Cattolicesimo
03 settembre 2022 GIUDA/BERGOLIO APOSTOLO E DIAVOLO? - DON CURZIO NITOGLIA RISPONDE ALLE OBIEZIONI AL SUO ARTICOLO
Dopo la pubblicazione dell’articolo GIUDA/BERGOLIO APOSTOLO E DIAVOLO? di Don Curzio Nitoglia in risposta ad un articolo di Andrea Cionci ci sono state delle obiezioni che postiamo di seguito con la conseguente risposta di Don Curzio. *** *** ***
Osservazioni critiche a proposito dell'articolo GIUDA/BERGOLIO APOSTOLO E DIAVOLO? ~ Nello stesso tempo ma non sotto lo stesso rapporto
Luca 22 "Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli".
Oltre al “non praevalebunt”, Nostro Signore Gesù Cristo ha confermato a Pietro due verità fondamentali per noi cattolici, tramite la sua preghiera al Padre, preghiera, che come lo stesso Gesù ci conferma in Giovanni 11,42, viene sempre esaudita, e cioè: 1) che la fede di Pietro non verrà mai meno e 2) che Pietro confermerà sempre i fratelli nella fede.
Inoltre, in Matteo 16:19, “Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che legherai in terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai in terra sarà sciolto nei cieli»”. Come ci viene insegnato in materia dottrinale, legare e sciogliere significano proibire e permettere. Dunque il Papa ha il potere di proibire o permettere, cioè di dichiarare, sancire lecita o illecita una dottrina di fede. Nel campo giuridico e disciplinare, legare e sciogliere significano condannare o assolvere. Quindi, il Papa ha il potere, datogli da Gesù Cristo, di sancire, di confermare come lecito o illecito un comportamento, di
dichiararlo morale o immorale. E questo potere - lo ricordiamo - viene riconosciuto anche in Cielo, cioè da Dio stesso in persona, appunto come Matteo 16 insegna. Se i Papi potessero sbagliarsi nell'esercizio del potere di legare e di sciogliere, se così fosse, il loro errore, l'errore di Pietro, l'errore del Papa, dovrebbe essere ratificato anche da Dio. In questo caso, Dio, per mantenere fede alla sua parola, dovrebbe ratificare un errore, approvare un errore. Ma Dio può errare?
La conclusione dell'articolo di don Curzio sembra dunque azzardata e pericolosa, perché contraddirebbe apertamente Cristo e il Vangelo.
Nessun Papa, da quel che si sa, pare abbia mai inneggiato, in mondovisione, a dei pagani, come ha fatto chi occupa ora la Sede Petrina con la dea satanica Pachamama nel 2019 e poche settimane fa con uno sciamano rivolgendosi in preghiera ad un’altra dea in Canada. Non si ricordano papi che abbiano fatto in modo, tramite un documento (Amoris Laetitia) scritto ambiguamente, di sdoganare il Sacramento del matrimonio arrivando a benedire coppie di tutti i generi... Non si va oltre, non basterebbe questo breve spazio per elencare tutti gli interventi eterodossi di questo Papa.
Conferma i fratelli nella fede! Bisogna vedere quale fede! _________________________________________ Prima obiezione (Lc., XXII) “Ho pregato per te, affinché non venga meno la tua fede, e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli”: a) La fede di Pietro non verrà mai meno; b) Pietro confermerà sempre i fratelli nella fede.
