Cattolicesimo
28 settembre 2022 LE DIVERSE TAPPE DELLA RIVOLUZIONE TEOLOGICA GIUDAICO/CRISTIANA I Parte Le Riforme “Conciliari” (1959-2019)
Introduzione: “Riforma continua” da Giovanni XXIII a papa Bergoglio Nel presente articolo cerco di porgere al lettore, in ordine cronologico, tutti (o quasi, talmente sono numerosi) i Documenti vaticani – immediatamente precedenti, contemporanei e posteriori al periodo conciliare (1962-65) – sul Giudeo/Cristianesimo, a partire dai primi “cambiamenti di opinione” (iniziati nell’immediato dopoguerra: 1945), ma espressi allora solo “privatamente” dai teologi modernisti e non ancora ufficialmente promulgati dall’ambiente vaticano infiltrato dai neomodernisti, (che hanno dovuto aspettare la morte di Pio XII per sovvertire la dottrina della Chiesa), sino agli ultimi Atti “ufficiali” e “ufficiosi” compiuti da Benedetto XVI e da Francesco (2019), sia come Pontefici (anche se non dogmaticamente o in maniera definitoria e obbligante) che come “dottori privati”. Mi soffermerò soprattutto sul Discorso di Giovanni Paolo II a Magonza, il 17 novembre del 1980, che – dopo la Dichiarazione conciliare Nostra aetate (28 ottobre 1965) – rappresenta una testa d’ariete nel processo di giudaizzazione dell’ambiente ecclesiale. Spero così di aiutare chi legge a raccapezzarsi meglio in tale dedalo di “Riforme continue”, che ha sovvertito e ribaltato completamente la bimillenaria dottrina cattolica sul Giudaismo talmudico. Prima tappa: la riflessione privata sulla shoah (1945) Il padre gesuita David Neuhaus (Civiltà Cattolica, 15 giugno 2019, “Ebrei ed Ebraismo nell’insegnamento cattolico. Una rivoluzione nell’interpretazione”) spiega che il cambiamento conciliare (1962-1965), il quale ha rivoluzionato la Teologia sui rapporti tra Cristianesimo e Giudaismo talmudico, era stato preceduto dalla riflessione sulla shoah, dopo la Seconda guerra mondiale (1945), quando (da parte cristiano/modernista) soprattutto Jacques Maritain ed Henry de Lubac “hanno cominciato a rendersi conto che l’insegnamento cattolico sugli Ebrei, formulato nel corso dei secoli, aveva dato frutti raccapriccianti” (David Neuhaus, cit., p. 419). Dunque, come insegna il Vangelo (Mt., VII, 17), la “pianta” (la Chiesa) dovrebbe anch’essa essere raccapricciante come i suoi “frutti”, ma come conciliare ciò con quanto insegna dogmaticamente e infallibilmente il Simbolo niceno/costantinopolitano: “Credo nella Chiesa, una, santa…”. La Chiesa o è “santa” o è “raccapricciante”, “tertium non datur”! Infatti Essa non può essere, per il principio evidente e per sé noto di identità e non contraddizione, nello stesso tempo e sotto lo stesso rapporto santa e raccapricciante, ossia (come insegna il Dizionario dei sinonimi e contrari, Milano, Garzanti, 1991, p. 579 e 648) “sacra, celeste, divina” e assieme “orripilante, spaventosa, ripugnante e repellente”.
È innegabile che all’origine della Rivoluzione teologica del Vaticano II ci sia la cosiddetta “religione olocaustica” o il “mito della shoah”, la quale – secondo i modernisti/giudaizzanti – sarebbe stata preparata e favorita dalla Teologia preconciliare (sull’intrinseca malvagità del Giudaismo postbiblico, infedele a Cristo e all’Antico Testamento, che Lo annunziava), la quale avrebbe armato la mano al III Reich, ignorando volutamente il fatto che Pio XI avesse condannato formalmente l’antisemitismo biologico/razziale nell’Enciclica Mit brenneder Sorge del 14 marzo 1937, quando il Reich germanico in Europa faceva paura a tutti.
È innegabile, dunque, che il problema della shoah è un problema non solo storico/politico (in base al quale è nato lo Stato d’Israele nel 1948, che ha potuto impadronirsi dell’80% della Palestina), economico (grazie al quale Israele ha ottenuto miliardi di dollari di risarcimento da mezzo mondo), ma soprattutto teologico (grazie al quale l’Israele anticristiano ha ottenuto la piena riabilitazione religiosa da parte di alcuni uomini di Chiesa falsi e traditori come Giuda Iscariota). Dunque non è esagerato affermare che non si può capire la Teologia modernistica e giudaizzante del Vaticano II se non si è capito il mito della shoah, che è il principio e fondamento del Concilio Vaticano II. In breve non si può studiare, comprendere e controbattere il Concilio Vaticano II senza studiare, comprendere e confutare il problema della shoah proprio perché lo sdilinquimento della “irriflessione” sentimentalistica “cristiano/modernista” sulla shoah sta alla base della Nuova Teologia antropocentrica, emozionaistica e giudaizzante del Vaticano II. Se non si conosce la causa di una malattia non la si può debellare e curare. Così se non si conosce il mito olocaustico architettato dalla giudeo/massoneria non si può confutare e curare il virus neo/modernistico del Vaticano II, infiltrato nell’ambiente ecclesiale da quella che l’Apostolo S. Giovanni chiama “la Sinagoga di Satana” (Apoc., II, 9; III, 9). Per questo motivo il “caso Williamson” (2009) è di una gravità estrema e mostra il tentativo della “contro-chiesa” di ripetere l’operazione fatta con successo durante il Concilio (1962-65)[1], per infiltrarsi anche nel “piccolo resto”, capeggiato da Monsignor Lefebvre (che non aveva accettato il neomodernismo giudaizzante) e tentare di distruggerlo dal di dentro come aveva fatto nel 1959-65 con l’ambiente ecclesiale, il quale dalla fine del Vaticano II è stato costantemente bombardato da una pressione psicologico/dottrinale” inaudita di “a-teologia giudaico/cristiana”, che vorrebbe spingere tutti i Cristiani (anche gli antimodernisti) a giudaizzare. Sembrerebbe che il grosso dell’ambiente antimodernista, il quale stava cedendo tra il 1984/1991 e il 2018, si sia ripreso con il 2019 e non intenda cedere alle lusinghe della “Sinagoga di Satana” (Apoc., II, 9; III, 9).
Seconda tappa: la riforma della Settimana Santa (1955) Per quanto riguarda l’omissione della genuflessione (che si faceva per tutte le preci del Venerdì Santo, ma si ometteva solo per i Giudei prima della riforma dei riti della Settimana Santa nel 1955, la quale ha introdotto la genuflessione anche per i Giudei, per motivi “umanitari” dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale), occorre sapere che il giorno della Passione di Gesù i Giudei genuflettevano davanti a Lui, burlandosi del Signore; perciò la Chiesa, inorridita per l’accaduto, non piegava le ginocchia mentre pregava per la loro conversione. Quindi, senza alcuna genuflessione, si recitava: “Preghiamo anche per i perfidi/infedeli Giudei…”.
Purtroppo qualcuno dette una falsa interpretazione della omessa genuflessione in séguito ad una nota di commento posta in un antico Sacramentario di San Vasto dell’Abbazia di Corbie (secolo IX)[2], che attribuiva l’omissione della genuflessione “per la colpa e per la rabbia del popolo / ob populi noxam ac pariter rabiem”, addossate e imputate erroneamente al popolo e al clero cristiano e non, come di dovere, al popolo giudaico accanitosi contro Gesù. Quindi nel 1955 si pensò, ingenuamente dopo la tragedia universale della Seconda Guerra Mondiale, di fare cosa buona cancellando l’omissione della genuflessione. In realtà questa genuflessione, omessa sino al 1955, veniva spiegata bene da Amalario Vescovo di Metz (770-850)[3], che scriveva: “I Giudei piegavano il ginocchio davanti a Gesù burlandosi di Lui; allora noi Cristiani, per dimostrare che occorre fuggire le azioni fatte per finzione e per burla, evitiamo di genufletterci nella preghiera per gli Ebrei” (Amalario, Liber Officialis, seu De Ecclesiasticis Officiis, lib. I, cap. 13, n. 17). Anche il famoso liturgista Bernone Abate di Reichenau († 1048)[4] scrive che “nel Venerdì Santo noi Cristiani non pieghiamo le ginocchia per i Giudei increduli, i quali le piegavano davanti a Gesù, ma per burla; affinché non sembri che noi imitiamo quelli che cercavano di compiere malamente un’opera buona” (Bernone, De officium Missae, cap. 7). Con Bernone la tinta teologicamente ostile al Giudaismo incredulo si fa più intensa. Nel “Pontificale Romano” del secolo XII si insiste più sul ribrezzo ispirato dal gesto dei Giudei davanti a Gesù coronato di spine, che non al rischio di sembrare di imitarli. Col XIII secolo la spiegazione dell’omissione della genuflessione nella “Oratio pro Judaeis” diventa ancora più dottrinalmente ostile, non si dimentichi che l’Ebreo convertito a Cristo, Donìn, proprio in quel tempo aveva spiegato al Papa il significato di alcune espressioni criptiche contenute nel Talmud, le quali contenevano orribili bestemmie contro Gesù, la Madonna e San Giuseppe ed incitavano all’odio verso il Cristianesimo e i Cristiani. Inoltre secondo gli storici della Liturgia l’omissione della genuflessione risaliva, comunemente, a molto prima del IX/X secolo, come insegna anche il grande storico Erik Peterson (Perfidia Judaica, in “Ephemerides liturgicae”, n. 10, 1936, pp. 296-311). Quarta tappa: un’Orazione privata di Giovanni XXIII (1958-1963) Esiste un’orazione scritta da Giovanni XXIII, pubblicata dal “Comitato Ebraico Americano” (nell’anno 1965) e citata in un articolo su la “Civiltà Cattolica” di p. Giovanni Caprile (anno 1983), che è poco conosciuta: «In una preghiera molto popolare, pubblicata dopo la morte di Giovanni XXIII (1963) e attribuita a lui, è scritto: “Noi [Cattolici, ndr] siamo oggi coscienti che nel corso di molti secoli i nostri occhi erano così ciechi che non eravamo più capaci di vedere la bellezza del tuo popolo eletto [Israele deicida, ndr], né di riconoscere nel tuo Volto [di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, ndr] i tratti dei nostri fratelli privilegiati [sebbene infedeli alla Seconda Persona della SS. Trinità, Gesù Cristo, ndr]. Noi [Cattolici, ndr] comprendiamo che il segno di Caino è scritto sulla nostra fronte [invece sino a Giovanni XXIII Caino era il tipo o la figura del Giudaismo deicida, mentre Abele lo era di Cristo crocifisso e della Sua Chiesa, ndr]. […]. Perdonaci, o Signore, per la maledizione che abbiamo attribuito ingiustamente al loro nome di Ebrei. Perdonaci per averti una seconda volta crocifisso in essi [il popolo ebraico è equiparato al Messia/Dio crocifisso per la Redenzione dell’umanità, ndr] nella loro carne, perché non sapevamo quello che facevamo [qui i Cristiani addirittura prendono il posto assegnato ai Giudei da Gesù, che prega il Padre per loro mentre sta morendo sulla Croce confittovi da essi, ndr]”[5]».
