Ambientalismo
03 febbraio 2023 La follia dell'isteria climatica ci porterà dritti alla crisi e minerà le nostre libertà INTERVISTA A HANS LABOHM Economista, classe 1941, Hans Labohm s’è formato all’università di Amsterdam, è stato Vice Rappresentante Permanente dei Paesi Bassi presso l'Ocse a Parigi, ed è da due lustri affiliato al Clingendael Institute, un centro di ricerca internazionale per gli affari diplomatici. Ha meticolosamente studiato il caso del climategate. Labohm, ci parla dello scandalo del climategate? «In risposta allo scandalo Climategate, nel 2009 fu fondato climategate.nl, che dirigo, un sito olandese ma con traduzione in un paio di lingue occidentali, tra cui l'italiano, che lo rende accessibile a un ampio pubblico internazionale. Nel dicembre 2009 la britannica Climate research unit (Cru) – una unità che svolge un ruolo cruciale nella ricerca internazionale sul clima e fornisce dati sulla temperatura all'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) – fu coinvolta in uno spiacevole scandalo: un team di importanti scienziati del clima aveva non solo occultato e manipolato dati, ma anche manovrava per impedire la pubblicazione dei lavori di quei loro colleghi le cui ricerche non evidenziavano che il riscaldamento globale attuale fosse senza precedenti. Un elemento importante dello scandalo era la critica al cosiddetto grafico “a mazza da hockey”». Cos'è questo grafico? «È un grafico che mostra le temperature globali dell’ultimo millennio, ottenute da una combinazione di dati provenienti, per gli ultimi decenni dai termometri, e, per il passato da vari indicatori (anelli degli alberi, analisi da carotaggi di ghiacci polari, etc.). Il grafico mostra un improvviso e allarmante aumento della temperatura nel XX secolo, dopo una temperatura relativamente costante negli ultimi 1.000 anni». E dove fu lo scandalo? «Gli studi dagli anelli degli alberi indicavano, per il periodo odierno, temperature in declino, ove invece i termometri registravano aumenti. La circostanza metteva in dubbio l’attendibilità di quegli studi per i secoli precedenti, quando indicavano valori di temperature che negavano il periodo caldo medievale, una negazione che rendeva il caldo attuale senza precedenti. Lo scandalo emerse dalla lettura dello scambio di email tra i protagonisti. Per esempio, il capo della Cru, il professor Phil Jones, suggeriva a Michael Mann, l'autore principale del grafico a mazza da hockey, d’inventarsi un "trucco" per nascondere il declino delle temperature. Il trucco fu di pubblicare i dati dagli anelli degli alberi sostituendo in essi, per gli ultimi decenni, quelli delle temperature. In un'altra e-mail Jones affermava che non gradiva rendere pubblici quei dati e che avrebbe piuttosto preferito cancellarli». Quindi lo spessore degli anelli degli alberi non è un buon indicatore climatico? «Di tutta evidenza, no. Dai documenti storici sappiamo che, rispetto a questo secolo, le temperature nel Medioevo erano più alte, e nel XVI e XVII secolo erano invece di alcuni gradi più basse. Insomma, abbiamo dati storici che dimostrano che il piccolo aumento della temperatura media globale osservato nell'ultimo secolo non è per niente insolito». Ci sono altre obiezioni contro l'ipotesi dell’origine antropica del riscaldamento globale? «Sì, l'ipotesi presenta gravi difetti ed è incoerente sia con la logica che con le misurazioni. Scriveva l'Ipcc in uno dei suoi primi Rapporti: “Nella ricerca e nella modellazione climatica, dovremmo riconoscere che abbiamo a che fare con un sistema caotico non lineare accoppiato, e quindi che la previsione a lungo termine dei futuri stati climatici non è possibile”. Ma in qualche modo questa verità fondamentale sembra essersi persa per strada. L'Ipcc ha invece prodotto molteplici scenari e proiezioni, i più estremi e allarmanti dei quali sono stati percepiti dai non esperti, dagli organi di comunicazione e, soprattutto, dai governanti, come "previsioni". Hanno spianato la strada al sostegno politico di misure politiche draconiane, che non avranno alcun impatto rilevabile sulle temperature mondiali, ma avranno un effetto disastroso sulla crescita economica e quindi sul benessere umano». Chiedo all’economista: com’è stato possibile questo sostegno politico ad una teoria sballata con conseguenze economiche disastrose? «Va innanzitutto detto che il sostegno è limitato principalmente al mondo occidentale. La Cina, l'India, la Russia e la maggior parte dei Paesi del Terzo Mondo, oltre i 4/5 del mondo, insomma, non è impegnato ad adottare misure di riduzione della CO2. Nel mondo occidentale ritengo che si sia trattato di una "cooperazione di forze", di una convergenza di agende di vari gruppi di attori: scienziati, politici, ambientalisti, le Chiese, i mezzi di comunicazione, gli imprenditori. Gli scienziati cercano la verità e anche vogliono ottenere onori, prestigio, premi, cattedre e denaro per le loro ricerche. Spesso lo fanno con integrità, ma a volte sono istigatori o vittime di eventi inaspettati. Inoltre, i finanziamenti per la ricerca sul clima provengono quasi interamente da governi che vogliono risultati che sostengano le politiche climatiche. Gli scienziati che si schierano contro il realismo climatico spesso non riescono a ottenere finanziamenti. E devono temere per la loro carriera se fanno pubblicamente dichiarazioni che non rientrano nella "linea del partito".
