di
Roberto PECCHIOLI
Qualche
tempo fa rimasi particolarmente colpito da una frase di un amico, un
uomo di fede, di cultura e di cuore: c’è bisogno di uomini buoni. È così; il trionfo della volgarità, del malaffare, dell’invidia
e della cupidigia, dell’indifferenza e della corsa sfrenata verso
la ricchezza, il piacere effimero, lo sfruttamento e il successo sono
soprattutto la vittoria di spiriti malvagi.
A
Ferragosto siamo sotto l’ombrellone o tra i paesaggi maestosi della
montagna. Se si ha la presunzione di disturbare le ferie e il riposo
dei lettori, bisogna farlo con leggerezza, con il sorriso sulle
labbra, con lo sguardo rivolto al bene. Nessuno ci sembra incarnare
meglio di Gilbert K. Chesterton queste aspirazioni, nella speranza
che sussista voglia della verità e della bontà scaturita dallo
sguardo che scorge l’impronta del trascendente. Peraltro, fu un
ateo, Martin Heidegger, ad affermare, nella sua intervista estrema,
che solo un Dio ci può salvare.
Pochi
hanno saputo parlare all’anima- ma anche al cervello e al cuore-
come Chesterton, il grande scrittore e intellettuale inglese, del
quale in queste settimane ricorre il centenario della conversione al
cattolicesimo, maturata con gli amici padri O’ Connor e Mac Nabb,
oltreché con il fraterno sodale di tutta la vita, Hilaire Belloc.
Per
questo suggeriamo la lettura di questo straordinario innamorato della
vita, di Dio, degli uomini e del buon cibo (era un omone di un metro
e novanta e di centotrenta chili), e di lasciarsi sorprendere dalla
vastità della sua produzione intellettuale. Scrisse un centinaio di
romanzi, molti racconti e migliaia e migliaia di articoli e saggi,
riuscendo anche a fondare una teoria politica ed economica, il
distributismo. Per molti è un maestro senza albagia e senza senso di
superiorità. Per qualcuno è un santo: vi è una causa di
canonizzazione che lo riguarda, adesso bloccata. Anche per gli
aspiranti santi vige la correttezza politica, benché pare che in
privato l’allora cardinale Bergoglio si sia espresso favorevolmente
alla santità di Chesterton.
E’
un piacere aggirarsi tra le sue intuizioni, i fulminanti aforismi,
gli insegnamenti vivi e attuali, universali e profetici. Leggere o
rileggere Chesterton è un piacere sottile, un’oasi di serenità e
di forza, un richiamo alla bontà che sembra scomparsa dal nostro
orizzonte. Scrisse Jorge Luis Borges, che “la letteratura è una
delle forme della felicità; forse nessuno scrittore mi ha dato tante
ore felici come Chesterton.”
Poco
ci importa l’eventuale santità di Chesterton. Conta che sia stato
un uomo buono e uno scrittore esemplare il cui insegnamento ha
portato – o riportato – molti alla fede e la cui lettura ha
offerto diletto e stimolato la riflessione a milioni di persone di
ogni paese e condizione. Il suo personaggio più noto è Padre Brown,
un parroco cattolico di provincia in una nazione a maggioranza
anglicana. Buona parte dei racconti sono ancora inediti, sepolti
nella grande massa di fogli, appunti e scritti incompiuti che lasciò.
Il
personaggio di padre Brown impegnò Chesterton per venticinque anni,
dal 1911 sino al 1936, quando morì. Il piccolo prete con il cappello
a cilindro a larga tesa e l’ombrello al braccio è un amante della
verità, un uomo convinto che il bene possa vincere sul male. Le sue
indagini non hanno nulla di scientifico, si basano sulla conoscenza
degli uomini e sulla capacità di immedesimazione anche nei lati più
oscuri e nelle personalità più negative.
E’
significativo l’interesse per il personaggio mostrato da un
intellettuale di spiccata acutezza, Antonio Gramsci. Per il pensatore
sardo Padre Brown è l’opposto di Sherlock Holmes, “un cattolico
che prende in giro il modo di pensare meccanico dei protestanti.
Sherlock Holmes è il poliziotto protestante che trova il bandolo di
una matassa criminale partendo dall'esterno, basandosi sulla scienza,
sul metodo sperimentale, sull'induzione. Padre Brown è il prete
cattolico, che attraverso le raffinate esperienze psicologiche date
dalla confessione e dal lavorio di casistica morale dei padri, pur
senza trascurare la scienza e l'esperienza, ma basandosi specialmente
sulla deduzione e sull'introspezione, batte Sherlock Holmes in pieno,
lo fa apparire un ragazzetto pretenzioso, ne mostra l'angustia e la
meschinità.” D'altronde, conclude Gramsci, Chesterton è un grande
artista, a differenza di Arthur Conan Doyle, il creatore
dell’infallibile poliziotto di Baker Street.
Colpisce
in Chesterton la costante tensione morale, la spiritualità intensa e
insieme sorridente, mai incline al moralismo o all’abbandono
mistico, la semplicità unità alla profondità. Tra un libro e un
articolo della sua sterminata produzione, trovò il tempo di scrivere
un intenso saggio su Tommaso d’Aquino, che chiamava, con affettuosa
familiarità Tommy. Numerose sono le sue riflessioni diventate frasi
celebri, perle di saggezza, spunti ineludibili di riflessione venate
di ironia, intrise di una vasta cultura mai ostentata, tra sapienza e
bontà.