Rispondo Pietro qui va inteso non come dottore privato e nel suo magistero non infallibile, ma come dottore ufficiale della Chiesa nel suo magistero infallibile. Il magistero è infallibile se definisce e obbliga a credere. Il magistero pastorale del Concilio Vaticano II non ha voluto definire né obbligare a credere. È per questo che si possono trovare nei 16 Decreti del Vaticano II numerosi errori1. Così pure si trovano molteplici errori nel magistero postconciliare: per esempio Giovanni Paolo II: “L’Antica Alleanza mai revocata”, 1980; “Ebrei fratelli maggiori dei Cristiani nella fede di Abramo”, 1986; l’abominazione di Assisi, 1986. Infatti Luca XXII specifica: “Una volta ravveduto”: così precisa che Pietro può cadere nell’errore quando non impegna l’infallibilità. Inoltre è divinamente rivelato che San Pietro nel 49, ad Antiochia si comportò in maniera riprovevole e San Paolo lo rimproverò. Questo incidente “riprovevole” lo troviamo rivelato in S. Paolo (Epistola ai Galati, II, 11), il quale afferma: «Ho resistito in faccia a Pietro, poiché era reprensibile». Dunque non si può negare la resistenza di Paolo a Pietro perché è divinamente rivelata: “Resistetti in faccia a Cefa, poiché era reprensibile […] alla presenza di tutti” (Galati, II, 11, 14). Certamente il Papa è il Vicario di Cristo, ma non può mutare l’autorità che Gesù gli ha dato come se il Papa fosse il Capo di Cristo e non viceversa2. Il Pontefice Romano non può pubblicare nuovi articoli di Fede o di Morale, abrogare quelli esistenti, istituire nuovi Sacramenti, perché tutto ciò rientra nella Potestas excellentiae dovuta solo a Cristo in quanto Dio; mentre il Papa è il Suo Vicario e non può, perciò, contraddire le leggi di Cristo: il Sommo Pontefice non può far leggi, canoni, o stabilire alcunché contro la divina Scrittura, la dottrina del Vangelo”. Perciò obbedire ai voleri di papa Bergoglio che sono in contrasto con la Legge di Dio (cfr. Amoris laetitia, 19. III. 2016) non sarebbe virtù ma peccato di Servilismo. Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange citando la frase di S. Tommaso d’Aquino: “L’obbedienza è perfetta quando ci si sottomette nelle cose permesse; sarebbe indiscreta qualora portasse l’anima a sottomettersi nelle cose illecite” (S. Th., II-II, q. 104, a. 5, ad 3), insegna che “l’obbedienza deve essere cieca; basta essere certi che l’ordine datoci non è contrario alla Legge divina, né colpevole, né contrario all’ordine espresso da un autorità più alta”3. Quindi se l’ordine dato da un Papa non è lecito (per esempio, amministrare i Sacramenti ai peccatori pubblici non pentiti, come ha chiesto papa Bergoglio in Amoris laetitia, 19. III. 2016; l’obbligo di non celebrare la Messa tradizionale per adottare quella filo/luterana di Paolo VI, Lettera di Paolo VI a monsignor Lefebvre del 1976; Traditionis custodes, 16. VII. 2021) non si può e non si deve obbedire, altrimenti l’«obbedienza» sarebbe non una virtù, ma un atto illecito e indiscreto, ossia un peccato almeno materiale. Il Papa è soggetto di un potere ministeriale, ossia agisce come Ministro e Vicario di Cristo, non come Superiore di Gesù; il Pontefice non è la regola ultima e assoluta della Fede, dei Costumi e del Diritto, ma è subordinato alla Legge e alla Rivelazione divina come pure al Magistero pontificio infallibile o costante della Chiesa (Pio IX, Lettera Tuas libenter, 1863). È per questo motivo che si può e si deve resistere alle “novità” di papa Bergoglio quando si distaccano dall’insegnamento tradizionale e costante della Chiesa. È chiaro che Bergoglio non può esigere di cambiare la Verità dogmatico/morale e liturgica rivelata dal Signore.
Seconda obiezione Mt., XVI, 19: “Tutto ciò che tu legherai …” .
