di
Roberto PECCHIOLI
Il
noto sondaggista Enrico Crespi sostiene che alle elezioni politiche
del 25 settembre l’astensione potrebbe raggiungere il 50 per cento.
Afferma altresì che la percentuale di cittadini davvero interessati
al processo elettorale non supera il dieci per cento. Forse esagera,
ma anche un acuto indagatore di flussi elettorali come Renato
Mannheimer indica un assenteismo record, soprattutto tra i giovani.
Il partito che non c’è- quello di chi non andrà a votare – sarà
di gran lunga il più numeroso.
Un
ottimo affare per il sistema, che sull’indifferenza – più o meno
ostile- dei cittadini basa buona parte del suo potere. I politici e i
loro danti causa, i poteri finanziari e le centrali transnazionali,
si fregano le mani soddisfatti: meno votanti, meno oppositori
visibili. Il sistema liberale si basa esattamente sulla
depoliticizzazione delle masse, ma non si deve dire. La più
importante vittoria del sistema è l’assenza dei giovani: missione
compiuta.
Lo
sanno bene gli organizzatori delle manifestazioni dell’ultimo
biennio a favore delle libertà e contro il green
pass:
i capelli grigi dominavano. Le ultime generazioni sono state
condizionate al conformismo (travestito da finta trasgressione
funzionale al sistema) e alle dipendenze. Dallo sballo, da sostanze
tossiche, ma anche da specchietti per le allodole come la passione
per i marchi, le griffes,
la cura maniacale del corpo, l’individualismo più greve spacciato
per libertà.
Il
circo elettorale mostra tutta la sua inanità, la sua natura di
stanca procedura dominata dal denaro, volta a far legittimare dal
popolo un sistema che chiude inesorabilmente gli spazi della libertà,
per sua natura critica, contrapposizione, discussione. E’ il
paradosso della società aperta teorizzata da Karl Popper, cara ai
finti filantropi e veri manipolatori delle coscienze come George
Soros. La società è aperta, ma solo a chi ne condivide i
fondamenti. Per gli altri c’è l’accusa di intolleranza, bollata
come “discorso di odio” punito per legge. Nessuna differenza con
i regimi del passato: nessuno ha mai vietato di parlar bene di chi
comanda….
L’esito
elettorale è una partita truccata il cui esito è il lancio di una
moneta la cui regola è: testa vinco io, croce, perdi tu. Tutti i
partecipanti alla corsa dichiarano gli stessi obiettivi, condividono
la medesima agenda eterodiretta. Agli oppositori e alle tesi
divergenti è concesso lo spazio minimo e contingentato- gravato da
sarcasmo, supponenza, non dissimulato fastidio- per poter affermare
che libertà e democrazia formale esistono ancora.
Sconfitto
è il popolo italiano, i suoi interessi e il suo futuro. Un popolo
privato di coscienza comune, incapace di uno scatto di orgoglio e di
dignità, impoverito e ignorante. Due terzi di cittadini incapaci di
comprendere un testo di media difficoltà: qualcuno ha lavorato per
fare di noi una plebe senz’anima, egoista, con lo sguardo miope
fisso al presente e puntato verso il basso. Questa è la fotografia
dell’Italia reale. Ovvio che vinca chi tiene in pugno le classi
dirigenti finanziarie, economiche, culturali e politiche, in ordine
decrescente di importanza.
Il
nostro popolo è docile, male informato e poco incline al pensiero
critico, ma gli resta l’istinto. Ha capito che la politica non è
la soluzione bensì il problema e si comporta di conseguenza. Non è
necessario compulsare i programmi per rendersi conto che sulle scelte
economiche, finanziarie, l’agenda internazionale, la politica
energetica, l’inflazione – balzata al dieci per cento – i temi
del lavoro, sulle scelte sanitarie (virus, vaccini e green
pass)
le ricette sono pressoché sovrapponibili. La lotta è tra un gatto
grigio e un grigio gatto. La posta in palio riguarda gruppi– bande
o cricche- in lotta per occupare le numerose poltrone che contano,
dal parlamento in giù, tra enti pubblici, aziende partecipate e
altri ben remunerati centri di potere.