Quinta tappa: Giovanni XXIII, la Preghiera “Pro Perfidis Judaeis” del Venerdì Santo (1959) Tramite la S. Congregazione dei Riti Giovanni XXIII fece mutare l’Orazione “Per la conversione dei Giudei”. Infatti sino a Pio XII (1939-1958) l’Orazione del Venerdì Santo “Per la conversione dei Giudei” suonava così: “Preghiamo anche per i [perfidi / infedeli, increduli, tolto da Giovanni XXIII, ndr] Giudei, affinché il Signore tolga il velo dai loro cuori ed anch’essi riconoscano Gesù Cristo, Signore nostro. […]. Dio onnipotente, […] esaudisci le preghiere che Ti rivolgiamo per questo popolo accecato, affinché riconoscendo la luce della tua verità, che è Cristo, siano strappati alle loro tenebre. Per lo stesso nostro Signore Gesù Cristo”.
Quindi i Giudei che non hanno accolto e continuano e non accogliere Gesù come Messia e Redentore dell’uomo, per papa Roncalli, non sono “infedeli/increduli”, ossia non credenti nel vero Messia. Infatti “perfidi” viene dal latino “per / fidem”, che significa “fede falsa e deviata”.
La decisone presa da Giovanni XXIII nel 1959, perciò, non solo ha cancellato una tradizione liturgica antichissima nella Chiesa, ma ha introdotto una novità contraria alla divina Rivelazione.
Sesta tappa: “Nostra aetate” (1965) Il 28 ottobre del 1965, poco prima della fine del Concilio Vaticano II (8 dicembre 1965), venne promulgata la Dichiarazione conciliare Nostra aetate (NA) sui rapporti tra Giudaismo postbiblico e Cristianesimo. A partire da essa vi è stata una vera “sovversione” della dottrina cattolica sul problema della religione giudaica/postcristiana.
Giovanni Paolo II (1978-2005) ha fatto di NA il “cavallo di battaglia” del suo lungo Pontificato e l’ha diffusa dappertutto. Egli – appena due anni dopo la sua elezione pontificia – ha dichiarato, alla luce di NA, che “l’Antica Alleanza non è stata mai revocata” (Discorso a Magonza, 17 novembre 1980). A partire da questo infausto Discorso non ha cessato di giudaizzare (lui stesso) e di rendere giudaizzante l’ambiente cristiano ed ecclesiale, sino al 2005. Mi soffermo, pertanto, un po’ più ampiamente sul Discorso di Magonza poiché è il “trampolino di lancio” di 27 anni del Giudeo/Cristianesimo wojtyliano.
Settima tappa: l’Orazione “Pro Judaeis” nel NOM di Paolo VI (1968) Il Novus Ordo Missae del 1968, nella Orazione “per gli Ebrei”, recita: “Preghiamo per gli Ebrei: il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua Parola, li aiuti a progredire sempre nell’amore del suo nome e nella fedeltà alla sua Alleanza. […]. Signore fa che il popolo primogenito della tua Alleanza possa giungere alla pienezza della Redenzione. Per Cristo nostro Signore”. Quindi il Giudaismo postbiblico, che non crede in Gesù permane, nonostante ciò, nell’amore di Dio (Padre, Figlio e Spirito Santo) ed è ancor oggi non solo fedele alla Vecchia Alleanza stretta con Dio, ma è addirittura il primogenito di Essa, in vista del Messia venturo, il quale invece essendo già venuto nella Persona del Verbo Incarnato non è stato accolto dalla maggior parte di Israele, che ha rinnegato così il Vecchio Testamento e lo ha sostituito con il Talmud. Ora è divinamente Rivelato che “senza la fede è impossibile piacere a Dio” (Ebr., XI, 6), ma, malgrado ciò, l’Israele postbiblico, pur non credendo nel Dio Uno e Trino Lo amerebbe egualmente e sarebbe amato da Lui, anche se non si riesce a capire come.
Ottava tappa: Documento “Orientamenti”, sotto Paolo VI (1974) La “Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo”, promulgò, sotto il Pontificato di Paolo VI, il Documento Orientamenti e Suggerimenti per l’Applicazione della Dichiarazione Conciliare “Nostra aetate” (n. 4), il 1° dicembre 1974. Esso arrivava già allora a rivalutare la “Tradizione ebraica postbiblica”, ossia il Talmud e la Cabala giudaica. Infatti il Documento recita: “L’Antico Testamento e la Tradizione ebraica su di esso fondata non debbono essere considerati in opposizione al Nuovo Testamento” (Orientamenti, III). Ora secondo la dottrina cattolica tradizionale è pacifico che non c’è opposizione tra Antico e Nuovo Testamento, mentre essa esiste tra il Vecchio e il Nuovo Testamento con la “Tradizione” ebraica postbiblica, ossia con la Cabala e il Talmud, che rappresentano la “tradizione” deviata (dogmatica e morale) del Giudaismo post-biblico[6], ferocemente contraria alla SS. Trinità e alla divinità di Gesù Cristo, annunziate nell’Antico Testamento e realizzate e professate esplicitamente nel Nuovo Testamento (cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I-II, qq. 98-148). Invece la Dichiarazione postconciliare “Orientamenti” del 1974, promulgata sotto il Pontificato di Paolo VI, ribalta l’insegnamento tradizionale e bimillenario della Chiesa (da Gesù, gli Apostoli e i Padri ecclesiastici sino a Pio XII). Infatti Orientamenti (III) continua e insegna che “la storia dell’Ebraismo non si è conclusa con la distruzione del Tempio di Gerusalemme, ma ha continuato a svolgersi sviluppando una Tradizione religiosa, la cui portata, pur assumendo un significato profondamente diverso dopo Cristo, resta tuttavia ricca di valori religiosi”. Insomma la Tradizione ebraica prima di Cristo, ossia il Vecchio Testamento, e quella dopo Cristo (il Talmud e la Cabala) pur essendo diverse profondamente, sarebbero egualmente ricche di valore religioso, anche se una è la negazione dell’altra. Infatti il Vecchio Testamento era tutto relativo a Cristo mentre il Talmud e la Cabala sono contro Cristo e perciò non sono religiosamente ricchi, bensì poveri, intrinsecamente perversi, blasfemi e anticristici. Nona tappa: Giovanni Paolo II, Magonza (1980) Il 17 novembre del 1980, Giovanni Paolo II, a Magonza (Mainz) in Germania, in un Discorso pubblico ha chiamato gli Ebrei «il popolo dell’Antica Alleanza mai revocata»; quest’espressione, come abbiamo visto sopra, era già formulata nel 1968 dalla nuova Liturgia del Venerdì Santo, nell’Orazione “pro Judaeis” in cui s’implora Dio affinché gli Ebrei “progrediscano nell’amore del suo Nome e nella fedeltà alla sua Alleanza”. Ora chi è escluso da un’Alleanza non può progredirvi, quindi l’Ebraismo attuale manterrebbe l’Alleanza con Dio.
Il padre gesuita Norbert Lohfink (cfr. N. Lohfink, L’Alleanza mai revocata. Riflessioni esegetiche per il dialogo tra Cristiani ed Ebrei, Brescia, Queriniana, 1991) ha approfondito il significato della frase pronunciata a Magonza da Giovanni Paolo II, ed ha spiegato che dietro il concetto di Nuova ed Eterna Alleanza si nasconde un certo antigiudaismo cristiano, si tratterebbe di un concetto di antagonismo verso il Giudaismo, ereditato dalla Chiesa primitiva; l’autore sostiene che occorre parlare di un’unica Alleanza e di una duplice via di salvezza, evitando di dire che solo in Cristo c’è la salvezza per ogni uomo; gli Ebrei possono salvarsi percorrendo la via del Giudaismo talmudico, i Cristiani quella del Vangelo, l’Alleanza è una sola cui partecipano Ebrei e non-ebrei, ciascuno seguendo la propria strada.
Secondo p. Lohfink Giovanni Paolo II si riferisce senza dubbio al popolo ebraico di oggi, infatti egli parla de «l’incontro tra il popolo di Dio dall’Antica Alleanza mai revocata (Rom., I, 19) e quello della Nuova Alleanza, è… un dialogo… tra la prima e la seconda parte della sua Bibbia» (N. Lohfink, ivi).
La pericope di Giovanni Paolo II ripresa da papa Francesco è perlomeno equivoca. Infatti il popolo dell’Antica Alleanza e quello della Nuova ed Eterna è spiritualmente lo stesso, esso è composto da coloro che credevano nel Cristo Messia venturo (Mosaismo) e da coloro che credono al Cristo Messia venuto (Cristianesimo); per la Teologia cattolica vi è un perfezionamento dell’Antica Alleanza tramite la Nuova; mentre Giovanni Paolo II parla di due popoli, quello del Giudaismo attuale, con il quale – per la sana Teologia – Dio ha rotto l’Alleanza perché è stato tradito da esso, che ha rifiutato i Profeti e Cristo (“Deus non deserit, nisi prius deseratur”). Il Rabbinismo farisaico-talmudico, invece, è presentato da Paolo VI/Giovanni Paolo II/Benedetto XVI/Francesco come il popolo con cui Dio è ancora in Alleanza nonostante si rifiuti di credere in Cristo. Invece il popolo dell’Alleanza stabilita con Mosè è spiritualmente il Cristianesimo. Infatti geneticamente Mosè era il capo del popolo d’Israele secondo la carne; ma questo popolo, nella maggior parte, quando venne il Messia, per il quale Dio aveva stretto Alleanza con Israele, Lo rifiutò e da quel momento non è più da considerarsi figlio spirituale d’Abramo, Mosè e Dio, ma solo discendente materialmente da Abramo e da Mosè e, perciò, ripudiato da Dio spiritualmente e quindi figlio spirituale del diavolo, come disse Gesù ai Giudei che non credevano in Lui: “Voi avete per padre il diavolo” (Jo., VIII, 44).
Il Lohfink scrive che Giovanni Paolo II «infrange, con audacia, la consuetudine, riferendo l’Epistola di San Paolo ai Romani (XI, 29) a questa “Antica Alleanza”, mentre il Vangelo di San Luca (XXII, 20) parla de la Nuova Alleanza nel Mio [di Cristo, ndr] Sangue, che viene versato per voi». Il Lohfink invece ritiene che «in ordine all’interpretazione del rapporto Ebraismo/Cristianesimo, ci sono le cosiddette “teorie dell’Unica Alleanza [che ha due tappe, quella Vecchia e quella Nuova, ndr], e ci sono per contro le “teorie delle due Alleanze”» (N. Lohfink, cit., p. 13).
Secondo il gesuita Lohfink, «l’Ebraismo odierno, può riferire a sé la parola “Alleanza” anche da un punto di vista perfettamente cristiano, poiché la sua “Antica Alleanza” non è mai stata revocata da Dio» (N. Lohfink, ivi).
Invece, è ovvio che se Dio ha stretto una Nuova ed Eterna Alleanza nel Sangue sparso da Gesù, che è stato versato dal Giudaismo talmudico, non sussiste più la Vecchia (specialmente con coloro che hanno crocifisso il Verbo Incarnato) che è stata perfezionata e sostituita dalla Nuova.
Secondo il gesuita «il concetto popolare cristiano di “Nuova Alleanza” favorisce l’Antisemitismo. Il Cristiano normale di fronte al discorso dell’“Antica e Nuova Alleanza” immagina che vi siano due Alleanze, una “Antica” ed una “Nuova” che si succedono l’un l’altra…; un “testamento” vecchio si estingue quando uno va dal notaio e fa redigere un testamento “nuovo”. Quando noi Cristiani parliamo della “Nuova Alleanza” consideriamo gli Ebrei di oggi come i posteri di quegli Ebrei che allora non hanno trovato accesso alla “Nuova Alleanza”, e poiché adesso l’“Antica Alleanza” non esiste più, essi non hanno più alcuna “Alleanza”. Questo è il punto in cui s’inserisce la formulazione di Giovanni Paolo II a Magonza» (N. Lohfink, cit., p. 17).
