arricchita e può essere ordinato direttamente al sito www.21mosecolo.it


INTRODUZIONE dell’autore.
Quando, più di dieci anni fa, cominciai ad occuparmi di “ambientalismo” rimasi impressionato da alcune contraddizioni profonde che caratterizzano ancora oggi l’intero arcipelago verde.
Notai con un certo stupore come tutti i membri delle associazioni ambientaliste, nonostante la grande diversità di filosofie, ideologie, fede religiosa, distinzioni politiche e di ceto sociale identificassero nella crescita della popolazione la causa scatenante della globalità dei problemi ambientali del pianeta. E soprattutto rimasi sorpreso constatando che le politiche di controllo delle nascite, brutali e segnate da violazioni palesi dei diritti umani, venissero giustificate in nome della difesa ambientale.
La tesi della crescita della popolazione come una bomba ad orologeria che sarebbe esplosa scatenando i peggiori disastri per il mondo e, soprattutto, la convinzione che per questo motivo l’uomo sia paragonabile a un cancro
che divora il pianeta, mi sembrava esagerata e molto lontana dalla realtà. Ma questa è la filosofia di fondo che, ancora oggi, la totalità delle potenti organizzazioni ambientaliste internazionali utilizza come cavallo di battaglia.

Non è un caso che le tesi “catastrofiste” in merito alla crescita della popolazione del pastore anglicano più noto come economista Thomas Robert Malthus, insieme alle teorie evoluzioniste di Charles Darwin, vengano poste
all’origine dell’ambientalismo classico.
Per anni l’ecologia fu studiata solo da piccole élite della nobiltà terriera e da piccoli gruppi di intellettuali legati a questa élite. Poi si diffuse tra vasti strati della popolazione con la pubblicazione nel 1972 del primo rapporto
su
I limiti dello Sviluppo realizzato dal Club di Roma. Nei suoi Rapporti il Club di Roma ha indicato quattro pericoli mortali che incombono sull’umanità: l’esplosione demografica, la mancanza di cibo, la scarsità di risorse e la crisi
energetica. Per far loro fronte propose la crescita zero per la popolazione e consumi ridotti, prospettando, in un certo senso, un mondo in cui solo pochi privilegiati potessero godere di una certa qualità della vita.
Nonostante la provenienza chiaramente “capitalistica” di Aurelio Peccei e dei suoi sostenitori, la sinistra sposò le tesi del Club di Roma, così che oggi il movimento verde anche nella sua componente radical-socialista sostiene le teorie di Malthus.
Mi era chiaro già allora, e ancor più oggi, come Thomas Robert Malthus e i suoi seguaci avessero sbagliato tutto, come le loro profezie fossero solo fantasmi agitati per coprire politiche economiche colonialiste e soprattutto
come la loro concezione dell’uomo e dei rapporti sociali fosse così disumana da confondersi con quella che regola il mondo animale.
Per questo motivo non mi sono stupito più di tanto quando, proseguendo nella ricerca delle basi filosofiche e della storia del movimento ambientalista, ho scoperto gli stretti legami che da sempre alcuni fondatori e dirigenti degli ecologisti hanno con le teorie del darvinismo sociale e con l’intolleranza che si spinge fino a forme di vero razzismo contro una parte del genere umano.
Basta analizzare la figura di colui che viene spesso definito l’iniziatore dell’ecologia, Ernst Haeckel, per constatare come darvinismo sociale, razzismo e selezione delle nascite siano parte costitutiva dell’ambientalismo.
Lo zoologo darvinista Ernst Haeckel (1834-1919) incontrò l’approvazione entusiastica della sinistra social-comunista, che vide in lui un campione della libertà, dell’anticlericalismo e soprattutto delle soluzioni collettiviste ai problemi sociali. Pochi si accorsero delle implicazioni razziste del suo pensiero: ben prima di Hitler, Haeckel indicò nelle «razze centrali» il «più alto grado di sviluppo e perfezione». Secondo lo zoologo tedesco la razza «indogermanica» era superiore ai popoli «amosemitici» e grazie al suo «cervello più sviluppato era destinata a trionfare sulle altre razze e nella lotta per la sopravvivenza» e a «stendere le reti del suo dominio su tutto il mondo».
