Il
professor Alberto Contri, docente di Comunicazione sociale, traccia
in questa intervista al DiariodelWeb.it un bilancio della campagna elettorale estiva che
volge al termine
Un'inedita
campagna elettorale frettolosa e balneare, quella che ci sta portando
per mano fino alle prossime politiche che si terranno tra dieci
giorni. Ed è già il momento di tirare le fila di queste settimane
di confronti e scontri tra i leader, sotto il profilo delle
dichiarazioni (troppe), dei comizi (tanti) e dei duelli televisivi
(pochi) che li hanno visti protagonisti. Il DiariodelWeb.it ha
chiesto un bilancio al professor Alberto Contri, docente di
Comunicazione sociale.
Professor
Alberto Contri, come ha visto tecnicamente questa campagna
elettorale?
È
il linguaggio della società nel suo complesso che mi sembra molto
scadente, e altrettanto la campagna. Innanzitutto le elezioni sono
arrivate all'improvviso, è scattata la corsa a creare partiti da
zero e c'è stato poco tempo per prepararsi. Quindi bene o male
ciascuno vende la farina che aveva pronta nel suo magazzino.
E
che farina è quella del sacco dei nostri politici?
Le
proposte, gira gira, sono tutte molto generiche, petizioni di
principio sulla riduzione delle tasse e il miglioramento della
sanità. Ma ce ne fosse uno che spieghi come e in che modo vuole
realizzarlo, che scenda nei dettagli.
Che
impressione le ha fatto il dibattito tra Letta e Meloni al
Corriere?
Che
le differenze tra loro sembrano assottigliarsi. Cercano entrambi di
ingraziarsi i poteri forti che stanno oltreoceano o nella finanza,
proclamandosi atlantisti ed europeisti. Anche sul fronte divisivo
dell'obbligo vaccinale c'è stato un grande silenzio, non se n'è
parlato, nonostante dentro gli stessi partiti ci siano posizioni
molto diverse.
E
il Movimento 5 stelle?
Ha
fallito completamente. Mi assumo la responsabilità di quello che sto
per dire: il loro mi sembra un enorme voto di scambio. Ti do il
reddito di cittadinanza se voti per me. Mi sembra di ritornare ai
tempi delle scarpe di Achille Lauro.
Insomma,
le proposte sono vaghe e poco diverse tra loro.
Del
resto i problemi dovrebbero risolverli quelli che li hanno creati?
Ricordo che fino a due mesi fa Draghi diceva che tutto va bene madama
la marchesa. Vi ricordate Cingolani che smentiva qualunque problema
di carattere energetico?
A
proposito di Draghi, come sta gestendo questo periodo?
Sperava
di cavarsela prima di essere seppellito dai guai, invece sono
arrivati subito. E non mi sembra che stia prendendo decisioni
significative, se non piccoli provvedimenti che secondo me non
porteranno a nulla. Gli esperti di economia, per principio contro gli
scostamenti di bilancio, dicono che di fronte ad una situazione così
drammatica bisogna farne uno grosso subito. Altrimenti ce ne toccherà
uno dieci volte più grande dopo, con la cassa integrazione, che per
di più sarà inutile, perché ormai le imprese saranno chiuse.
Sarà
per questo scenario ben poco esaltante che si prevede un grande
astensionismo.
Oltre
al fatto che gli elettori fanno fatica a capire come Calenda e Renzi,
che se le sono dette di tutti i colori fino al giorno prima, poi si
presentano insieme. Si rimane basiti.
O
Di Maio che si allea con il Pd.
Solamente
per avere un posto. Perché se lo danno allo 0,7% gli fanno un
regalo. Detto che ai sondaggi non ci credo più tanto.
Il
modello della grande informazione è rimasto quello del bipolarismo.
Ma
in realtà oggi i poli in campo sono ben più di due.