Ora S. Paolo, divinamente ispirato, ha scritto: «Dicendo Alleanza Nuova, Egli ha dichiarato antiquata la prima; ma ciò che diventa antico ed invecchia, è prossimo a sparire» (Ebr., VIII, 13).
Il rimedio a questa distorsione del “Cristiano normale, del popolo cristiano”, sarebbe secondo il gesuita il “Meta-cristianesimo” di Teilhard de Chardin, ossia un “Cristianesimo a-normale”, esoterico, gnostico e cabalistico, cripto/giudaico che ritenga – contraddicendo S. Paolo – che occorra parlare di «due Alleanze: di un’Antica che continua, nonostante sia invecchiata e prossima a sparire (già 2000 anni fa circa, un ‘prossimo/remoto’), e in cui si trova anche l’odierno Ebraismo e della Nuova, data ai Cristiani; con l’avvertenza di aggiungere sùbito che non esiste nessun motivo per gli Ebrei di rinunciare alla propria Alleanza… Non si è mosso in questo senso – si domanda il gesuita – Giovanni Paolo II nel suo discorso di Magonza?» (N. Lohfink, cit., p. 18).
Il gesuita continua dicendo che, il termine Nuova Alleanza è «un’arma concettuale della Chiesa primitiva, per emarginare gli Ebrei, inoltre quest’affermazione [Nuova Alleanza, ndr] non è storicamente sicura…» (N. Lohfink, cit., pp. 21-22). Per provare ciò l’autore deve negare, in maniera contorta e confusa, la “divina Ispirazione” dei Vangeli, che sarebbero il prodotto delle prime comunità cristiane, del Cristo della fede e non del Cristo della storia (N. Lohfink, cit., p. 22).
Quest’affermazione di Giovanni Paolo II è contraria al Dato rivelato (“Chi crederà [al Vangelo, ndr] e sarà battezzato si salverà. Chi non crederà sarà condannato”; Mc., XVI, 16), rende vana la Redenzione dell’unico Mediatore Gesù Cristo, “creando” artificiosamente una sussistenza della Vecchia Alleanza che non ha più ragion d’essere, a causa dell’Incarnazione Passione e Morte di Nostro Signor Gesù Cristo. Infatti, a che scopo istituire una Nuova Alleanza se la prima è ancora valida? Sarebbe scorretto, inutile e disonesto da parte di Dio nei confronti del vecchio e del nuovo alleato (absit), sarebbe come se un marito, si sposasse di nuovo, vivente ancora la prima moglie, arrecando così danno (di bigamia) sia alla prima che alla seconda; o come se un padre abrogasse il primo testamento, stilato dal notaio a favore del solo figlio primogenito, e lo rimpiazzasse con un secondo e definitivo a favore di tutti i suoi figli, e l’autorità giudiziaria ritenesse ancor valido il primo testamento (che è stato, per esplicita volontà del padre, rimpiazzato con un secondo ed ultimo), e – contraddittoriamente – anche il secondo testamento, di modo che vi sono due testamenti validi, di cui uno rende erede solo il primogenito e l’altro tutti i restanti, ma ciò è impossibile “per la contraddizion che nol consente”. In breve Paolo VI/Giovanni Paolo II/Benedetto XVI/Francesco “giudaizzano”, ossia ritornano a prima del Concilio di Gerusalemme (anno 49) in cui fu definita, dagli Apostoli “con Pietro e sotto Pietro”, l’unicità della Redenzione e salvezza del genere umano operata da Cristo, mediante la fede soprannaturale in Cristo-Dio e le buone opere. Il Concilio di Firenze (1438-1445), ha definito che le osservanze legali dell’Antico Testamento sono cessate con la venuta di Cristo ed hanno preso inizio i sette Sacramenti del Nuovo Testamento (DB 712); i “Papi del Concilio” cercano di reintrodurre il culto e le pratiche dell’Antica Alleanza, che sono “mortuae et mortiferae”, giacché significavano la realtà di Cristo venturo. Ora, se le si rispetta ancor oggi significa negare implicitamente che solo Cristo è Salvatore dell’umanità (“Non c’è salvezza in nessun altro fuori di Lui, poiché nessun altro Nome, sotto il cielo, è stato dato agli uomini, grazie al quale dobbiamo essere salvati”; Atti, IV, 12), che Egli non sarebbe ancora venuto e che pertanto l’Antica Alleanza deve restare ancora in piedi, non essendo ancora presente il Messia, Mediatore universale tra Dio e l’uomo.
Decima tappa: Documento “Sussidi”, sotto Giovanni Paolo II (1985) La “Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo”, presieduta allora dal Card. Willebrands, nel Documento “Sussidi per una corretta presentazione degli Ebrei ed Ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica”, 24 giugno 1985, giungeva fino a negare la storicità dei Vangeli per poter tessere l’apologia dei… Farisei!
Il 24-25 giugno del 1985, infatti, L’Osservatore Romano aveva pubblicato il Documento “Sussidi” accompagnandolo con un articolo di Prospero Grech, allora docente alla Lateranense, dal titolo “Educare una nuova generazione”. Vi si leggeva: “Bisogna che sia fatta un’opera di istruzione capillare a livello di professori di teologia, maestri d’istruzione religiosa, catechisti, mezzi di comunicazione e particolarmente nelle omelie”. Dunque ci si annunzia una manovra a lungo termine per cambiare la mentalità dei cattolici al fine di realizzare un progressivo amalgama tra la fede della Chiesa e la infedeltà della Sinagoga mediante l’uso di termini a doppio senso ed un miscuglio di verità ed errori. Nel medesimo 1985, monsignor Pier Carlo Landucci (in Renovatio, luglio-settembre 1985, anno XX, n. 3), confutava i sofismi della “Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo”, espressi nei ‘Sussidi’, scrivendo che: “Non vi è analogia [come vorrebbero i ‘Sussidi’ (II, 10)], ma drammatica opposizione tra l’attesa [cristiana] del ritorno del già accolto divino Messia e l’attesa [ebraica] della sua prima venuta, che ribadisce la negazione [giudaica] della già avvenuta Incarnazione e Redenzione” (p. 469). Inoltre, l’affermazione dei ‘Sussidi’ (IV, 1a), secondo cui: “Alcuni riferimenti evangelici ostili o poco favorevoli agli Ebrei [sarebbero] molto posteriori a Gesù” (ivi), secondo il Landucci “infirma arbitrariamente la storicità delle narrazioni evangeliche” (ivi). All’obiezione che Cristo è morto per i peccati di tutti gli uomini e che quindi “i Cristiani peccatori sono più colpevoli della morte di Cristo, rispetto ad alcuni Ebrei che vi presero parte” (Sussidi, IV, 2), monsignor Landucci risponde: “Si confondono sofisticamente due piani di valori radicalmente diversi… I peccati sono bensì determinanti dell’iniziativa salvifica di Dio, ma solo come causa finale dell’immolazione salvifica” (ivi). Infine, il prelato concludeva: “Non si può passar sopra… alla loro [degli Ebrei] congiunta testimonianza contro il Verbo eterno Incarnato, il cui riconoscimento, dopo la Rivelazione, è indissociabile dalla vera glorificazione del Dio uno. (Diverso è il caso dell’Islàm, che non ha avuto direttamente la Rivelazione)… Gesù o è Dio, o è il più grande ingannatore, da attivamente disprezzare” (p. 470).
Undicesima tappa: card. Joseph Ratzinger: Conferenza “Israele, la Chiesa e il mondo” (1994) / Benedetto XVI, “Molte religioni, un’unica Alleanza” (originale in tedesco, 1998 / tr. it., 2007) Il Gran rabbino di Israele David Rosen, nel 1994, organizzò un incontro interreligioso a Gerusalemme. Per la parte cattolica fu invitato l’allora cardinale Joseph Ratzinger, che tenne una conferenza dal titolo Israele, la Chiesa e il mondo. Il testo completo della conferenza si trova nel libro, scritto nel 1998 in tedesco e tradotto in italiano nel 2007, di Benedetto XVI, Molte religioni, un’unica alleanza, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2007.
Ratzinger svolse il suo tema a partire dal Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) del 1992, n. 121, che a sua volta riprendeva quanto detto il 17 novembre 1980 a Mainz da Giovanni Paolo II: “L’Antica Alleanza non è stata mai revocata”. Secondo Ratzinger, nel suo intervento tenuto a Gerusalemme nel 1994, a) il primo còmpito che Ebrei e Cristiani debbono svolgere è quello della riconciliazione reciproca: “Dopo l’orrore della shoah l’iniziativa di questo avvicinamento deve venire anzitutto dai Cristiani”; b) inoltre egli cita il Vangelo secondo Giovanni (IV, 22): “La salvezza viene dai Giudei” per ricordare, a sproposito, che è il Giudaismo talmudico a salvare il mondo ed anche i Cristiani, invece la frase del Vangelo di Giovanni fu pronunciata da Gesù al pozzo di Giacobbe nel dialogo con la Samaritana (Giov., IV, 9-42), che gli aveva chiesto se, allora, la salvezza venisse dai Samaritani col loro culto nel Tempio sul monte Garizim o dai Giudei col culto nel Tempio di Gerusalemme. Gesù rispose che nell’Antica Alleanza: “Voi [Samaritani] adorate ciò che non conoscete; noi [Giudei] adoriamo ciò che conosciamo, poiché la salvezza viene dai Giudei” e non dai Samaritani, che “professavano una religione fondamentalmente ebraica, ma mescolata con influenze politeistiche di divinità assire” (F. Spadafora, Dizionario biblico, Roma, Studium, III ed., 1963, pp. 542-544, voce “Samaria, Samaritani”) per cui non conoscevano rettamente la Religione monoteistica di Jaweh, la quale era professata nella sua interezza a Gerusalemme; però Gesù – come vedremo meglio in séguito – aggiunse: “Verrà un tempo, ed è adesso, in cui i veri fedeli adoreranno il Padre in spirito e verità” (Giov., IV, 23), ossia né con i sacrifici di animali nel Tempio giudaico di Gerusalemme, né nel Tempio samaritano sul monte Garizim, ma nella Chiesa di Cristo, mediante il Sacrificio della Nuova ed Eterna Alleanza rinnovato misticamente o “in spirito e verità” durante la Messa cristiana; c) Ratzinger asserisce che “non esiste colpa collettiva dei Giudei per la condanna a morte di Gesù”, invece i Giudei (capi e popolo) gridarono unanimemente: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” (Mt., XXVII, 25), ossia “la responsabilità della sua morte è tutta nostra e dei nostri figli” (F. Spadafora, Pilato, Rovigo, Istituto Padano di Arti Grafiche, 1973, pp. 129-130), formando essi un popolo che ha una religione la quale dura ancor oggi e perdura nel rifiuto di Cristo, che “merita ancora la morte perché da uomo si è fatto Dio”.