Quanto ai politici: perché le persone entrano in politica? I motivi possono essere diversi. Uno dei più nobili è il desiderio di contribuire al miglioramento della società, ma questo può degenerare in quello che Churchill definiva "complesso del Messia". Nel nostro caso, salvare il pianeta. Sospetto che il nostro papa europeo del clima, Frans Timmermans, ne sia ora vittima. Gli ambientalisti, invece, per esistere, sopravvivere, e prosperare economicamente devono foraggiare tutti i tipi di pericoli percepiti che minaccerebbero l'umanità e la natura. Per le Chiese, c’è da dire che la secolarizzazione nel mondo occidentale ha portato a un vuoto religioso, e Madre Natura (Gaia) sta riempiendo questo vuoto. Persino il Papa collabora in questo. Il clima si è evoluto in un surrogato di religione. Poi ci sono i media. Amano le storie apocalittiche sensazionali che fanno aumentare gli ascolti. Inoltre, alcuni giornalisti si sentono responsabili di influenzare la società in una direzione politicamente corretta. E in questo momento niente è più politicamente corretto del riscaldamento globale antropico. Infine, c’è l’imprenditoria. In generale, essa si oppone a un aumento degli interventi governativi sulle politiche climatiche. Queste fanno aumentare i costi e diminuire la redditività. Ma i principali attori tra le grandi imprese, ad esempio nel campo delle cosiddette energie rinnovabili, hanno scoperto come trarre profitto dalla narrazione ufficiale sul clima e sono riusciti a prevalere». Cosa ci riserverà il futuro? «Un detto popolare tra gli economisti è: "Mai fare profezie, soprattutto sul futuro". Ma i profeti di sventura non possono resistere a questa tentazione. Prendiamo ad esempio il giovane oracolo svedese, Greta Thunberg, e il suo grido: "Voglio che vi facciate prendere dal panico". Oppure Al Gore con il suo recente sfogo alla riunione di Davos del World Economic Forum: "Stiamo ancora immettendo 162 milioni di tonnellate al giorno di gas serra in atmosfera, e la quantità accumulata sta ora intrappolando tanto calore quanto ne verrebbe rilasciato da 600.000 bombe atomiche che esplodono ogni singolo giorno sulla terra". Eppure non c'è stato alcun riscaldamento serio dal 1998». Cosa ci dice delle ripercussioni economiche delle politiche climatiche? «Recentemente l'economista Eric Heymann della Deutsche Bank ha criticato aspramente il "dibattito sbilanciato" con cui Frans Timmermans impone ai cittadini europei il suo Green deal, la politica da un miliardo di dollari contro il presunto cambiamento climatico. Heymann denuncia i piani politici della Ue che definiscono il Green deal "una nuova strategia di crescita” e promettono una "società equa e prospera". Ma in realtà sarà necessario rivedere l'intera economia europea, oltre al sistema politico e giuridico, per adattarli allo stampo del socialismo climatico. E questo, lamenta Heymann funzionerà solo con "una sorta di eco-dittatura", e mette in guardia da una "resistenza politica di massa" non appena la gente si renderà conto della realtà. Invece di proporre un'utopica visione "verde", come sta facendo la Ue, bisognerebbe ammettere che il Green deal porta dritto a una mega-crisi con grande perdita di ricchezza e posti di lavoro, aumenti dei prezzi dell'energia, restrizioni draconiane alla libertà personale e il rigoroso indebolimento della proprietà privata. L'impoverimento è quindi inevitabile». In conclusione? «In conclusione, l’obiettivo emissioni-zero è tecnicamente non fattibile ed economicamente disastroso. Pertanto, fallirà». Franco Battaglia Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano LA VERITÀ il giorno 3 febbraio 2023 ... |