di
Roberto PECCHIOLI
Lo
scrivano ne ha abbastanza di essere gentile, di parlare avendo cura
di non offendere. È il momento dello spadone, non del fioretto. È
tempo di chiamare le cose con il loro nome, senza infingimenti,
fumisterie, e perdere il timore di ferire le delicate orecchie di un
tempo infame. È l’ora di abbandonare l’Occidente moribondo e
navigare per l’alto mare aperto. È questa civilizzazione
agonizzante ad aver abbandonato se stessa; non resta che lasciare la
scialuppa e provare- rari nantes in gurgite vasto- a
raggiungere Itaca con le ultime forze.
La
morte del povero Archie- il bambino inglese a cui le “autorità”
hanno staccato la spina, decretandone la morte- si chiama omicidio,
assassinio, uccisione. Hanno osato asserire che la morte del
dodicenne è stata decisa “nel suo interesse”. La menzogna come
criterio, l’assassinio del debole come metodo. I valori
dell’Occidente: gli interessi e il profitto della classe dirigente.
Poco è cambiato dai tempi della Compagnia delle Indie, salvo il
nome, che adesso è democrazia.
I
continui sbarchi di africani sulle nostre coste, con l’avallo del
governo e il favoreggiamento di ricche organizzazioni pagate da
filantropi alla George Soros, si chiama invasione. Preferire la
propria gente, i propri costumi a quelli stranieri non è razzismo, è
senso comune di ogni popolo vivo. Essere è difendersi, diceva Ramiro
De Maeztu. Ma che dire se chi bombarda Gaza si difende, mentre chi
lancia razzi dall’altro lato è un terrorista? L’eutanasia (la
buona morte…) al di là di casi pietosi sui quali prospera una
narrazione truffaldina, è l’omicidio di un poveretto disperato in
quanto fragile, ammalato, povero, solo, depresso.
L’aborto
non è un diritto universale, ma una facoltà attribuita dalle leggi
contemporanee. La denatalità voluta, perseguita, propagandata porta
miseria, sterilità morale, culturale, pulsioni egoistiche e di
morte, inevitabile sostituzione etnica, fine della civilizzazione
d’origine. La “gestazione per altri” - l’utero in affitto -
non è un atto di altruismo, ma un ignobile sfruttamento del ricco
sul povero. L’ecologismo trasformato in rancore contro l’uomo è
un’ideologia mortuaria promossa da oligarchie decise a porre a
carico delle masse le ristrutturazioni economiche e antropologiche
decise sulla nostra pelle.
Governare
attraverso la paura del virus, imporre trattamenti sanitari di cui è
dimostrata la scarsa affidabilità, chiamati vaccini anziché terapie
geniche dagli effetti non conosciuti, si chiama dittatura. Si chiama
censura l’esclusione dal dibattito delle idee sgradite e
l’impossibilità di accedere allo spazio pubblico per chi porta
avanti temi divisivi e perturbanti. Divisione e perturbazione che
dovrebbero essere la normalità per democrazie narcisiste intente a
contemplare il proprio ombelico. Mancanza di libertà, disponibilità
del corpo fisico: si chiama ricatto, estorsione, l’obbligo di
esibire un lasciapassare per accedere ai luoghi del lavoro e della
vita.
Il
Grande Reset è la cancellazione generale, ma dargli il suo nome
potrebbe seminare il dubbio tra il popolo/plebe. Cancellazione,
tabula rasa, significano rifiuto di tutto, ignoranza programmata,
distruzione della vocazione sociale e comunitaria dell’uomo.
Un’agenda probabilmente criminale.
Non
dire la verità sulla guerra, il potere della finanza e della
tecnologia, negare anche l’evidenza, si chiama mentire. Togliere a
ogni singolo uomo la proprietà di se stesso si chiama ridurre in
schiavitù. L’opinione comune, veicolata per coazione a ripetere
dalla macchina della propaganda, è una menzogna organizzata che si
finge verità. Il pensiero unico è anche il suo contrario: un unico
pensiero, quello che conviene al potere. L’argomento di Trasimaco
nella Repubblica di Platone. Infatti Socrate, che non separava la
verità dall’etica e dalla realtà, antagonista del servo dei
potenti, morì suicida in carcere.
Bisogna
essere in sintonia con i tempi, dicono. La nostra opinione è
opposta. Pazienza se riceveremo il pollice verso, simbolo
dell’assassinio del portatore di convinzioni scomode. E’ facile
passare alla maggioranza, scriveva Seneca a Lucilio due millenni or
sono. Siamo persuasi che essere uomini del proprio tempo significhi
spesso coincidere con la maggioranza degli imbecilli del momento.