Se si approfondisce questo tema ci si accorge che nel 1998 l’allora card. Ratzinger, nell’Introduzione al suo libro Molte religioni un’unica Alleanza. Il rapporto Ebrei Cristiani. Il dialogo delle religioni (Cinisello Balsamo, San Paolo, [1998] 2007, p. 5) scriveva: «L’altro grande tema che acquista sempre più rilievo in àmbito teologico è la questione del rapporto tra Chiesa e Israele. La consapevolezza di una colpa, a lungo rimossa, che grava sulla coscienza cristiana dopo i terribili eventi dei dodici funesti anni dal 1933 al 1945, è senza dubbio una delle ragioni primarie dell’ urgenza con cui tale questione è oggi sentita». L’interesse del Nostro per i rapporti tra Chiesa e Israele risale, come dice lui stesso, al 1947-1948, quando studiava teologia a Monaco sotto la direzione del professore modernista Gottlieb Sönghen. L’importanza della shoah nello sviluppo della sua teologia giudaico-cristiana è fondamentale e risale ai suoi primi venti anni. Onde erreremmo se volessimo vedere nel suo penchant verso “l’olocaustismo” ebraico, una novità, dovuta – magari – alle pressioni delle lobby giudaico-americaniste o allo scoppiar del “caso Williamson” (2009).
L’incipit del libro “Molte religioni un’unica Alleanza” è significativo: «Dopo Auschwitz il compito della riconciliazione e dell’accoglienza si è presentato davanti a noi in tutta la sua imprescindibile necessità»[7]. A pagina 14, come abbiamo visto brevemente sopra, Ratzinger cita il testo del Vangelo di San Giovanni (IV, 22) “La salvezza viene dai Giudei”, e lo applica erroneamente ai rapporti tra Ebraismo post-biblico e Cristianesimo. Questa frase di Gesù alla samaritana presso il pozzo di Giacobbe riguarda, invece, la querelle di quel tempo tra Giudei e Samaritani. Questi, infatti, nel 722 a. C. avevano fatto scisma dalla Giudea ed avevano accolto le usanze e le superstizioni dei Popoli pagani e politeisti assiri che li avevano invasi, corrompendo la purezza della Fede abramitica o dell’Antico Testamento in Jaweh per dar luogo ad una falsa religione sincretistica e politeistica. Alla domanda della samaritana se la vera Fede fosse quella del Tempio di Gerusalemme o quella dei Samaritani che sul monte Garizim, riguardato da essi come sacro, celebravano i loro riti, Gesù rispose che nell’Antica Alleanza la vera Fede è quella dei Giudei (salus ex Judaeis) i quali adorano Dio in Gerusalemme come Dio stesso aveva prescritto nel Pentateuco, ma aggiunge anche che si avvicina l’ora [Nuova Alleanza, ndr], anzi è già venuta [in Cristo] “in cui si adorerà Dio in spirito e verità” (col S. Sacrificio della Messa, in tutto il mondo) e allora né su questo monte Garizim di Samaria né in Gerusalemme adorerete il Padre” [cessazione dell’Antica Alleanza, ndr]. Ora, dire che la salvezza oggi, dopo il Sacrificio di Cristo, viene – come scrivevano anche Léon Bloy e Jacques Maritain – ancora dai Giudei, è oggettivamente falso ed è contrario a ciò che ha rivelato realmente Gesù nel Vangelo di Giovanni.
Ratzinger, invece, dopo aver citato il Vangelo secondo Giovanni (IV, 22) afferma: «Questa origine [“la salvezza viene dai Giudei”] mantiene vivo il suo valore nel presente» (ivi), anche se poi aggiunge, contraddicendosi com’è suo costume kantiano: «Non vi può essere nessun accesso a Gesù […], senza l’accettazione credente della Rivelazione di Dio […], che i Cristiani chiamano Antico Testamento» (ivi). La sua frase precedente, però, diceva che la salvezza viene ancora oggi dai Giudei, e non dall’Antico Testamento, il quale non è certamente il cuore dell’odierno Giudaismo post-biblico, poiché l’Antico Testamento è tutto relativo a Cristo e quindi al Nuovo Testamento, che i Giudei di oggi rifiutano ostinatamente come i loro antenati. Purtroppo tutto il pensiero di Ratzinger è una “coincidentia oppositorum” e questa è anche l’essenza del Modernismo, fondato sul Kantismo e sull’Hegelismo, come l’ha descritta San Pio X nella Pascendi (1907): “Leggi una pagina di un libro modernista ed è cattolica, giri la pagina ed è razionalista”. In Ratzinger ciò avviene persino passando da una frase a quella successiva senza dover aspettare di girare pagina. La conclusione pratica della Teologia giudaico-cristiana, nata dopo la “riflessione sulla shoah” è – secondo Ratzinger – la seguente: «Ebrei e Cristiani debbono accogliersi reciprocamente in una più profonda riconciliazione, senza nulla togliere alla loro fede e, tanto meno, senza rinnegarla ma anzi a partire dal fondo di questa stessa fede. Nella loro reciproca riconciliazione essi dovrebbero divenire per il mondo una forza di pace. Mediante la loro testimonianza davanti all’unico Dio…»[8]. Ora, come può un Cristiano, che crede nella SS. Trinità e nella divinità di Cristo, accogliere “a partire dal fondo di questa stessa fede” l’Ebraismo postbiblico, che nega recisamente la SS. Trinità e la divinità di Cristo? Solo la dialettica hegeliana, la coincidentia oppositorum cusano-/spinoziana, fatte proprie da Ratzinger, lo permettono. Ma la retta ragione, il principio per sé noto di identità e non contraddizione ed inoltre la divina Rivelazione lo negano.
Per quanto riguarda i rapporti tra Antica e Nuova Alleanza, le cose si complicano. Infatti Ratzinger scrive che il termine “Testamentum” (Testamento), usato dall’antica versione latina e reso poi da San Girolamo con “Foedus” o “Pactum” (Alleanza o Patto), non è stata una scelta propriamente corretta per tradurre la parola ebraica Berìt. I traduttori greci della Bibbia ebraica (traduzione dei Settanta) l’hanno resa, infatti, quasi sempre (267 passi su 287) non con l’equivalente greco di “Patto” o “Alleanza” (Syn-theke), ma bensì con il termine Dia-theke, che vuol dire non un “Accordo reciproco”[9], ma una «Disposizione in cui non sono due volontà a mettersi d’accordo, ma vi è una sola volontà che stabilisce un ordinamento»[10]. Sembrerebbe cosa di poco conto. Invece Ratzinger, a partire da questa distinzione, arriva – come vedremo – a riformulare la teoria (già espressa dal NOM di Paolo VI nel 1968, nell’Orazione Pro Judaeis del Venerdì Santo e poi da Giovanni Paolo II, il 17 novembre 1980, a Magonza) che l’Antica Alleanza non è mai cessata: poiché Berìt, reso con Alleanza in latino, significa solo la Volontà divina e non comporta la corrispondenza o cooperazione della volontà umana, Dio ha mantenuto l’Alleanza con Israele, anche se questo è stato infedele. Si tratterebbe di un Patto unilaterale da parte di Dio con Israele, il quale non è tenuto a osservare il Patto. In breve è il “Pecca fortiter sed fortius crede” di Lutero che ritorna. Ratzinger, infatti, scrive: «Ciò che noi chiamiamo “Alleanza”, nella Bibbia, non è concepito come un rapporto simmetrico tra due partner che stabiliscono tra loro una relazione contrattuale paritetica con obblighi e sanzioni reciproche. […] L’“Alleanza” non è un contratto che impegna a un rapporto di reciprocità, ma un dono, un atto creativo dell’amore di Dio»[11]. Egli cita San Paolo (II Cor. III, 4-18[12] e Gal. IV, 21-31[13]), nel quale si trova la «contrapposizione più netta tra i due Testamenti»[14], mentre, quando parla di Alleanza (Ebr., XIII, 20), usa il termine di «alleanza “eonica”[15], cioè eterna, con una terminologia che è ripresa dal Canone romano [della Messa]»[16]. Ratzinger specifica che, se San Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi «pone in netta antitesi l’Alleanza instaurata da Cristo e quella di Mosè», le cose vanno diversamente tra Abramo e Cristo. Infatti «nel nono capitolo della Lettera ai Romani» San Paolo utilizza non più il termine Patto o Testamento, ma Alleanza al plurale e Ratzinger commenta: «l’Antico Testamento conosce tre alleanze: il sabato, l’arcobaleno, la circoncisione […]. L’Alleanza con Abramo [San Paolo] la vede come l’Alleanza vera e propria, fondamentale e permanente, mentre quella con Mosè “è sopraggiunta in séguito” (Rom., V, 20), 430 anni dopo quella con Abramo (Gal., III,17) e non ha affatto privato quest’ultima del suo valore»[17]. Quindi il Patto o il Testamento stipulato da Dio con Mosè (1300 a. C.) è transitorio e non eterno, mentre l’Alleanza stipulata con Abramo (1900 a. C.) è permanente ed eterna! Perciò l’Antica Alleanza con Abramo sussiste ancora, non è mai cessata. Ma – osserviamo – quando gli Ebrei increduli asseriscono di avere per padre Abramo, Gesù risponde loro che Abramo lo è solo carnalmente, poiché egli credeva nel Messia venturo, mentre loro Lo vogliono uccidere, quindi il loro padre spirituale è il diavolo (Gv., VIII, 42) e aggiunge: “Chi è da Dio ascolta le parole di Dio; ecco perché voi non le ascoltate: perché non siete da Dio” (Gv., VIII, 47). Ora come conciliare la Rivelazione del Vangelo di San Giovanni con l’interpretazione ratzingeriana, secondo la quale Abramo (credente nel Cristo venturo) sarebbe tuttora padre degli increduli Ebrei post-biblici che rifiutano il Cristo venuto, dacché l’Alleanza stipulata da Dio con lui è eterna? Certo, si può rispondere che essa è eterna nel momento in cui è vissuta nella Fede di Abramo nel Messia Gesù Cristo, onde l’Alleanza con Abramo continua in quella Nuova ed Eterna, a cui era finalizzata, ed è perfezionata e realizzata da questa nel Sangue di Cristo. Ma gli Ebrei post-biblici, che rifiutano Cristo-Dio e la SS. Trinità, non sono in Alleanza né con Abramo né con Dio, come afferma Gesù nel Vangelo di San Giovanni. Ratzinger, però, asserisce il contrario: «Con questa distinzione [tra Alleanza abramitica e Alleanza mosaica, ndr] viene meno la rigida contrapposizione tra Antica e Nuova Alleanza e si esplicita l’unità […] della storia della salvezza, in cui nelle diverse Alleanze si realizza l’unica Alleanza»[18], onde l’Ebraismo odierno, benché incredulo verso Cristo, sarebbe tuttora in Alleanza eterna con Dio tramite Abramo (e non Mosè). Ma anche ciò è falso. Infatti se così fosse Abramo sarebbe più grande di Cristo, invece Gesù ha detto: “Prima che Abramo fosse [fatto], Io sono [Colui che è]” (Giov., VIII, 58); benché Ratzinger cerchi – distinguendo tra Mosè ed Abramo – di dare un fondamento più solido alla teoria di Giovanni Paolo II dell’«Antica Alleanza mai revocata» (Mainz, 17 novembre 1980). Da notare che per Ratzinger non solo l’Alleanza di Dio con gli Israeliti in Abramo, ma anche l’Alleanza di Dio con tutti gli uomini in Gesù Cristo è “incondizionata” cioè non “legata alla condotta e alla cooperazione degli uomini” perché “Dio, per la sua stessa essenza, non può lasciar cadere l’Alleanza, per quanto essa venga rotta”[19] e perciò dinanzi all’infedeltà degli Israeliti, così come dinanzi all’infedeltà dei “Cristiani, Egli la “rinnova” nel senso che “l’Alleanza condizionata, la quale dipende dalla fedeltà dell’uomo alla Legge e che per questo è stata spezzata, viene sostituita dall’Alleanza incondizionata in cui Dio s’impegna irrevocabilmente”. Questo “rinnovamento dell’Alleanza” è, per i Cristiani, la S. Messa[20].