Ci
piace ricordarne alcune, esemplari per la loro universalità e
perennità. “Tutti gli educatori sono assolutamente dogmatici e
autoritari. Non può esistere l’educazione libera, perché se si
lascia un bambino libero non lo si educa”. Con
l’espediente della libertà astratta ci hanno privati della cultura
e dell’istruzione. Scatta l’allarme di Chesterton: “senza
istruzione corriamo il rischio di prendere sul serio le persone
istruite.” Il segno di quella mediocrità dilagante che per lui
“consiste
probabilmente nel trovarsi davanti alla grandezza e non rendersene
conto.” Colpisce il britannico understatement
dell’avverbio probabilmente, ma è un fatto che la mediocrità, la
sciatteria, l’equivalenza, il disprezzo per l’eccellenza siano
tra le caratteristiche della modernità, a cui non sono estranei
alcuni elementi della cultura cattolica.
Il
mondo di Chesterton ha al vertice Dio e al centro la famiglia: “chi
parla contro la famiglia non sa quello che fa, perché non sa che
cosa disfa.” La storia dell’ultimo mezzo secolo ha dimostrato che
i distruttori della famiglia sapevano assai bene quello che facevano.
Il loro obiettivo era precisamente la decostruzione di uno dei
fondamenti della persona umana. Eppure “la famiglia è la
prova
della libertà, perché è l'unica cosa che l'uomo libero fa da sé e
per sé. “C’è di più. “Il
luogo in cui nascono i bambini e gli uomini muoiono, dove la libertà
e l'amore fioriscono, non è un ufficio, un negozio o una fabbrica.
Qui vedo l’importanza della famiglia.”
Il
mondo nel frattempo è impazzito, ma “pazzo non è chi ha perduto
la ragione, ma colui che ha perduto tutto, tranne la ragione. “La
ragione chiusa, materialista, ottusa che riconosce solo se stessa e
impedisce di cogliere l’essenziale, invisibile al microscopio degli
scienziati. Greve e senza speranza, arrogante e insieme disperato è
il materialismo che Chesterton, morto nel 1936, ha intuito, sfiorato,
ma – per sua fortuna- non ha visto dispiegarsi fino in fondo. Il
fatto è, spiega, che “quando si smette di credere in Dio, si è
disposti a credere a qualsiasi cosa.” Una fotografia profetica
dell’uomo occidentale contemporaneo, che crede a idoli di
paccottiglia, miraggi, magie da spettacolo di varietà, diritti
civili (e non…); che presta fede -se la parola ha ancora senso- a
qualunque novità, sciocchezza, credenza, diffusa dai padroni della
comunicazione.
Chesterton
visse
ina società a cavallo tra un puritanesimo di facciata, sottoposta
alle regole soffocanti di una moralina accigliata e superficiale che
sarebbe presto esplosa nella miscredenza, e il montante relativismo
morale e pratico. Fu uomo di minoranza anche nel tentativo generoso
di creare – con concreto realismo- una società più giusta in cui
la ricchezza fosse distribuita al maggior numero di persone e nella
quale la proprietà – della terra, della casa, della bottega- fosse
il luogo della responsabilità e di un benessere che non si chiudesse
in egoistico “ben-avere” come nel capitalismo.
Per
Chesterton il problema è che i capitalisti sono troppo pochi, ovvero
che la ricchezza e il potere sono concentrati in pochissime mani. Che
direbbe del capitalismo ultimo, padrone di tutto,
dell’irresponsabilità e del disprezzo per l’uomo contenuto nel
tragico slogan “non avrete nulla e sarete felici”? Chesterton,
uomo pratico, sapeva che alcuni uomini non hanno bisogno, per essere,
di avere. Sapeva tuttavia che la personalità umana cresce nella
quotidianità a cui serve la responsabilità, l’amore per ciò che
si fa e si costruisce. Per questo voleva un mondo di proprietari, non
di proletari o di monadi dipendenti dal consumo, dalle passioni,
dalle mode.
Profondamente
avverso al marxismo, lo era anche al materialismo elitario di chi
vuole cambiare la natura dell’uomo. “Marx chiamava la fede
l’oppio dei popoli, e io la chiamerei piuttosto il vino dei popoli.
In questo caso è interessante mettere a paragone il logico con il
letterato, che da sempre è più logico del logico. Quando Aldous
Huxley creò la sua orribile utopia materialistica fu particolarmente
attento ad evitare questa contraddizione. Il punto di Brave
new World
(Il mondo nuovo) di Huxley non è che la religione è l’oppio dei
popoli. Il punto è che l’oppio è la religione dei popoli. “Si
riferiva alla droga “benefica”, il soma, che imposta per
tranquillizzare il cuore eternamente inquieto dell’uomo.
Diffidente
verso ogni tentativo di cambiare l’essenza della creatura umana, vi
dedicò un racconto, L’uomo che fu Giovedì, la bizzarra storia di
un gruppo di sette anarchici decisi a cambiare il mondo per
conseguire la vera felicità, che risultano tutti, tranne uno,
infiltrati del governo intenti non a lottare contro il male, ma a
combattersi tra loro. Un’allegoria in cui, alla fine, il bene può
trionfare; è questo il filo conduttore, intimamente religioso, del
pensiero di Chesterton.
Qualcosa
di profondo stava già accadendo all’uomo del suo tempo, che le
sensibili antenne dell’artista percepivano al di là delle
convinzioni spirituali. Nasceva – l’artista lo capiva meglio
dell’uomo di fede- un’umanità nuova insensibile alla verità,
oltreché allo spirito. Perciò Chesterton, consapevole dell’attacco
ai fondamenti della realtà, scrisse, con il tono profetico tanto
distante dall’animo suo, un brano di cui avvertiamo la portata solo
da pochi anni:” fuochi verranno attizzati per testimoniare che due
più due fa quattro. Spade verranno sguainate per dimostrare che le
foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere non solo
la incredibile virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana,
ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, incredibile
universo che ci fissa in volto”. Quel momento è giunto.