Se
la sbrighino tra loro, pensano milioni di persone e non si può dar
loro torto. Lui è il gatto e io la volpe, siamo in società, dice la
canzone di Edoardo Bennato. Di noi ti puoi fidar, prosegue. Molta
gente non si fida più. Tuttavia un pezzo di Italia – i ceti
garantiti, chi ha rendite, chi vive del denaro di tutti- ha ogni
interesse al proseguimento del presente stato di cose. La disgrazia è
che a votare saranno soprattutto loro, le cui contrapposizioni sono
interne al sistema. La zuffa è per la divisione della torta. Ecco
perché è indifferente che vinca testa o croce, le facce della
stessa moneta, posseduta e controllata da padroni che non si
presentano agli elettori. Comandano tenendo al guinzaglio gli uni e
gli altri.
La
destra, il centro e la sinistra del sistema, mille sfumature di
grigio che non cambiano l’aria che tira, e soprattutto evitano come
la peste di dire sgradevoli verità. La più spaventosa è che in
alto ci vogliono morti: epidemie, inoculazioni di prodotti
sconosciuti (a noi), propaganda a favore dell’eutanasia, mancate
cure. Il più grande ospedale della Liguria ha rinviato di altri tre
mesi gli interventi chirurgici “non essenziali”. L’esito sarà
una mortalità più elevata e, per chi può, il ricorso alla sanità
privata.
Non
è un caso che manchino medici, infermieri, tecnici di laboratorio,
né assunti né formati, mentre le università sfornano a ritmo
incessante laureati in giurisprudenza, scienze della comunicazione,
legioni di sociologi ed esperti delle più bizzarre discipline. I
costi relativi alla sanità potrebbero essere facilmente reperiti
tagliando le spese militari per le missioni all’estero in qualità
di camerieri (paganti) dell’impero americano, aiuti e armi
all’Ucraina e sfrondando gli enormi costi dell’accoglienza di
clandestini indesiderati. Se non avviene, è perché “vuolsi così
dove si puote ciò che si vuole”.
Comunque,
su questa terra siamo troppi, parola del ministro Cingolani, voce dal
sen fuggita a dimostrazione che il potere vuole la nostra morte. Dai
fatti “occorre trarre significazione”, per Nicolò Machiavelli,
ma la volontà e la capacità di farlo sembrano scomparse. Intanto si
sdogana la farina di insetti ad uso alimentare e il prelibato cibo
del futuro è nel menù degli asili emiliani e romagnoli.
Delikatessen
progressiste.
Nessuno
dice che la crisi energetica è iniziata ben prima della guerra e
delle rovinose auto-sanzioni, tanto è vero che Eni- partecipata
dallo Stato ma in mano a fondi speculativi- ha realizzato sette
miliardi di profitti in pochi mesi. Tacciono sulle triangolazioni per
cui il gas russo arriva a prezzi maggiorati dopo essere transitato
dai paesi che intrattengono relazioni commerciali con Mosca. Sulla
nostra pelle. Le bollette non sono impazzite: aumentano in base a un
disegno preciso di impoverimento di massa e di distruzione del
tessuto produttivo.
Il
potere sfrutta l’ingenuità, la buona fede popolare, incredula che
i suoi capi, per quanto pessimi, siano criminali e i governi abbiano
per scopo il male dei popoli. La nuda analisi dimostra che è così,
ma non vi è peggior sordo di chi non può sentire, assordato da una
comunicazione a senso unico, in cui spettacolo, pubblicità,
propaganda, indottrinamento e realtà sono indistinguibili.
Quali
cambiamenti possono determinare le elezioni di un paese periferico,
privo di sovranità economica, militare, monetaria, energetica come
l’Italia? Tutt’al più, una modesta ridistribuzione delle poche
risorse disponibili (il resto è di lorsignori, a prescindere) a
favore dei ceti o gruppi sociali di riferimento della parte vincente.
Nessuno
dice verità evidenti se non avessimo gli occhi chiusi e le orecchie
tappate, ad esempio che il mitico Piano di Resilienza è un prestito
di denaro creato dal nulla dalle istituzioni finanziarie che ci
tengono legati, da restituire con interessi, dopo essere stato
utilizzato secondo la volontà del prestatore, non del mutuatario.