“Deus non deserit nisi prius deseratur” (“Dio non abbandona, se prima non è abbandonato”) dice Sant’Agostino, ripreso dal Concilio di Trento. Anche la Nuova ed Eterna Alleanza (come già l’Alleanza abramitica) è un patto bilaterale condizionato. Essa è eterna e irrevocabile solo con la Chiesa di Roma; ma non con ogni uomo: i doni di Dio “sono irrevocabili” solo a condizione che l’uomo Gli resti fedele. Per Fede sappiamo che “le porte dell’Inferno non prevarranno” contro la Chiesa; ma nessun uomo sa “se sia degno di odio o di amore”, ossia la perseveranza finale è qualcosa che non è garantita a nessun uomo in particolare: se rompe con Dio, egli è abbandonato da Dio. La Chiesa soltanto, nata dal costato di Cristo, ha la promessa formale dell’ indefettibilità e della perseveranza usque ad finem, in virtù del Sangue di Cristo, ma Israele non ha questa promessa in virtù dei meriti di Abramo, che non è Dio.
In realtà, Ratzinger (come dottore privato) fonda, purtroppo, la sua distinzione su Martin Lutero. Infatti, per lui, la Nuova ed Eterna Alleanza “risulta Nuova” appunto perché “non si tratta di un Patto a certe condizioni, ma del dono dell’amicizia [di Dio] che viene irrevocabilmente offerta. Al posto della Legge subentra la grazia. La riscoperta della Teologia paolina nella Riforma [luterana] ha posto particolarmente l’accento su questo aspetto: non le opere ma la fede; non ciò che l’uomo fa, ma il libero disporre della bontà di Dio. […]. Le espressioni riferite all’ esclusività dell’azione di Dio, vale a dire quelle contenente l’aggettivo solus (solus Deus, solus Christus, sola Scriptura, sola Gratia), sono da intendersi in questo contesto”[21]. Peccato, però, che san Giacomo, nella sua Epistola, abbia scritto, sotto divina Ispirazione: “La Fede senza le Opere è morta” (II, 26) e che il Concilio di Trento abbia definito questa verità de Fide catholica! (sess. VI, cc. 6-7). La “teologia” di Lutero è la negazione e la distruzione della vera Religione (da religare ossia unire l’uomo a Dio), dacché Lutero diceva “pecca fortiter, sed fortius crede” e il peccato separa da Dio e non unisce a Lui. La “speranza fiduciale” luterana è la “presunzione di salvarsi senza meriti”, che porta all’«impenitenza finale» ed è un “peccato contro lo Spirito Santo”. San Paolo non ha mai voluto insegnare l’inutilità delle “Opere buone” (ossia osservare i 10 Comandamenti), anzi insegna che la carità o stato di grazia è conditio sine qua non per entrare in Cielo: “Se avessi la Fede che sposta le montagne, ma non ho la Carità sono un nulla” (1 Cor., XIII, 2). L’Apostolo, quando insegna che la giustificazione non si consegue con le opere della Legge, ma per la fede in Cristo (cfr. Gal., II, 3), parla non della Legge divina, ma delle osservanze rituali, delle prescrizioni legali e cerimoniali della legislazione mosaica, riservate al popolo ebreo per prepararlo a Cristo (“pedagogo a Cristo”), ma per le quali il Fariseismo imperante si lusingava di poter raggiungere la salvezza senza la fede in Cristo e senza la Sua grazia. Tutta la teologia ratzingeriana è un tentativo di conciliare l’ inconciliabile nell’ottica cusano/spinoziana della coincidentia oppositorum; metaforicamente essa è un ossimoro. Infatti nella parte finale del suo libro Ratzinger cita esattamente il De pace Fidei di Niccolò da Cusa detto il Cusano (anno 1453), in cui «Cristo come Logos universale [cfr. il “Cristo cosmico” di Teilhard de Chardin, ndr] convoca un Concilio celeste [cfr. il Concilio Vaticano II e le giornate di Assisi, ndr], perché lo scandalo della molteplicità delle religioni sulla terra è divenuto intollerabile»[22].
Lo stesso Ratzinger spiega che il cammino del movimento ecumenico iniziò nel XIX secolo presso i Protestanti, poi vi si avvicinò l’Ortodossia bizantina e infine «l’avvicinamento della Chiesa cattolica cominciò da alcuni gruppi di Paesi in cui si soffriva maggiormente la divisione tra le Chiese, finché il Concilio Vaticano II aprì le porte della Chiesa alla ricerca dell’unità di tutti i Cristiani»[23]. Onde, per Ratzinger (1997) – oggettivamente – tra Concilio e Tradizione non vi è continuità, ma rottura, anche se – soggettivamente o ermeneuticamente – Benedetto XVI (2005) ce la vuol vedere.
Come si evince da quanto sopra, la Teologia del giudeo-cristianesimo è congenere a Ratzinger e a Benedetto XVI (come dottore privato e anche come Pastore). Per capire la sua reazione davanti alla montatura del “caso Williamson” non si deve guardare alla persona del monsignore “incriminato”, ma alla dottrina giudaizzante del Pontefice modernizzante.
Dodicesima tappa: Documento “Noi ricordiamo”, sotto Giovanni Paolo II (1998) La “Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo”, nel Documento Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah, 12 marzo 1998, afferma l’esistenza di una responsabilità cristiana indiretta nella shoah, scrivendo: “Il fatto che la shoah abbia avuto luogo in Europa, cioè in Paesi di lunga civilizzazione cristiana, pone la questione della relazione tra la persecuzione nazista e gli atteggiamenti dei Cristiani, lungo i secoli, nei confronti degli Ebrei”. Insomma, secondo la “shoahstica Religio” e il neomodernismo, il Cristianesimo per 19 secoli avrebbe talmente perseguitato gli Ebrei sino a causarne lo sterminio di 6 milioni da parte della Germania nazista. Tredicesima tappa: Articolo di Ratzinger su “L’Osservatore Romano” (2000) L’allora card. Ratzinger su L’Osservatore Romano (29 dicembre 2000, p. 1) scriveva: «L’eredità di Abramo dono di Natale: Compito del popolo eletto è […] donare il loro Dio, il Dio unico e vero, a tutti gli altri popoli, e in realtà noi Cristiani siamo eredi della loro Fede nell’unico Dio». In breve egli sostiene due vie di salvezza: una per i Cristiani tramite Cristo e l’altra per gli Ebrei, tramite “l’Antica Alleanza mai revocata”. Quindi, implicitamente, nega che Gesù sia l’unico Redentore di tutto il genere umano (Gentili e Giudei).
Invece noi Cristiani crediamo nella SS. Trinità, un solo Dio ma in Tre Persone eguali e distinte, della quali la Seconda si è Incarnata nel seno della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo ed è Gesù Cristo, il Verbo Incarnato vero Dio e vero uomo, che il popolo “una volta eletto” ha rifiutato ed ha condannato alla morte di croce.
Quattordicesima tappa: Documento “Il popolo ebraico” sotto Giovanni Paolo II (2001) La “Pontificia Commissione Biblica”, nel Documento Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, 24 maggio 2001, parlava del dramma della shoah, che avrebbe collocato la questione dei rapporti tra Ebraismo e Cristianesimo in un’altra luce, facendo sorgere il seguente problema: possono i Cristiani, dopo tutto quello che è successo, avanzare ancòra con tranquillità la pretesa di essere gli eredi legittimi della Bibbia d’Israele? Possono continuare con un’interpretazione cristiana di questa Bibbia, o non dovrebbero piuttosto rinunciare ad una pretesa, che alla luce di ciò che è avvenuto non può non apparire come presunzione?
Questa domanda retorica presuppone implicitamente una risposta di condanna dei Cristiani, del Cristianesimo e del Nuovo Testamento, ci rivela il fine cui tende il dialogo ebraico/cristiano: la giudaizzazione degli uomini della Chiesa di Cristo. Infatti dopo la shoah il Cristianesimo o il Nuovo Testamento non sarebbe più l’erede legittimo dell’Alleanza Antica, che Dio ha stabilito con i Patriarchi in vista del Messia venturo nella Nuova ed Eterna Alleanza. Quindi il Nuovo Patto nel Sangue del Verbo Incarnato, che il Signore ha stabilito con tutti gli uomini (Ebrei e Gentili) convertitisi a Cristo sarebbe stato revocato (dalla shoah e dalla Teologia giudaizzante del Vaticano II, che nasce dall’Olocausto del popolo d’Israele, il quale rimpiazza l’Olocausto di Cristo), mentre la Vecchia Alleanza sarebbe irrevocabile. Dunque tutto il Nuovo Testamento, il Cristianesimo, la Chiesa di Cristo, l’Olocausto di Gesù sarebbero un inganno, una menzogna abrogata dalla shoah e definita come tale dal Vaticano II sino a Benedetto XVI e Francesco. L’interpretazione cristiana della Bibbia o del Vecchio Testamento, data da Gesù nei Vangeli, non potrebbe continuare a sussistere, sarebbe una presunzione da parte del Cristianesimo “post/shoahstico”. Il Nuovo Testamento avrebbe favorito la shoah. Siamo al ribaltamento della retta dottrina, non si tratta di eresia materiale, ma di apostasia oggettiva, ossia di un passaggio da una Religione (il Cristianesimo) ad un’altra (il Giudaismo talmudico).
Quindicesima tappa: il card. Bagnasco e la CEI (2009) Nell’incontro con i rabbini Laras e Di Segni il card. Angelo Bagnasco (allora Presidente della CEI) ha dichiarato: «Non c’è, nel modo più assoluto, alcun cambiamento nell’atteggiamento che la Chiesa Cattolica ha sviluppato verso gli Ebrei, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II. A tale riguardo la Conferenza Episcopale Italiana ribadisce che non è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la conversione degli Ebrei»[24]. Dichiarazioni come quella della CEI, nonché le espressioni sul valore delle false religioni presenti nella Dichiarazione conciliare Nostra aetate e le ulteriori posizioni nei confronti degli Ebrei non solo non sono imposte con autorità infallibile, ma sono posizioni “pastorali” ambigue e pericolosissime, in contrasto col Magistero costante e tradizionale della Chiesa, anche perché aprono la strada all’indifferentismo ed al relativismo religioso e, peggio, al sincretismo, i cui guasti abbiamo sotto gli occhi giorno dopo giorno.