E
vedo una grande differenza tra i partiti costituiti da tempo e le
nuove formazioni cosiddette del dissenso. Il loro errore è stato
quello di non mettersi d'accordo in un solo partito: d'altra parte
siamo tutti italiani e teniamo al nostro seggiolino. Ma non c'è
stato neanche il tempo di riflettere. Nonostante questo, sono loro a
presentare i programmi più chiari di tutti. Eppure sono e sono state
ampiamente emarginate da qualsiasi dibattito, se non in piccolissimi
spazi, sui giornali nemmeno si nominano, fin quando si potevano
pubblicare i sondaggi non venivano considerate.
Un
esempio?
Il
programma di Lucia Annunziata. I vari leader sono stati intervistati
da lei uno a uno. Quando è toccato a Italia Sovrana e Popolare si
sono presentati in cinque, di fronte a cinque giornalisti. Secondo me
loro hanno tecnicamente sbagliato perché avrebbero dovuto far
parlare un solo portavoce. Ma la conduttrice aveva premesso che
avrebbe solo diretto il traffico, invece si è intromessa e ha fatto
perdere tempo. Ha addirittura apostrofato Toscano accusandolo di
dirigere una televisione «complottista»: ma come si permette? Così
hanno potuto esprimere quattro concettini in venti secondi ciascuno,
anche per colpa di qualche battibecco con i giornalisti. Mi è
sembrata una trappola, un plotone di esecuzione, non ho capito perché
nessuno abbia protestato.
Non
sorprende più di tanto, visto che veniamo da tre anni in cui, prima
con il Covid e poi con la guerra, è successa la stessa cosa: il
dissenso è stato costantemente ridicolizzato quando non
criminalizzato.
Non
c'è spazio per il dissenso. Si ciancia tanto di democrazia, ma io
vedo solo decisioni prese dall'alto. Eppure quelle famose piccole
formazioni, in pochissimi giorni, sono riuscite a raccogliere decine
di migliaia di firme. E vedo le loro piazze veramente piene.
Nonostante i mass media continuino a martellare, l'insoddisfazione
serpeggia.
Mi
sembra di essere tornati ai tempi di Trump o della Brexit. Quando la
grande stampa metteva in guardia dalla calata dei barbari e poi ha
scoperto improvvisamente che votava al contrario di quanto loro si
aspettassero.
Due
esempi recenti: la Francia e la Norvegia, dove le formazioni di
destra estrema hanno preso valanghe di voti. E uno più antico:
quando nacque la Lega nessuno se la filava, sembrava un fenomeno da
baraccone, con le loro corna da vichingo e le ampolle del Po. Ma
bastava parlare con i tassisti per rendersi conto che c'era questo
fenomeno serpeggiante che stava crescendo. Poi sono venuti fuori.
Non
è che questo stesso fenomeno si sta verificando con il
dissenso?
Assolutamente.
Ma con un'aggravante: in quel caso era una forma di ottusità
giornalistica, di fronte ad un fenomeno sociale che puzzava un po' di
grossolanità. Adesso ci sono di mezzo i soldi. Un tempo la
pubblicità era gestita dall'informazione, ora la gestisce. Le uniche
voci fuori dal coro circolano sui social, che però, a parte forse
Twitter e Telegram, sono censurati anche loro.
Basta
questo a ingrossare le loro file?
Ho
intervistato recentemente la storica direttrice delle politiche
sociali del Censis: secondo lei l'area del dissenso, che veniva data
intorno al 5%, ora rasenta il 25-30. Non è detto che si trasformi in
un voto, ma sta crescendo. Secondo un libro recente, «Psicologia del
dissenso», di un giovane psicologo statistico olandese di nome
Desmet, quando si formano questi blocchi, l'area del dissenso
rappresenta circa un quarto dei cittadini.
Anche
stavolta, quindi, si aspetta qualche sorpresa dall'esito delle
urne?
Credo
di sì. Finalmente cadrà qualche testa che si credeva chissà che.
Le sorprese potrebbero arrivare se gli astenuti, invece di restare a
casa, facendo quindi l'interesse di quei pochi che votano, daranno la
loro preferenza al dissenso. Quello sì che sarebbe un voto utile.
Alla
faccia di quello di Letta...
Infatti.