Nei
primi decenni del secolo XX Bertrand Russell, filosofo, scienziato e
membro delle élite anglosassoni disse, a proposito delle nuove
scienze psicologiche, che si sarebbe potuto far credere che la neve è
nera. La missione è compiuta, l’essere umano è stato trasformato
in scimmia parlante che imita e –appunto- scimmiotta. Il Mercato
(maiuscolo!) è il luogo del massimo relativismo morale e del massimo
assolutismo personale: per il profitto tutto è lecito, anche
compravendere gli uomini. I conclamati “diritti” non hanno senso
se non sussistono doveri, individuali e comunitari. Altrimenti
diventano il comodo alibi per capricci, egoismo, scarico di
responsabilità. Ma “comodo” è uno degli aggettivi più alla
moda. Chissà quanti mi piace, quanti pollici alzati sulle reti
sociali.
I
nuovi diritti, offerti dall’alto - già questo dovrebbe destare
sospetti- riguardano la sfera soggettiva e pulsionale. Non possono
più essere discussi, non diciamo negati, L’argomento più
insidioso- debolissimo alla radice, fortissimo per la sua capacità
di impedire un dibattito di merito- è il seguente: tu non hai
l’obbligo di abortire, sposarti con un altro uomo, adottare o
comprare figli attraverso le tecnologie riproduttive artificiali, ma
non puoi negare quel “diritto” agli altri. Non devi
necessariamente suicidarti con la siringa dell’ASL se stai male, ma
sei privo di compassione se neghi a qualcuno un “diritto”. Se ti
senti in sintonia con il tuo “sesso biologico” (??!!) perché
impedire a un altro di rivendicare la sua fluidità?
Rispondere
sarebbe facilissimo, a partire dalla definizione di diritto, ma
costringerebbe alla vana impresa di usare codici, linguaggi, principi
espiantati a forza dalla mente collettiva. Ogni tanto capita di
respirare aria pulita. Il presidente ungherese Viktor Orbàn, in un
discorso in Texas, l’ha detta grossa. Ha osato affermare verità
autoevidenti che nessuna civiltà aveva mai pensato di revocare in
dubbio: la madre è donna, il padre è uomo. Si è permesso di
esigere che una sottocultura ripugnante lasci stare i bambini,
tenendoli al riparo dalla finta disforia di genere, dalle balzane
teorie gender, dal farne bersagli di indottrinamento. Per Gesù
Cristo “chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che
credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo
una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare”.
Il
presidente magiaro, bestia nera del mainstream, ribelle per
fedeltà ai principi, è andato oltre. Favorito dal genius loci,
afferma che non abbiamo bisogno di “gender”, ma di
“rangers”, i mitici poliziotti texani. Più Chuck Norris
(l’attore protagonista della notissima serie Walker Texas Rangers)
e meno drag queen (gli “artisti e le persone, generalmente
omosessuali o transessuali, che si esibiscono in spettacoli di
varietà travestiti da donna, sfoggiando un trucco e un abbigliamento
volutamente appariscenti”). A scanso di equivoci, la definizione-
la prima rintracciata su Google- proviene dall’Oxford Dictionary.
Nell’Occidente gaio e morituro queste sono le nuove bestemmie.
A
costo di sconcertare, osiamo affermare che in periodo elettorale poco
ci importa delle politiche sociali, economiche e fiscali degli uni e
degli altri: sono pressoché sovrapponibili e comunque c’è il
pilota automatico chiamato virtuosamente “vincolo esterno”,
un’altra ipocrisia che maschera la verità della dipendenza. Nullo
è il nostro interesse per le politiche estere dei vari schieramenti,
in gara a chi è più atlantista, mentre la relazione con i poteri
transnazionali, l’UE e la cupola finanziaria, oscilla tra
l’acquiescenza prona (PD e alleati) e un evanescente sovranismo da
tamburi di latta che ricorda una frase - mai pronunciata- attribuita
a Franceschiello (Francesco II di Borbone non fu una macchietta, ma
la storia la scrive chi vince) rivolto all’esercito in rotta:
facite ‘a faccia feroce.