Sedicesima tappa: il “caso Williamson”, uno dei momenti più difficili del Pontificato di Benedetto XVI (2009) Uno dei momenti più difficili del Pontificato di papa Ratzinger è stato il “caso Williamson”. Infatti “si ritiene ancora oggi che revocando la scomunica al vescovo Richard Williamson della Fraternità San Pio X il Papa avrebbe riaccolto nella Chiesa cattolica un negazionista dell’olocausto. Effettivamente questa notizia, nel gennaio del 2009, produsse una svolta nella percezione dell’opinione pubblica, che sino ad allora aveva espresso un giudizio estremamente positivo sul lavoro del Papa” (Peter Seewald, Benedetto XVI. Ultime conversazioni, Milano, Corriere della Sera/RCS, 2016, p. 14). Il libro in esame torna sul “caso Williamson” a pagina 22, 210 e 222. In effetti questo “caso” ha significato qualcosa di veramente decisivo nell’ambiente ecclesiale, sia progressista che tradizionalista. È stato una “pietra d’inciampo”. Il fatto singolare è quello che a condannare Mons. Williamson è stato in primis il superiore generale della Fraternità San Pio X, seguìto dalla sua grande “maggioranza silenziosa”, il quale ha aderito alla vulgata sterminazionista ed ha preteso l’adesione al dogma della “Holocaustica Religio” da Mons. Williamson, che ha avuto la disgrazia di aver chiesto solo delle prove di un piano sistematico di distruzione dell’Ebraismo europeo tramite camere a gas e forni crematori per potervi aderire e siccome non gli son state date non ha potuto prestare un “ragionevole ossequio” a ciò che non è ragionevolmente provato. Quindi Mons. Richard Williamson – paradossalmente, ma non troppo dati i tempi che corrono – è stato assolto dal Tribunale penale di Norimberga in Germania, ma è stato condannato dai modernisti post-conciliari (cosa del tutto normale dopo 50 anni di giudaizzazione dell’ambiente ecclesiale a partire da Nostra aetate, 28 ottobre 1965); tuttavia ciò che impressiona e fa capire quanto il virus modernista di omologazione del pensiero cattolico al mondo moderno sia profondo è il fatto che Mons. Williamson è stato espulso dalla Fraternità San Pio X nata per combattere il modernismo e che invece, in quel “caso”, ha sposato la causa di coloro che hanno contribuito ad elaborare la “nuova Teologia” giudaizzante del Vaticano II a partire dall’olocausto mediante “Nostra aetate” (Paolo VI, 1965), la “Antica Alleanza mai revocata” (Giovanni Paolo II, 1980) e agli “Ebrei fratelli maggiori dei cristiani nella fede di Abramo” (Giovanni Paolo II, 1986).
Seewald spiega che “il tema del rapporto tra il mondo ebraico e quello cristiano è tra quelli che stanno più a cuore a Ratzinger. senza di lui, affermò Israel Singer, Segretario generale del “Congresso Ebraico Mondiale” dal 2001 al 2017, non sarebbe stata possibile la determinante svolta storica nei rapporti bimillenari tra Chiesa cattolica ed Ebraismo. Rapporti che, riassume Maram Stern, vicepresidente del “Congresso Ebraico Mondiale”, sotto il Pontificato di Benedetto XVI sono stati i migliori di sempre” (p. 15). Quindi, impossibile ma vero, in fatto di giudaizzazione dell’ambiente ecclesiale e cattolico Ratzinger sorpassa lo stesso Woytjla (Singer et Stern dixerunt). Diciassettesima tappa: Articolo del card. Koch su “L’Osservatore Romano” (2011) Il 7 luglio 2011 il card. Kurt Koch, Presidente del “Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani” (tra i quali – chissà perché – sono annoverati anche gli Ebrei, che “Cristiani” non sono e si rifiutano ostinatamente di essere) ha illustrato su L’Osservatore Romano il senso di Assisi III (27 ottobre 2006) indicando nella Croce di Nostro Signore Gesù Cristo “il permanente e universale Yom Kippur [Espiazione/Redenzione/Riconciliazione/Perdono dei peccati, ndr]”, che chiama tutti, in particolare Ebrei e Cristiani, alla Riconciliazione. Eppure già l’8 ottobre 2008 il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, aveva spiegato dalle pagine del medesimo Osservatore Romano il senso della festa ebraica dello Yom Kippur (il giorno dell’Espiazione, in cui è concessa agli Ebrei la remissione dei peccati) e aveva puntualizzato (non a torto) che in questa festa si manifestano le “differenze inconciliabili” tra Ebrei e Cristiani “perché un Cristiano, in base ai princìpi della sua fede, non ha più bisogno del Kippur così come un Ebreo che ha il Kippur non ha bisogno della salvezza dal peccato proposta dalla fede cristiana” ovvero non ha bisogno (secondo lui) né di Gesù Cristo né della Sua Croce.
Il card. Koch, evidentemente dimentico di questa messa a punto, nel suo articolo del 7 luglio 2011 ha scritto che “la Croce di Gesù Cristo non è di ostacolo al dialogo interreligioso; piuttosto essa indica il cammino decisivo che soprattutto Ebrei e Cristiani […] dovrebbero accogliere in una profonda riconciliazione interiore…”.
Puntuale la replica del rabbino capo di Roma. Il 29 luglio 2011, sempre su L’Osservatore Romano, ha scritto che, “se i termini del discorso sono quelli di indicare agli Ebrei il cammino della Croce, non si capisce il perché di un dialogo e il perché di Assisi”.
Questo ennesimo “no” dei capi Ebrei a Nostro Signore Gesù Cristo non ci stupisce affatto. Ci stupisce che, per pronunciare questo ennesimo “no”, ancora una volta siano state messe a disposizione del rabbino capo di Roma le pagine de L’Osservatore Romano che sembra divenuto l’organo ufficiale, oltre che della Santa Sede, anche dei nostri “fratelli peggiori” nonché “padri nella Fede”. Ancor più ci stupisce la controreplica del card. Koch apparsa su L’Osservatore Romano del 19 luglio 2011 in contemporanea con la replica del rabbino Di Segni. Il cardinale ha scritto: “Non si intende [sic] sostituire lo Yom Kippur con la Croce di Cristo, anche se i Cristiani vedono [sic] nella Croce il permanente e universale Yom Kippur”. “Vedono”? Un’ opinione soggettiva, dunque, non una verità oggettiva divinamente rivelata: non è Dio che ha sostituito la Croce di Cristo allo Yom Kippur, che nel Vecchio Testamento ne era solo l’ombra o la figura, ma sarebbero i Cristiani che “vedono” nella Croce lo strumento universale di Salvezza e, trattandosi solo di una loro opinione soggettiva, non si comprende perché gli Ebrei dovrebbero accettare di condividerla con i Cristiani sia pure in vista di “una profonda riconciliazione interiore”.
D’altronde il card. Koch rassicura il rabbino Di Segni che “non si intende” sostituire lo Yom Kippur con la Croce (naturalmente lo “si intende” tuttora da parte dei Cristiani che hanno la fede, ma non lo si intende da parte dei “Pastori” che hanno svenduto la loro fede sul mercato ecumenico) e, nel tentativo di salvare capra e cavoli, aggiunge che qui sta il punto “fondamentale” del dialogo ebraico-cristiano: “come si possa conciliare la convinzione, vincolante anche per i Cristiani [sic], che l’Alleanza di Dio con il popolo di Israele ha una validità permanente e la fede cristiana nella Redenzione universale in Gesù Cristo, in modo tale che, da una parte, gli Ebrei non abbiano l’impressione che la loro religione è vista dai Cristiani come superata e, dall’altra, i Cristiani non debbano rinunciare a nessun aspetto della loro fede”.
Tutto quanto scrive il card. Koch è volere la “quadratura del cerchio”. Nel momento stesso in cui i Cristiani ammettono non “superata” la religione giudaica, ammettono una seconda via di salvezza riservata agli Ebrei che persistono nel rifiuto di Nostro Signore Gesù Cristo e quindi negano quella “Redenzione universale in Gesù Cristo” che il card. Koch stesso ammette che debba essere comunque salvata (Dio solo sa come). Negandola, infatti, i Cristiani rinunciano non a un qualche “aspetto” della loro fede, ma alla loro stessa fede, il cui dogma fondamentale è così espresso da San Paolo: “Tutti peccarono e sono privati della gloria di Dio [la grazia santificante], ma ora sono giustificati […] mediante la Redenzione che è in Cristo Gesù” (Rom., III, 23-24). “Tutti”, Giudei e Gentili, spiega il Concilio di Trento, “erano tanto servi del peccato e sotto il potere del demonio e della morte che non solo i Gentili con le forze naturali, ma nemmeno i Giudei mediante la lettera della Legge mosaica potevano liberarsi e risorgere” (DB, 793).
Il ripudiare o anche il solo velare ecumenicamente la verità che San Pietro proclamò per primi proprio ai capi degli Ebrei: “In nessun altro è salvezza perché non vi è sotto il cielo nessun altro Nome dato agli uomini per il quale possiamo essere salvi” (Atti degli Apostoli, IV, 11-12) è un tradire non solo la Verità, ma anche il dovere di carità che si ha verso gli increduli, poiché si nasconde ai loro occhi la gravità del loro stato e l’unica strada per la quale possono salvarsi dalla morte eterna.
Diciottesima tappa: Documento “Perché i doni di Dio sono irrevocabili” sotto papa Francesco (2015) La “Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo”, nel Documento “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rom., XI, 29). Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico/ebraiche in occasione del 50° anniversario di “Nostra aetate” (n. 4), 10 dicembre 2015, insegna che “la Chiesa cattolica non conduce né supporta alcuna iniziativa specifica di Missione istituzionale rivolta agli Ebrei”.
Come conciliare ciò con il Comandamento dato da Gesù Cristo agli Apostoli e ai loro successori: “Andate e ammaestrate tutte e Genti, chi crederà sarà salvo chi non crederà sarà condannato” (Mt., XXVIII, 19)?
Diciannovesima tappa: Discorso di papa Francesco ad una delegazione del “Congresso Ebraico Mondiale” (2015) Francesco in un Discorso tenuto ad una delegazione del “Congresso Ebraico Mondiale” (28 ottobre 2015), asserisce: “Attaccare gli Ebrei è Antisemitismo, ma un attacco diretto allo Stato d’Israele è pure Antisemitismo”. Quindi, secondo Bergoglio, non si può neppure criticare la politica del Governo israeliano, sotto pena di “Antisemitismo”; per esempio, chi criticasse l’ordine impartito dal Governo Netanyahu ai cecchini dell’Esercito Israeliano di mirare sui Palestinesi, anche vecchi, donne e bambini per colpirli mortalmente, sarebbe un pericoloso Antisemita.
Ventesima tappa: Francesco Discorso alla sinagoga di Roma (2016) Francesco il 17 gennaio del 2016, nel suo Discorso tenuto nella sinagoga di Roma, ha riaffermato che secondo la dottrina conciliare (cfr. Lumen gentium, 16: “I doni di Dio sono irrevocabili”; la Dichiarazione Nostra aetate, n. 4) e postconciliare (cfr. Giovanni Paolo II a Magonza nel 17 novembre del 1980: “L’Antica Alleanza mai revocata”; Giovanni Paolo II, Discorso alla sinagoga di Roma, 13 aprile 1986: “Ebrei nostri fratelli maggiori nella Fede”; Benedetto XVI, Discorso alla sinagoga di Roma, 17 gennaio 2010: “Ebrei nostro padri nella Fede”) l’Ebraismo attuale è ancora titolare dell’Alleanza con Dio.
Ventunesima ed “ultima” tappa: Bergoglio & Ratzinger (2019) Nei primi mesi dell’anno 2019 – è stato pubblicato il libro La Bibbia dell’Amicizia. Brani della Torah/Pentateuco commentati da Ebrei e Cristiani (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2019) con una “Prefazione” a cura di papa Bergoglio.
Verso la Pasqua del medesimo anno – è uscito un secondo libro sullo stesso tema, titolato Ebrei e Cristiani, redatto dal “papa/emerito” Benedetto XVI (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2019) in collaborazione col rabbino-capo di Vienna Arie Folger.
In questi due libri gli errori giudaizzanti insegnati da Giovanni XXIII sino a papa Bergoglio sono ripresi, compendiati, approfonditi, sviscerati e aggravati come dimostro nel mio libro Non abbiamo Fratelli Maggiori. L’Antica Alleanza è stata revocata e gli Ebrei hanno bisogno di Gesù per salvarsi, Cermenate – Como, Radio Spada, 2019.