Come sostenitore delle teorie evoluzioniste Haeckel affermò che per raggiungere tale egemonia occorrevano misure di selezione artificiale. Il modello era soprattutto quello dell’antica Sparta, dove i neonati venivano sottoposti a rigorosi esami fisici e a un processo selettivo. Di qui la proposta, che Haeckel avanzò nel 1904, di sopprimere ammalati e invalidi.
Un elemento che è stato trascurato dalla storiografia contemporanea è il legame tra la nascita del movimento eugenetico e l’ideologia conservazionista o, più esattamente, ambientalista. Non è difficile scoprire, infatti, che
una delle correnti dell’eugenetica e dell’antisemitismo classico, così come del razzismo che prese a dilagare alla fine dell’ottocento, è l’ideologia conservazionista.
Basta scorrere la storia e studiare il pensiero di personaggi come il presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt, come il fondatore del movimento eugenetico statunitense Charles Benedict Davenport, come l’avvocato (molto apprezzato da Hitler) Madison Grant e come il presidente del Museo Americano di Storia Naturale, Henry Fairfield Osborn, per scoprire come la difesa e la selezione del ceppo teutonico della razza anglosassone e la sterilizzazione delle razze inferiori andasse di pari passo con la politica di creazione di parchi naturali, della difesa degli animali e degli alberi di una natura selvaggia.
Charles Benedict Davenport è considerato a ragione il fondatore e principale sostenitore del movimento eugenetico statunitense. Razzista e antisemita, Davenport è noto per essere stato anche uno dei padri fondatori del movimento ambientalista. Anche l’Enciclopedia del Novecento della Treccani lo descrive come «uno dei fondatori dell’ecologia tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo».
Lo stesso si può dire di Madison Grant, un avvocato di New York, che si definiva un guardaboschi, un esploratore, un conservazionista. In effetti, fu tra i fondatori della
New York Zoological Society e ricoprì la carica di presi-
dente dello zoo di New York per 12 anni. Fu anche membro del consiglio di amministrazione di molte associazioni conservazioniste tra cui la Lega della Foresta Rossa di San Francisco.
In maniera del tutto coerente con la sua concezione malthusiana e darvinista dell’evoluzione umana, Grant fu uno dei personaggi più influenti nella creazione del movimento razzista statunitense. Grant odiava tutti gli immigrati, con particolare accanimento verso gli ebrei e i cattolici. Il suo libro
The Passing of the Great Race, una sorta di manifesto degli ariani contro le altre razze, fu tra i pochi che Hitler disse di aver letto.
Nel 1887, Grant e altri soci del circolo di Osborn fondarono il Boone and Crockett Club (B&C), ricordato come la prima associazione conservazionista degli Stati Uniti.
Esso godeva del sostegno delle potenti famiglie che rappresentavano l’élite WASP (White Anglo-Saxon Protestant) di New York e cioè i Morgan, i Frick, i Dodge, i Vanderbilt, i Rockefeller e gli Harrimann. Obiettivo del potente Club era quello di sostenere i movimenti eugenetici per la restrizione dell’immigrazione e promuovere la conservazione della flora e della fauna selvatica. A questo scopo il Club decise di incoraggiare tutte le attività del Museo Americano di Storia Naturale, del giardino zoologico di New York (Bronx Zoo) e della Lega della Foresta Rossa di San Francisco.
Presidente del Club fu Theodore Roosevelt, il quale, divenuto in seguito presidente degli Stati Uniti (1901-1908), si dimostrò un campione di imperialismo, razzismo e conservazionismo.