Nel frattempo, inverno al freddo, serrande abbassate e la beffa:
l’Istat afferma che la disoccupazione è calata a luglio. Per
merito della stagione turistica, conteggiando chi ha svolto attività
per poche ore e mettendo nel conto tutte le forme –assai
fantasiose- di precariato inventate dagli economisti di servizio. Si
tace anche sui redditi di troppi lavoratori, così bassi che è
preferibile il reddito di cittadinanza, rivelatosi, al netto di
truffe e illegalità, un potente incentivo all’ozio o al lavoro
nero.
Nessuno
parla della vergogna della privatizzazione di beni comuni come
l’acqua; gli adoratori della costituzione “più bella del mondo”
dimenticano modifiche terribili come il pareggio di bilancio e solo
pochi outsider
ignorati o derisi puntano il dito contro il divieto europeo degli
“aiuti di Stato”, ovvero la proibizione di una politica
industriale e sociale autonoma per spendere come ci pare il denaro
frutto del nostro lavoro.
Nessuno
spiega come affrontare l’avanzata dei robot e dell’intelligenza
artificiale che distrugge altri posti di lavoro; i temi sensibili
sono nascosti come polvere sotto il tappeto. Gli uni si baloccano
promettendo una mirabolante diminuzione delle tasse- giusta e
auspicabile, ma impossibile nel merito e nel metodo, giacché la
tassa piatta, uguale per tutti (la chiamano flat
tax
così non capiamo il senso), per quante contorsioni verbali inventino
i suoi promotori, viola la progressività dell’imposizione sancita
dalla costituzione. La Corte Costituzionale, presieduta dall’eterno
Giuliano Amato- un pilastro dei poteri forti-avrà gioco facile a
cassarla. Altri esaltano le devianze, come Enrico Letta in un
improvvido tweet,
e vogliono togliere i figli ai genitori fin dall’asilo.
Indottrinati prima di imparare a leggere e scrivere, il sogno
totalitario si fa realtà.
La
giungla delle leggi sul lavoro è intoccabile quanto il potere delle
burocrazie, rifugio e privilegio dei folti ceti garantiti, entusiasti
sostenitori del sistema vigente. Silenzio raggelante sulla sovranità
monetaria: nessuno tocchi le sacre “autorità monetarie”; nessuno
dica che il dramma del debito impagabile, l’impossibilità di una
politica monetaria, la corda stretta attorno al collo di Stati,
popoli, governi, imprese, cittadini è il frutto della follia
criminale di aver affidato a banche private l’emissione monetaria.
Nessuno
osi affermare che Mario Draghi, il banchiere dei banchieri, il
direttore generale del Tesoro al tempo della svendita dei beni
pubblici nel 1992 successiva al crollo della lira provocato dalla
speculazione, non ha affatto il compito di salvare l’Italia, ma di
consegnarla ai suoi colleghi finanzieri e alle oligarchie del denaro.
L’agenda Draghi.
Scarsissimo
o nullo anche il dibattito sull’identità digitale dei cittadini-
cioè la riduzione a cifra di ognuno di noi- in Italia affidata al
ministro Colao, altro esponente dell’iperclasse globalista.
Silenzio sul passaporto vaccinale che la colonia Italia chiama
allegramente green
pass,
ovvero sulla concreta libertà di movimento e di vita, la proprietà
del corpo fisico rivendicata già dal diritto romano (habeas
corpus).
Di
che cosa stanno parlando, dunque, gli aspiranti a sedere in
parlamento e formare la governance,
l’amministrazione dell’esistente non per conto degli elettori ma
dei poteri di fatto, il pilota automatico evocato con sincerità dal
Drago? La classe politica è piena di seguaci di Ludwig Von
Wittgenstein, per il quale “ciò
di cui non si può parlare si deve tacere”,
un invito al silenzio sconcertante in campo speculativo,
intollerabile in politica.
Nessuno
stupore se le verità accuratamente taciute celano il gigantesco
inganno del potere; nessuna meraviglia se la democrazia
rappresentativa rappresenta tutt’altro che il popolo sovrano e il
cappio al collo del nostro e popolo conduce all’impiccagione.
Sceglieremo
tra gatti grigi e grigi gatti. Testa, vinceranno loro, croce
perderemo noi. TINA, there
is no alternative,
non c’è alternativa, dicono. Come alla morte…