Sicuramente qualche insegnamento “conciliare/giudaizzante” mi sarà sfuggito, me ne scuso e prego i lettori di indicarmi le referenze onde poterli segnalare al pubblico.
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II Parte
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Il Magistero tradizionale, la Patristica e il Giudaismo postbiblico Il Magistero pontificio non ha mai nascosto l’opposizione tra la Sinagoga e la Chiesa di Gesù, tra la Bibbia e il Talmud. La Chiesa cominciò a conoscere approfonditamente la dottrina talmudica, tra il 1238 e il 1240, grazie a “un Ebreo convertito Nicola Donìn, di La Rochelle, il quale presentò nel 1238 al papa Gregorio IX trentacinque articoli che riproducevano la dottrina dal Talmud e che, di fatto, ne sono estratti esattamente. […] Gregorio IX ordinò di aprire un’inchiesta […], il Talmud fu condannato e degli esemplari furono bruciati pubblicamente a Parigi davanti alla basilica di Notre Dame, attorno al 1242”[25]. Altri Papi hanno poi condannato il Giudaismo talmudico (dal 1267 al 1775)[26] .
Inoltre quasi tutti i Padri e i Dottori della Chiesa (dal 96 al 1495) hanno polemizzato teologicamente con il Giudaismo postcristiano[27].
Ad esempio, San Giustino, filosofo, apologista e martire († 165 circa), scrive che l’Ebraismo talmudico odia il Cristianesimo e disonora i Cristiani, con un linguaggio sordido e infamante, maledicendoli nelle preghiere che si recitano in sinagoga. «Probabilmente – commenta padre Felix Vernet – fa allusione alla preghiera principale del Giudaismo, l’Amida o Chemoné-esré[28], che veniva recitata tre volte al giorno…, essa si componeva di diciotto benedizioni…, verso l’80 dopo Cristo, s’intercalò tra l’11a e la 12a benedizione un’imprecazione così formulata: “Che gli apostati non abbiano nessuna speranza e che l’impero dell’orgoglio sia sradicato sùbito; che i Nazareni e i minìm periscano in un istante…”. In questo testo – continua il Vernet – i Nazareni sono nominati chiaramente; ma è così soltanto nell’edizione palestinese di questa preghiera, scoperta al Cairo da S. Schechter e pubblicata nel The Jewish quarterly review, Londra, 1898, t. X, p. 654-659»[29]. Sempre San Giustino dice che il nemico principale per il Giudaismo talmudico non è il Paganesimo ma il Cristianesimo (Dial. cum Triph., VIII): gli Ebrei del II secolo “maledicono il Crocifisso, lo insultano, come viene loro insegnato dai capi delle sinagoghe dopo la preghiera (Dial. cum Triph., CLVII). Si vantano di aver ucciso Cristo. Lo trattano da mago e nato da adulterio”[30]. Anche San Girolamo († 420) nel commento ad Isaia (V, 18) fa menzione della preghiera di maledizione contro i Cristiani: “Tre volte al giorno in tutte le sinagoghe sotto il nome di Nazareni maledicono il nome cristiano” (“Ter per singulos dies in omnibus synagogis sub nomine Nazarenorum anathemizant vocabulum christianum”).
Eugenio Zolli († 1956) aggiunge che “l’apologetica ebraica dei primi secoli d. C. […] tende a scartare dalla figura del Messia ogni apparenza d’uguaglianza con Dio, affermando in pieno il suo carattere umano. Trifone ripete… che il Messia… sarà un uomo tra gli uomini”. Inoltre “I sacerdoti e gli anziani del popolo ebreo inviavano a tutti i popoli dei messi, per disseminare presso gli Ebrei [della diaspora, ndr] dei sospetti contro l’insegnamento di Cristo”[31].
700 anni di Magistero costante e tradizionale (1244 – 1937) 1°) Innocenzo IV (1244), Bolla pontificia Impia Judeorum Perfidia: «I Giudei, ingrati verso Gesù, disprezzando la Legge mosaica e i Profeti, seguono certe “tradizioni” dei loro antenati, che son chiamate Talmùd, il quale si allontana enormemente dalla Bibbia ed è pieno di bestemmie verso Dio, Cristo e la Vergine Maria»; 2°) Giovanni XXII (1320), Bolla Dudum felicis: esprime lo stesso concetto; 3°) Paolo IV (1555), Bolla Cum nimis absurdum: «I Giudei sino a che persistono nei loro errori, riconoscano che sono servi a causa di essi, mentre i Cristiani sono stati fatti liberi da Gesù Cristo Nostro Signore»; 4°) Pio V (1569), Bolla Haebreorum: «Il popolo ebreo, un tempo eletto da Dio, poi abbandonato per la sua incredulità, meritò di essere riprovato, perché ha respinto il suo Redentore con empietà e lo ha ucciso con morte vergognosa. La loro empietà è giunta ad un tal livello che, per la nostra salvezza, occorre respingere la forza di tanta malizia, la quale con sortilegi, incantesimi, magia e malefici induce moltissime persone incaute e semplici agli inganni di Satana»; 5°) Gregorio XIII (1581), Bolla Antiqua Judeorum: «I Giudei, divenuti peggiori dei loro padri, per nulla ammansiti, non rinunziando per nulla al loro passato deicidio, si accaniscono anche adesso nelle sinagoghe contro N. S. Gesù Cristo ed estremamente ostili ai Cristiani compiono orrendi crimini contro la religione di Cristo»; 6°) Clemente VIII (1593), Bolla Caeca et obturata: esprime gli stessi concetti; 7°) Benedetto XIV (1751), Enciclica A quo primum: «Ogni traffico di merci utili è gestito dai Giudei, essi possiedono osterie, poderi, villaggi, beni per cui, diventati padroni, non solo fanno lavorare i Cristiani senza posa, esercitando un dominio crudele e disumano su di essi. Inoltre dopo aver accumulato una grande somma di denaro, con l’usura prosciugano le ricchezze e i patrimoni dei Cristiani»; 8°) Pio IX (1874-1878), Discorsi del Sommo Pontefice Pio IX pronunciati in Vaticano: egli chiama gli Ebrei «cani», divenuti tali da «figli» che erano (cfr. l’episodio della donna Cananea, Mt., XV, 21-28), «per la loro durezza ed incredulità». Il Pontefice, continua, definendoli «bovi», che «non conoscono Dio» ed aggiunge «popolo duro e sleale, come si vede anche nei suoi discendenti», che «faceva continue promesse a Dio e non le manteneva mai». Inoltre, papa Mastai stabilisce un parallelo tra la Chiesa del suo tempo e quella delle origini, asserendo: «Le tempeste che l’assalgono sono le stesse sofferte alle sue origini; allora erano mosse dai Pagani, dagli Gnostici e dagli Ebrei, e gli Ebrei vi sono ancora presentemente». Quindi, ricorre all’espressione di «Sinagoga di Satana» (Apoc., II, 9; III, 9) per meglio identificarli; 9°) Pio XI (14 marzo 1937), Enciclica Mit brennender Sorge: «Il Verbo doveva prender carne da un popolo che Lo avrebbe poi confitto in croce». Lo stesso Pio XI nella famosa “Enciclica nascosta” (Humani generis unitas) che non fu promulgata, data la morte del Papa avvenuta il 10 febbraio 1939, scriveva: «La vera natura della separazione sociale degli Ebrei dal resto dell’umanità, ha un carattere religioso e non razziale. La questione ebraica, non è una questione di razza, né di nazione, ma di religione e, dopo la venuta di Cristo, una questione di Cristianesimo… Il popolo ebreo ha messo a morte il suo Salvatore… Costatiamo in questo popolo un’inimicizia costante rispetto al Cristianesimo. Ne risulta una tensione perpetua tra Ebrei e Cristiani mai sopita. Il desiderio di vedere la conversione di tale popolo non acceca la Chiesa sui pericoli ai quali il contatto con gli Ebrei può esporre le anime. Fino a che persiste l’incredulità del popolo ebraico la Chiesa deve prevenire i pericoli che quest’incredulità potrebbe creare per la fede e i costumi dei fedeli Cristiani».
Conclusione Per terminare mi sembra opportuno cedere la penna all’autorità, teologicamente ed esegeticamente scientifica, di monsignor Pier Carlo Landucci (Cento problemi di Fede, Assisi, ed. Pro Civitate Christiana, 1953) scrive: “È tanto sorprendente – ma tuttavia spiegabile – l’accecamento degli Ebrei di duemila anni fa, di fronte a Gesù, quanto quello degli Ebrei di oggi, che si ostinano a rifiutare il Cristianesimo […]. Quando entra in campo la Fede, alla luce soprannaturale si congiunge l’impulso oscurante degli interessi e delle passioni – specialmente l’orgoglio –, alle ispirazioni della grazia s’oppone la tentazione del demonio: e non c’è evidenza che possa vincere la resistenza e l’indurimento del cuore […]. È la legge della libertà e dello spirito […], ed esso sospinse gli Ebrei sino al deicidio e all’auto maledizione: ‘Il sangue di Lui ricada su di noi e sui nostri figli’ (Mt., XXVII, 25). Quando si considera la storia del popolo ebreo – antica o moderna – non bisogna mai dimenticare tale pervertimento del cuore che lo condusse a quel supremo misfatto e lo ancorò nell’odio al Cristianesimo” (pp. 222-224). Quanto al problema dell’elezione di Israele, il prelato asserisce che Israele è “eletto – cioè scelto – nel senso dei particolarissimi doni di Dio… Ma erano doni che non escludevano la possibilità dell’incorrispondenza e della prevaricazione: così come Giuda era eletto, ma prevaricò” (p. 225).
In Miti e Realtà (Roma, La Roccia, 1968), lo stesso monsignor Landucci, riguardo alla colpevolezza o meno del Giudaismo nel deicidio, scrive: “Attenuanti si possono ammettere, scusanti, soprattutto quanto ai capi, no. […] Quegli ebrei avevano ben coscienza di essere mossi dall’odio. Dell’accecamento circa la verità di Gesù erano responsabili in causa […]. Gesù disse bensì la misericordiosa e meravigliosa prima parola dalla croce: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno’ (Lc., XXIII, 34). La disse, però, propriamente, non solo degli Ebrei, ma di tutti i suoi carnefici. Tuttavia, se chiedeva per essi il perdono, vuol dire che la loro colpa c’era: e la richiesta del perdono equivaleva alla richiesta al Padre di donar loro la grazia del pentimento e della conversione” (pp. 257-258).
Sempre nello stesso libro, il Landucci ha dedicato un capitolo intero (Il problema ebraico, pp. 435-443) alla questione che stiamo affrontando. Il prelato precisa che l’Antisemitismo pagano non deve “far chiudere gli occhi davanti allo spirito e alla ostilità attuale anticattolica, non dei singoli Ebrei, ma dell’Ebraismo internazionale (…). Mentre essi [Ebrei] sono sparpagliati in tutte le nazioni, assumendone la regolare cittadinanza, mantengono tuttavia, in generale, una piena unità di razza, come se costituissero una super-nazione a parte, gravitante attorno allo Stato d’Israele […]. Questa unità ha un triplice fondamento, che fa come un tutt’uno: di sangue, di religione (anche quando sia praticata solo come esteriore omaggio a cerimonie tradizionali) e di storia politica. (…) L’Ebraismo costituisce quindi, in realtà, un impressionante esempio attuale di razzismo. […] Il sangue ebreo del Divin Redentore, come di Maria e degli Apostoli, ecc., anziché placare l’ostilità ebraica contro il Cristianesimo, costituiscono purtroppo un intimo motivo alimentatore di tale ostilità. L’alternativa infatti è fatale. O riconoscere la verità del divino Messia…, e quindi la verità del Cristianesimo, o seguitare a negare la verità di Gesù…, e vedere in Lui e nella sua religione il più tragico inganno […]. Si tratta, purtroppo, [quanto al Giudaismo attuale] di un effettivo rifiuto positivo di Gesù. È il medesimo rifiuto del mondo giudaico del tempo di Gesù. […]. Prosegue cioè il tragico errore dei loro padri […]. L’Ebraismo ha respinto Gesù, rinnegando con ciò la sua storia. Questa quindi non è che un titolo di maggiore responsabilità, che rende l’Ebraismo – obiettivamente parlando – l’anticristianesimo più inescusabile” (passim).