Rispondo Occorre evitare l’errore che fa del Papa un Assoluto e non un ente creato, un Fine e non un mezzo, un Soggetto indipendente (absolutus = sciolto) da tutto e da tutti. Niente al mondo ha la dote dell’Assoluto. La Chiesa non fa eccezione, non la sua Tradizione, non il suo Magistero e neppure la Gerarchia, Papa compreso. Solo Dio è l’unica realtà ultima o assoluta, infinita e increata. Il Papa è il Vicario di Cristo e non viceversa: perciò il suo insegnamento non può contraddire quello di Gesù, ma lo deve proporre, spiegare e approfondire. Il Papa non ha ricevuto il potere per cambiare la fede o la morale della Chiesa ma per difenderle ed esporle. Troppo spesso, però, si fa del Papa un valore a sé (absolutus) e si fa appello a esso per troncare sul nascere ogni discussione, come se il suo Magistero davanti a sé non avesse la mole enorme della Tradizione da accogliere, interpretare e ritrasmettere nella sua integrità e fedeltà, ossia come Dio l’ha trasmessa. Il procedimento sbrigativo oggi invalso è, più o meno, il seguente: Cristo promise al Papa l’invio dello Spirito Santo e la sua assistenza; dunque, l’errore del Pontefice è scongiurato in partenza, senza condizioni, le quali invece sono richieste e definite dal Concilio Vaticano I. Quando un Papa, non volendo essere munito del carisma dell’infallibilità si allontana dalla retta dottrina dogmatica, morale o liturgica (vedi la Nuova Messa di Paolo VI nel 1969); non obbliga Dio a ratificare il suo errore, che resta un errore, anche se è proferito dal Papa e quindi non è approvato da Dio, anzi è riprovato. Non si può fare di Amoris laetitia l’unico errore pontificio; basta risalire al 1962/65 con i Decreti del Vaticano II; al 1969 con il Novus Ordo Missae; ai mea culpa di Giovanni Paolo II per tutto il corso dell’anno 2000. Né l’unico atto idolatrico è stato quello del Pachamama ma, Giovanni Paolo II si è fatto imporre da una sacerdotessa Shiva lo sterco “sacro” di vacca, ha baciato il Corano…
Come comportarsi in questi casi? Dom Guéranger enuncia un principio generale: «Quando il pastore si cambia in lupo, tocca soprattutto al gregge difendersi. Di regola, senza dubbio, la dottrina discende dai Vescovi ai fedeli; e non devono i sudditi giudicare nel campo della fede i loro capi. Ma nel tesoro della Rivelazione vi sono dei punti essenziali, dei quali ogni cristiano, per il fatto stesso che è cristiano, deve avere la necessaria conoscenza e la dovuta custodia4. Il principio non muta, sia che si tratti di verità da credere che di norme morali da seguire, sia di morale che di dogma. I tradimenti simili a quelli di Nestorio, gli sbandamenti simili a quelli di Onorio e le “eccesive prudenze” simili a quelle di S. Pietro ad Antiochia non sono frequenti nella Chiesa; tuttavia può darsi che alcuni pastori eccezionalmente tacciano, per un motivo o per l'altro, in talune circostanze in cui la stessa religione verrebbe a essere coinvolta. In tali congiunture, i veri fedeli sono quelli che attingono solo nel loro battesimo l'ispirazione della loro linea di condotta; non i pusillanimi che, sotto lo specioso pretesto della sottomissione ai poteri costituiti, attendono per aderire al nemico o per opporre alle sue imprese un programma che non è affatto necessario e che non si deve dare loro». (Ivi). Detto questo, prendiamo come norma il seguente principio: “Quando è evidente che una novità si allontana dalla dottrina tradizionale, è certo che non deve essere ammessa” (monsignor Antonio De Castro Mayer, Lettera pastorale Aggiornamento e Tradizione, 11 aprile 1971, Diocesi di Campos in Brasile). Quindi la Gerarchia può eccezionalmente errare e in tal caso si può lecitamente resistere a essa pubblicamente, ma con il rispetto dovuto all’Autorità. Infatti, anche se il Papa, ossia il successore di Pietro attuale, pronuncia oggettivamente eresie materiali in questioni di Fede e di Morale, non significa che la Chiesa in sé sia stata distrutta e vinta dalle “porte degli Inferi” (Mt., XVI, 18). Bisogna sempre distinguere gli uomini di Chiesa (“in capite et in membris”) dalla Chiesa in se stessa. Occorre continuare a fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto prima che l’errore e la confusione penetrassero nella quasi totalità dall’ambiente ecclesiastico (S. Vincenzo da Lerino, Commonitorium, III, 5) e credere ciò che la Chiesa ha sempre, ovunque insegnato universalmente (“quod semper, ubique et ab omnibus”).