Roosevelt, che lanciò l’allarme per impedire «il suicidio della razza bianca» provocato dalla «degenerazione» causata dagli immigrati, è ricordato dagli ambientalisti come il primo presidente che abbia avviato la realizzazione dei Parchi Nazionali. Così, mentre disprezzava gran parte dell’umanità (neri, ebrei, cattolici, slavi, italiani, irlandesi, e i poveri in genere) perché di «sangue degenerato», Roosevelt difendeva la natura selvaggia.
Le più grandi associazioni ambientaliste statunitensi dipendono ancora oggi, per una parte importante dei loro finanziamenti dagli stessi circoli che fondarono il Boone and Crockett Club.
Seppure Malthus e i suoi seguaci avessero fatto parte dell’élite di quei proprietari terrieri che oggi definiremmo reazionari, sarebbe un errore non rilevare che l’ideologia ambientalista con queste sue caratteristiche di darvinismo sociale e intolleranza è stata accolta positivamente anche
dalla sinistra socialista. Haeckel era un socialista ed ebbe grande influenza nel movimento operaio tedesco, ed erano socialisti Sidney e Beatrice Webb, fondatori della Società Fabiana e fautori della selezione eugenetica delle nascite, così come socialista e favorevole all’eugenetica era anche George Bernard Shaw.
Ai giorni nostri tra i principali esponenti di questa corrente di pensiero possiamo citare il fondatore del movimento di liberazione degli animali, il professor Peter Singer. Il filosofo australiano, sostenitore dell’infanticidio
dei bambini malati o disabili, è stato accusato in alcune nazioni di portare avanti una concezione etica molto simile a quella dei nazisti. Nonostante ciò egli ha proposto a Tony Blair, a Massimo D’Alema e agli altri leader socialisti
europei di sposare una nuova concezione di “darvinismo sociale”, più egualitario, però, perché privo di distinzioni tra uomini e animali. Una sorta di “socialismo darviniano” in cui le politiche di selezione delle nascite siano in
accordo con quelle della difesa della natura.
Su questa linea di pensiero è anche il tedesco Peter Sloterdijk. Già ideologo delle frange più estremiste della contestazione giovanile, Sloterdijk è considerato uno dei più noti intellettuali della sinistra. Docente di Estetica
all’Università Humboldt di Monaco, Sloterdijk ha riproposto la selezione delle nascite, che porterebbe a una razza di superuomini più adatta a governare il genere umano. Per questa ragione Sloterdijk è stato definito come «un
comunista che non sapeva di essere nazista».
Il razzismo è un sentimento, un modo di pensare e di essere che va al di là delle idee politiche e parte essenzialmente da una bassa concezione dell’essere umano mista spesso alla paura dell’altro. “Altro” inteso in senso molto ampio. Definire le razze attraverso le caratteristiche craniometriche, il quoziente di intelligenza, il colore della pelle, le differenze somatiche, ma anche l’appartenenza ad un ceto sociale, le differenze politiche, culturali e religiose, è solo funzionale alla razionalizzazione di questa intolleranza, alla giustificazione dell’odio nei confronti degli altri esseri umani, alla legittimazione dei privilegi che un gruppo di persone detiene.
Questo non significa che il razzismo sia una malattia che colpisce solo le classi agiate: troviamo forme di razzismo profondo anche negli ideatori e sostenitori dell’ideologia marxista leninista. Lì il “razzismo” invece che tra
razze diventa tra classi: proletari contro intellettuali, borghesi e capitalisti.
L’ideologia di intolleranza e di razzismo dominante negli ultimi duecento anni di storia è il maltusianismo, ripreso oggi dalle teorie neomalthusiane. Sostenere infatti che la crescita demografica è il principale dei problemi
dell’umanità è il primo passo di un percorso che porta alla selezione di chi potrà riprodursi e chi no. Per Malthus il problema fu subito chiaro: la classe ricca e agiata doveva riprodursi, mentre ai poveri bisognava negare ogni aiuto, anche quello della carità. Malthus arrivò a raccomandare
ogni tipo di azione che favorisse la riduzione e l’eliminazione dei poveri. Per Malthus ogni proposta che andasse nella direzione del miglioramento delle condizioni delle classi più disagiate era non solo immorale, ma anche contraria alle leggi di Dio e della natura.