Curzio Nitoglia [1] Cfr. Maurice Pinay, Complotto contro la Chiesa, II ed., Proceno – Viterbo, Effedieffe, 2017. [2] Cfr. Erik Peterson, Perfidia Judaica, in “Ephemerides liturgicae”, n. 10, 1936, pp. 296-311. [3] Amalario nato e morto a Metz, detto “Fortunato” o alla greca “Symfosio”, fu un valente teologo e un esimio giurista, ma soprattutto un grande studioso di Liturgia, materia che ha trattato nella sua opera maggiore: il Liber Officialis seu De Ecclesiasticis Officiis, in quattro libri, composti tra l’820 e l’832. Il Liber è stato una vera Enciclopedia Liturgica per il periodo medievale e una vera fonte per la storia della Liturgia del Medioevo. Cfr. Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, vol. I, 1948, coll. 959-962, voce “Amalario di Metz”, a cura di Igino Cecchetti. [4] Cfr. Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1949, vol. II, coll. 1456-1457, voce “Bernone di Reichenau” a cura di Igino Cecchetti. [5] Questa preghiera è stata pubblicata, nel gennaio 1965, nell’American Commentary, Organo dell’American Jewish Commitee. Cfr. Giovanni Caprile, «Giovanni XXIII e una “preghiera per gli Ebrei”», in Civiltà Cattolica, 1983, n. II, pp. 565-569. [6] Cfr. Julio Mieinvielle, Dalla Cabala al Progressismo, Proceno – Viterbo, Effedieffe, 2019. [7] Ibidem, p. 9. [8] Ibidem, p. 29. [9] Ibidem, p. 32. [10] Ivi. [11] Ibidem, p. 33. [12] «Le loro [dei Giudei, ndr] menti si sono ora inebetite: infatti sino al giorno d’oggi un velo rimane, non rimosso, sulla lettura dell’Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Ma sino ad oggi tutte le volte che essi leggono Mosè un velo si posa sul loro cuore» (II Cor., III, 14-15), Monsignor Settimio Cipriani commenta: «La maggior parte degli Ebrei non ha compreso la provvisorietà dell’Antico Testamento e continua a dare un valore definitivo a Mosè, non intuendo il significato del “velo” posto sulla sua faccia […]. Dal momento che gli Ebrei continuano a ritenere valido l’Antico Testamento, è segno che non interpretano più giustamente il “velo” calato sul volto di Mosè, che voleva appunto sottolineare la sua provvisorietà: questo significa allora che il “velo” è calato sulle loro menti e sul loro cuore» (S. Cipriani, Le Lettere di San Paolo, Assisi, Cittadella Editrice, 1962, pp. 276-277, nota 14-15). [13] «I due Testamenti; uno ha origine dal monte Sinai, genera per la schiavitù […], esso corrisponde alla Gerusalemme presente, che di fatti è schiava con i suoi figli. La Gerusalemme celeste, invece, è libera: essa è la nostra madre [la Chiesa di Cristo]» (Gal., IV, 24-26). Sempre Settimio Cipriani commenta: «La “Gerusalemme presente”, in quanto simbolo dell’Ebraismo e di fedeltà alla Legge mosaica, è legittima erede di questo spirito di schiavitù […]. Sara [Nuovo Testamento] invece è simbolo della “libertà” e pre-significa la Chiesa, la “Gerusalemme celeste”, ossia [che viene] dal cielo e al cielo ritorna. […]. I veri “figli della promessa” sono dunque i Cristiani e non più gli Israeliti» (S. Cipriani, cit., pp. 380-381, nota 24-28). Tuttavia con l’acuta distinzione tra Mosè ed Abramo, Ratzinger pensa di aver scansato l’ostacolo; infatti se il Patto o Testamento con Mosè è perituro, l’Alleanza con Abramo no, ma sarebbe eterna. [14] Ibidem, p. 34. [15] Eonico: “Nella filosofia gnostica del II secolo d. C. gli Eoni sono esseri eterni che emanano da Dio e che fungono da intermediari tra Lui e il mondo. Etimologia: in greco: aion, in latino aeonem = eterno” (N. Zingarelli). [16] Ivi. Il testo di San Paolo cita Zaccaria (IX, 11) e recita «In virtù del Sangue dell’Alleanza eterna [in sanguine Testamenti aeterni]». Anche altri Profeti hanno usato l’espressione di Alleanza eterna, cfr. Is., LV, 3; Ez., XXXVI, 26; Ger., XXXII, 40. Inoltre San Paolo scrive: «Il Dio della pace, che ha risuscitato dai morti il grande Pastore delle pecore, in virtù del Sangue dall’Alleanza eterna, Gesù nostro Signore, vi renda atti a compiere la sua volontà […] per mezzo di Gesù Cristo» (Ebr., XIII, 20-21). È chiaro che ora, nella Nuova Alleanza, dopo la morte di Cristo sino alla fine del mondo, l’uomo può compiere la volontà di Dio, tramite le buone opere e la Fede, solo in virtù del Sangue sparso da Gesù Cristo, Sangue della Nuova ed Eterna Alleanza. Ma se l’Alleanza, oltre che eterna, è anche Nuova, significa che la Vecchia in Abramo è rimpiazzata o perfezionata; infatti Abramo, essendo un semplice uomo aveva anch’egli bisogno dei meriti del Messia venturo, Gesù Cristo vero Dio e vero uomo. La salvezza è stata promessa ad Abramo in quanto progenitore secondo la carne di Cristo, vero Dio e vero uomo, che avrebbe sparso il suo Sangue sulla Croce e in virtù della Fede nel “giorno” della venuta del Messia Gesù. Onde l’escamotage ratzingeriano non regge: non è Abramo che salva l’umanità ferita dal peccato originale, ma solo Gesù Cristo Redentore universale del genere umano. Monsignor Settimio Cipriani, commenta: «L’Alleanza eterna è sinonimo di Nuova Alleanza, di cui Cristo è il Mediatore; in opposizione a quella mosaica che rappresentava solo una tappa nella storia della salvezza, l’Alleanza instaurata da Cristo rappresenta la fase ultima e decisiva di questo avvicinarsi di Dio alla sua creatura» (Le Lettere di San Paolo, Assisi, Cittadella Editrice, 1962, p. 831). [17] J. Ratzinger, Ibidem, pp. 37-38. [18] Ibidem, p. 39. [19] Ibidem, p. 53. [20] Ibidem, pp. 45 e 46 e in generale tutto il capitolo secondo sulla “Nuova Alleanza”. [21] Ibidem, p. 48. [22] Ibidem, p. 65. [23] Ibidem, p. 67. [24] Dichiarazione del card. Angelo Bagnasco Presidente della CEI nell’ incontro con i rabbini Laras e Di Segni, 22 settembre 2009. [25] D. A. F. C., cit., coll. 1691-1692. In Spagna, la disputa cristiana contro il Talmudismo, fu condotta in maniera molto scientifica ed equilibrata, sin dalla fine del XIV secolo, da alcuni Ebrei sinceramente convertiti: Pablo de Santa Marìa (prima Salomon Ha-Levi, rabbino capo di Burgos, convertitosi nel 1390), Scrutinium Scripturarum, pubblicato solo nel 1591; Jerònimo de Santa Fe (prima Yeshua Ha-Lorqui, che condusse la famosa disputa contro vari rabbini a Tortosa, nel 1413, per ordine di papa Benedetto XIII), Haebraeo Mastix, pubblicata nel XV secolo. Pedro de la Caballerìa (gran giurista aragonese, esperto in lingua araba ed ebraica, vissuto tra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento) Tractatus zelus Christi, pubblicato nel 1592. [26] Clemente IV (1267), Onorio IV (1285), Giovanni XXII (1320), Benedetto XIII (1415), Giulio III (1554), Paolo IV (1564), Gregorio XIII (1581), Clemente VIII (1593), Benedetto XIV (1751), Pio VI (1775). [27] Lo pseudo Barnaba (96/98 d. C.), S. Giustino, Tertulliano, S. Cipriano, Novaziano, Commodiano, S. Melitone, S. Ireneo, S. Apollinare, S. Serafione, Eusebio da Cesarea, S. Gregorio Nisseno, S. Giovanni Crisostomo, S. Isidoro, S. Basilio, S. Cirillo d’Alessandria, S. Girolamo, S. Agostino, S. Massimo da Torino, S. Isidoro da Siviglia, S. Giuliano da Toledo, S. Agobardo da Lione, S. Pier Damiani, S. Ambrogio, S. Leone Magno, S. Gregorio Magno, S. Bernardo di Chiaravalle, S. Vincenzo Ferreri, S. Giovanni da Capistrano, S. Bernardino da Siena, il Beato Bernardino da Feltre, S. Antonino da Firenze († 1495). [28] Per quanto riguarda la preghiera suddetta (“Amida” che significa “in piedi” poiché va recitata in tale posizione, o “Shemoné Esré” che vuol dire “diciotto” riguardo al numero di benedizioni che la compongono) cfr. J. Bonsirven, Textes rabbiniques des deux premiers siècles chrétiens. Pour servir à l’intelligence du Nouveau Testament, Roma, Pontificio Istituto Biblico, 1955, pp. 2-3. Padre Bonsirven scrive che essa è “la più ufficiale e rappresentativa del Giudaismo. […] Rabano Gamaliele II, fine del I secolo circa, incaricò un certo Simone di modificarla, per escludere dal culto comune i Cristiani, introducendo la dodicesima ‘benedizione’ [in realtà una maledizione] diretta contro di essi” (Ibidem, p. 2). [29] D. A. F. C, art. cit., col. 1660. [30] Ivi, col. 1661. Cfr. anche: M. J. Lagrange, Le messianisme chez les Juifs, Parigi, 1909; A. Vaccari, voce Messianismo, in Enciclopedia Italiana, vol. XXII, pp. 953-958, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1929-1936; J. Bartolocci, Bibliotheca magna rabbinica, Roma, 1683; L. Rupert, L’Eglise et la Synagogue, Paris, 1859; J.-C. Wagenseil, Tela ignea Satanae, hoc est arcani et horribiles judaeorum adversus Christum Deum et christianam religionem, Altdorf, 1681; J. Imbonati, Adventus Messiae, Roma, 1694; J. B. De Rossi, Della vana aspettazione degli Ebrei del loro re Messia, Parma, 1773; J. M. Bauer, Le judaisme comme preuve du christianisme, Parigi, 1866; J. B. De Rossi, Bibliotheca judaica antichristiana, Parma, 1800; J. Darmesteter, Coup d’oeil sur l’histoire du peuple juif, Parigi, 1881. [31] E. Zolli, L’Ebraismo, Roma, Studium, 1953, p. 129.
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