Conclusione Il Dottore Angelico, in diverse sue opere, insegna che in casi estremi è lecito resistere pubblicamente ad una decisione papale, come San Paolo resistette in faccia a San Pietro: «Essendovi un pericolo prossimo per la Fede, i prelati devono essere ripresi, perfino pubblicamente, da parte dei loro soggetti. Così San Paolo, che era soggetto a San Pietro, lo riprese pubblicamente, a motivo di un pericolo imminente di scandalo in materia di Fede. E, come dice il commento di Sant’Agostino, “lo stesso San Pietro diede l’esempio a coloro che governano, affinché essi, se mai si allontanassero dalla retta strada, non rifiutino come indebita una correzione venuta anche dai loro soggetti” (ad Gal. 2, 14)»5. Franciscus De Vitoria scrive: «Secondo la legge naturale è lecito respingere la violenza con la violenza. Ora, con ordini e dispense abusive, il Papa esercita una violenza, perché agisce contro la legge. Quindi è lecito resistergli. Come osserva il Gaetano, non facciamo questa affermazione perché qualcuno abbia diritto di giudicare il Papa o abbia autorità su di lui, ma perché è lecito difendersi. Chiunque, infatti, ha il diritto di resistere ad un atto ingiusto, di cercare di impedirlo e di difendersi»6. Francisco Suarez: «Se [il Prelato] emana un ordine contrario ai buoni costumi, non gli si deve ubbidire: se tenta di fare qualcosa di manifestamente contrario alla giustizia e al bene comune, sarà lecito resistergli; se attaccherà con la forza, potrà essere respinto con la forza, con quella moderazione propria della legittima difesa»7. San Roberto Bellarmino: «Com’è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, così pure è lecito resistere a quello che aggredisce le anime o perturba l’ordine civile, o, soprattutto, a quello che tenta di distruggere la Chiesa. Dico che è lecito resistergli non facendo quello che ordina e impedendo la esecuzione della sua volontà: non è però lecito giudicarlo, punirlo e deporlo, poiché questi atti sono propri di un superiore»8.
Don Curzio Nitoglia
1 Collegialità episcopale (Lumen gentium); panecumenismo (Unitatis redintegratio, Nostra aetate); le due fonti della Rivelazione ridotte ad una: la “sola Scrittura” (Dei Verbum); il pancristismo teilhardiano (Gaudium et spes); la libertà delle false religioni (Dignitatis humanae). 2 Juan de Torquemada, Summa de Ecclesia, III, 50; II, 104, f. 244-245r; San Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 64, a. 5, ad 2um. 3 R. Garrigou-Lagrange, Vita spirituale, Roma, Città Nuova, 1965, p. 163; II ed. Proceno – Viterbo, Effedieffe, 2019. 4 Dal punto di vista liturgico si pensi al Novus Ordo Missae del 1969, che “si allontana in maniera impressionante dalla teologia cattolica sul Sacrificio della Messa come fu definita dal Concilio di Trento” (card. Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci, Lettera di presentazione a Paolo VI del Breve Esame Critico del NOM). Son casi in cui è lecito e doveroso sospendere l’assenso alle decisioni novatrici del magistero pastorale o non infallibile del Concilio Vaticano II e del post-concilio. 5 San Tommaso d’Aquino, Summa Theologie, II-II , q. 33, a. 4, ad 2. 6 Franciscus De Vitoria, Obras de Francisco de Vitoria, BAC, Madrid 1960, pp. 486-487. 7 Franciscus Suarez, De Fide, in Opera omnia, cit., Parigi 1858, tomo XII, disp. X, sect. VI, n. 16. 8 San Roberto Bellarmino, De Romano Pontifice, in Opera omnia, Battezzati, Milano 1857, vol. I, lib. II, c. 29. ... |