Seppure sia ormai chiaro come il “capitale umano” e il contributo delle giovani generazioni arrivate con l’emigrazione abbiano permesso a molte società prive di materie prime di diventare ricche, l’idea che bisogna impedire ai poveri di riprodursi è ancora molto diffusa.
Questo mostra come il razzismo possa essere anche un fenomeno incredibilmente sfuggente, nel senso che può essere patrimonio di ideologie diverse le quali, in nome di un presunto progresso e miglioramento dell’umanità, dividono gli uomini in base a criteri ideologici in categorie sociali che poi contrappongono tra loro. La diversità del genere umano, che è una ricchezza, diventa così elemento di scontro e contrapposizione.
Oggi, per esempio, ci troviamo di fronte a una forte forma di intolleranza di tipo ambientalista, un fenomeno che pochi percepiscono a causa della confusione di valori e della mistificazione con cui vengono presentate certe campagne; accade infatti che in nome della difesa della natura si organizzino campagne che vanno a ledere la libertà e la dignità degli individui.
In nome della difesa della natura abbiamo visto le diverse sigle dell’ambientalismo organizzare manifestazioni contro intere categorie di persone. Così gli agricoltori sono stati accusati di essere “avvelenatori”, gli allevatori di animali “kapò” che dirigono lager, i medici impegnati nella ricerca medica insultati e minacciati come “torturatori di animali”, i commercianti di pellicce sono diventati oggetto di lanci di vernice rossa, sono stati definiti “assassini” e le vetrine dei loro negozi spaccate. A ciò si aggiungono tralicci elettrici sabotati, cantieri ferroviari devastati, navi assaltate, allevamenti di animali da pelliccia rovinati, laboratori di ricerca medica distrutti.
In questo contesto l’“ecosabotaggio” è diventato un passatempo di moda per i “radical-chic”, l’appartenenza a gruppi di abbordaggio delle navi per conto di Greenpeace un’esperienza esaltante da raccontare ai giornali e nei salotti, la pubblicazione del Manuale dell’ecosabotaggio un utile strumento operativo.
L’intolleranza ambientalista non risparmia neanche le abitudini alimentari. Per molte associazioni ambientaliste se mangi carne sei un “sanguinario”, se bevi latte contribuisci a far soffrire le mucche e i vitellini, se mangi l’agnello sei “crudele”.

L’aspetto più allarmante di questo fenomeno è la maniera indulgente con cui una parte dell’opinione pubblica ha finora guardato a queste manifestazioni, che pure presuppongono violenza, prevaricazione, pregiudizi e intolleranza.
L’atteggiamento totalitario insito nell’ideologia ambientalista emerge prepotentemente anche nel metodo di lavoro. Molte campagne ecologiste, infatti, non mirano a risolvere i problemi ambientali diffondendo maggiore conoscenza o proponendo soluzioni innovative, bensì si concentrano nell’identificazione del nemico: l’inquinatore,
spesso riconoscibile in una categoria specifica di persone: allevatori, agricoltori, cacciatori, ricercatori, industriali, scienziati, ecc. A ciò segue la condanna senza processo e senza diritto alla difesa.
Un metodo fondato sull’intolleranza verso chi la pensa diversamente, atteggiamento che in passato fu all’origine di pratiche che fociarono nell’attività delle squadracce naziste e dei gruppi di giovani comunisti impiegati durante la rivoluzione culturale cinese.
In questo la metodologia di intolleranza ambientalista è assolutamente simile a quella dei gruppi razzisti, i quali, identificato il nemico, lo inseriscono in una categoria che può essere di tipo sociale, di provenienza geografica, etnica o religiosa, per poi condurre campagne tendenti a demolirlo fino a cancellarlo.
