Dies
iræ, dies illa, dies tribulationis et angustiæ,
dies
calamitatis et miseriæ, dies tenebrarum et caliginis,
dies
nebulæ et turbinis, dies tubæ et clangoris
super
civitates munitas et super angulos excelsos.
Sof
1, 15-16
Amaro
è il giorno del Signore! Anche un prode lo grida. Giorno d’ira
quel giorno, giorno di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e
di sterminio, giorno di tenebra e di oscurità, e giorno di nube e di
caligine, giorno di suono di corno e di grido di guerra sulle città
fortificate e sulle torri elevate.
Così il Profeta Sofonia.
Absolve
Domine. Perdona, o Signore. Cantiamo queste parole nel tratto
della Messa dei defunti, siano essi Papi o semplici chierici, ricchi
o poveri, sapienti o semplici. Et gratia tua illis succurente,
mereantur evadere judicium ultionis, et lucis æternæ beatitudine
perfrui. Possano superare il giudizio finale con l’aiuto della
tua grazia, e godere della beatitudine della luce eterna.
Rivolgiamo
alla Maestà divina questa medesima preghiera, mentre celebriamo la
Santa Messa di suffragio per l’anima di Joseph Ratzinger, Pontefice
Romano fino al 28 febbraio 2013. E come chiede la pietà verso i
defunti, la affidiamo alla misericordia di Dio, che tutto conosce e
che scruta nel segreto dei cuori. Di quanto egli fece e disse durante
la sua lunga vita, ed in particolare dopo essere asceso al Soglio di
Pietro, vogliamo ricordare quel gesto provvidenziale di verità e
giustizia con il quale egli riconobbe piena legittimità alla
Liturgia apostolica, promulgando il Motu Proprio Summorum
Pontificum. Il bene che la liberalizzazione dell’antico rito ha
fatto alla Chiesa peserà sulla bilancia delle anime che vediamo in
molte raffigurazioni dell’Arcangelo San Michele. Grazie ad essa una
moltitudine di fedeli e di sacerdoti – tra i quali possiamo
annoverare anche noi stessi – ha potuto conoscere il tesoro
inestimabile di dottrina e di spiritualità che scelte sciagurate
avevano reso inaccessibile per cinquant’anni; grazie ad essa un
fiume in piena di Grazie, che nessuno potrà arrestare, si è
riversato – e si riversa ancor oggi – sulla Chiesa e sul mondo.
Nel
contemplare le macerie che sopravvivono alla devastazione conciliare,
non oso pensare quale potrebbe essere la situazione della Chiesa,
senza la Messa di San Pio V. Eppure, nello stesso Motu Proprio
Summorum Pontificum, non si può non notare l’impianto
precario adottato dall’esimio teologo Ratzinger: la tesi
dell’ortodossia cattolica (e della Messa tradizionale),
l’antitesi dell’eresia modernista (e della Messa
montiniana) e la sintesi del Vaticano II (e della compresenza
di due forme dello stesso rito). I delicta juventutis non
furono purtroppo mai formalmente sconfessati, anche se gli orrori di
questi ultimi dieci anni li hanno quasi messi in ombra.
Non
possiamo che pregare con fervore perché in un futuro prossimo possa
compiersi quella restitutio integrale dell’antico rito che ponga
fine a decenni di abusi, di manipolazioni, di adulterazioni e di
persecuzioni resesi più feroci in epoca bergogliana.
Si
iniquitates observaveris Domine, Domine, quis sustinebit? Chi può
reggere al giudizio di Dio, se solo consideriamo le nostre colpe?
Nessuno. Eppure la Misericordia di Dio, che ci è Padre e che ci ama
fino a dare il proprio Figlio Unigenito per la nostra salvezza, si
degna di guardare al bene compiuto con maggior attenzione di quella
che pone alle nostre mancanze. È come se, nel saperci deboli e
peccabili, Egli cercasse tutti i modi per strapparci alla dannazione
eterna, dandoci mille opportunità per riscattarci. Questo vale per
l’ultimo dei fedeli e per colui che siede sul più alto Trono. La
considerazione del nostro peccato non ci deve indurre a considerarci
destinati a cedere, ed esenti da punizione, ma spronarci a riporre
ogni nostra fiducia in Colui che ci dà forza (Fil 4, 13). E ciò è
vero anche per chi la Provvidenza ha scelto a governare la Chiesa.
Animato
da questa fiducia, Papa Benedetto XVI cercò in qualche modo di
riparare quel terribile vulnus che un suo Predecessore aveva causato
al corpo ecclesiale; una ferita che andava guarendo, ma che le
manovre del Nemico e dei suoi accoliti cercano di tenere aperta,
vanificando Summorum Pontificum anche dinanzi agli innegabili beni
spirituali che esso comporta alle anime; anzi, proprio a causa di
queste Grazie infinite, perché esse rappresentano la più cocente
sconfitta dello spirito secolarizzato e mondano dell’ideologia
conciliare.
E
se il rito riformato ha cancellato dalla Messa da Requiem il Dies
iræ e imposto gli Alleluja, noi nella Messa antica
troviamo le ragioni di speranza e di composto suffragio per l’anima
di un uomo che il Signore ha voluto come Suo Vicario. In questo rito
sentiamo la voce della Sposa che implora misericordia, perdono,
indulgenza, assoluzione, remissione; la voce della Sposa che nel
riconoscere i peccati dei suoi figli li presenta al cospetto
dell’Eterno Padre, che il divin Figlio riscatta con il proprio
Sacrificio. Possa dunque l’anima di Papa Benedetto trovare il luogo
di refrigerio, di luce e di pace che per lui invochiamo nel Memento
del Canone.
Nella
gloria beata del Cielo, o nelle fiamme purificatrici del Purgatorio,
Papa Benedetto XVI potrà pregare per noi e per la Chiesa tutta,
conoscendo finalmente facie ad faciem quella divina Verità
che l’esilio terreno disvela solo oscuramente. Le sue preghiere si
uniscono alle nostre e a quelle delle anime sante e della Corte
celeste, per implorare alla Maestà divina la fine delle tribolazioni
presenti, ed in particolare la sconfitta e la cacciata della setta di
eretici e corrotti che affligge ed eclissa la Santa Chiesa di Dio.
E
così sia.
Carlo
Maria Viganò
5
gennaio MMXXIII
Vigilia
dell’Epifania del Signore