Un altro aspetto paradossale riguarda il concetto di sensibilità. Si è soliti infatti pensare al militante ecologista come a una persona di animo molto delicato, innamorato della natura, dolce e romantico. Sicuramente molti degli iscritti alle associazioni ecologiste corrispondono a tali caratteristiche; non è difficile scoprire, però, che dietro a questa innocua patina di mitezza, l’ideologia nasconde
un’anima violentemente luddista, contraria alla società moderna, aggressiva fino a cercare di distruggere le macchine e i prodotti più avanzati e, soprattutto, carica di odio verso l’uomo sempre più rappresentato come un “cancro del pianeta”.
Un noto psichiatra ha raccontato recentemente di essere rimasto impressionato dalla vicenda di una diciottenne piemontese che aveva ucciso il padre perché contrario ad una sua relazione sentimentale
3. Lo psichiatra, che di tanto in tanto le faceva visita in carcere, un giorno trovò la ragazza infuriata perché una collaboratrice che aveva accompagnato lo psichiatra indossava una pelliccia. La ragazza spiegò loro quanti animali fossero stati utilizzati per realizzarla e quanto tutto ciò fosse crudele: eppure lei aveva ammazzato suo padre.
Questo squilibrio tra concezione della vita umana e considerazione della vita animale non è patrimonio di pochi individui ma è abbastanza diffuso e propagandato da molte associazioni ambientaliste.
Taluni militanti animalisti, in particolare, più che argomentare sull’amore e la cura dovuti agli animali, esprimono un disprezzo e una intolleranza contro gli uomini e le loro attività.
Espressioni di questa ideologia radicale sono presenti ogni giorno in diverse parti del mondo. Negli Stati Uniti esiste addirittura un movimento che si appella all’estinzione degli uomini sulla Terra. Così come recentemente nella maggiore organizzazione ambientalista del mondo, il Sierra Club, si è formato un gruppo, sostenuto da im-
portanti fondazioni, che in nome della difesa dell’ambiente ha richiesto misure legislative fortemente restrittive nei confronti dell’immigrazione. A questa proposta hanno aderito alcuni campioni dell’ambientalismo internazionale come il direttore del World Watch Institute Lester Brown, Paul Ehrlich autore del libro
The Population Bomb, ambientalista tra i più premiati al mondo e Garrett Hardin, professore emerito di Ecologia Umana all’Università di Santa Barbara in California. Alcuni organi di stampa hanno descritto questo fenomeno come l’esempio di un nuovo “razzismo verde”.
Scrivendo questo libro ho voluto indagare su quelli che sono i frutti del maltusianismo, una mala pianta che ha ancora tanta influenza sulle istituzioni internazionali, soprattutto tra alcuni gruppi di dirigenti delle Nazioni Unite, della Banca Mondiale, e del Fondo Monetario Internazionale.
Il maltusianismo è un’ideologia nata dai “poteri forti” e diffusa trasversalmente. È stata presentata tanto sapientemente da mascherarsi sotto l’abbaglio di un presunto conseguimento di diritti: diritti di libertà, salute e progresso per le donne e diritti per la natura, mentre in realtà è espressione del peggiore pensiero colonialista e neocolonialista.
Il libro vuole smascherare nella sua vera forma l’ideologia malthusiana e, seppure una parte del volume racconti gli aspetti più controversi della storia del movimento ecologista, l’intenzione è quella di fornire un contributo per un diverso approccio ai problemi ambientali.
Un’ecologia che si fondi su una concezione più ottimista dell’uomo e delle sue potenzialità. Un uomo che non è maledizione, ma benedizione del pianeta. Un uomo che non è problema, ma soluzione. Un uomo che non è impoverimento, ma ricchezza per il mondo. Un uomo che, pur con tutte le sue imperfezioni è creato a immagine e somiglianza di Dio e che dispone quindi di tutte le potenzialità per rendere più bello e giusto il mondo dove viviamo. Un uomo la cui prole suscita speranza e non disperazione, sia per l’umanità che per l’intero creato.








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