Noi
vogliamo chiedere alle parti politiche che cosa pensano sui temi
biopolitici e bioetici. Viviamo immersi nel biopotere (potere sulla
vita), dovrebbe interessarci l’orientamento di chi vuole il nostro
consenso. Dietro lo schermo della libertà negativa (libertà “da”)
e il pretesto dei diritti, il pensiero dominante estende il potere ai
corpi. Dittatura sanitaria per l’efficienza produttiva, seguita
dalla rottamazione del malato, ossia l’improduttivo, il costo
sociale. Esclusi i progressisti e i liberal– ma non i
socialisti e i comunisti - le destre credono nell’agenda
denatalista delle oligarchie, secondo cui siamo troppi sul pianeta,
oppure reputano positiva la nascita di nuovi italiani, il che
conviene all’economia, alla previdenza, al benessere, come ha
dimostrato con dovizia di argomenti concreti Ettore Gotti Tedeschi?
Ogni idea, ogni discorso, valore o principio decade se manca il
soggetto, ossia il popolo a cui applicarli.
Parliamo
chiaro: o ritroviamo un’agenda di vita e per la vita oppure andiamo
verso il nichilismo, la cancellazione, il reset, sinonimi
eufemistici per non dire la parola tabù, morte. La morte di un
popolo, di una civiltà, e, naturalmente, dei suoi componenti.
Impediti a nascere (aborto diritto universale); inoculati con
sostanze che potrebbero significare morte in differita, disturbi,
sterilità o chissà che altro; indotti a suicidarci in caso di
malattia, vecchiaia, disagio morale o materiale, curati poco e male
da una sanità al servizio del profitto delle industrie e degli
investitori, spinti alle più svariate dipendenze (alcool, farmaci,
droghe, gioco, sesso, sballo, finte trasgressioni, consumo,
divertimento compulsivo); persuasi che non esista la normalità
sessuale e quindi incitati sin dall’infanzia all’omosessualità,
alla transessualità e alla confusione.
Contaminazione
una volta era parola negativa, richiamava l’infezione, la
corruzione, l’inquinamento, anche morale. Oggi contaminarci, cioè
confonderci, cambiare pelle al fischio del padrone, è un gioioso
imperativo esistenziale.
E’
un’agenda di morte che lavora alla fine dell’Homo sapiens,
sostituito dalla macchina e dall’artificiale. E’ lecito sapere
come la pensano in materia (se la pensano) coloro che si candidano a
dirigere il nostro futuro? Un’agenda per la vita non significa
spostare fondi a favore della famiglia, dei diritti sociali, della
natalità. E’ anche questo, ovvio, ma impone di ribaltare le idee,
i luoghi comuni, le priorità di una popolazione dipendente delle
comodità vere o finte, della mistica dei diritti, del soggettivismo,
che non vede e non guarda oltre il naso perché diseducata a farlo.
Irreale
il dialogo con i progressisti, che dicono gli altri? Per i liberali
di ogni tendenza l’argomento è fastidioso e improponibile: conta
il solo benessere materiale individuale (il loro, chiaro) e nessuna
etica è vera. Ciascuno coltivi la propria, se non può farne a meno,
ma non disturbi i mercati, il lavoro dei contabili e la corsa dello
“sviluppo”, un mantra a cui fanno sacrifici umani. Altrui: il
povero Archie sacrificato al bilancio sanitario, i poveri, chi non ce
la fa perché “inadeguato”.
I
conservatori tengono molto a conservare gli spicchi di potere
conseguiti e sfuggono come la peste i temi “divisivi”. Ma il sale
della libertà è la divisione, il dibattito tra contrari. Accettano
le follie gender nelle scuole, l’omosessualismo – garanzia
di denatalità e distruzione di quel che resta della famiglia- sono
d’accordo o no sul mantenimento dell’obiezione di coscienza
abortiva? Pensano che l’eutanasia sia una soluzione per la
malattia, il disagio sociale e- diciamolo chiaro- per i bilanci
sanitari e previdenziali? Credono nei passaporti sanitari e nella
digitalizzazione della persona umana? Vogliono una società ancora
umana, o aderiscono all’agenda antiumana delle oligarchie?
Sono
domande decisive, dalle quali dipende l’avvenire di tutti, come
popoli e come persone. Pochi ne parlano, e in effetti è
difficilissimo trattare temi che toccano le corde più intime della
condizione umana. Gli ultimi terribili anni hanno dimostrato che la
vita non è più un principio indisponibile per chi comanda e per chi
ha l’ingenuità di crederci.
Un’
agenda per la vita è l’unica speranza di futuro per il nostro
popolo e forse per la specie umana. La domanda fa tremare le vene e i
polsi, poiché la risposta non è più scontata: intendiamo davvero
difendere la vita, ossia noi stessi? Se la risposta richiede troppi
distinguo, il nemico ha vinto. Significa che siamo come Groucho Marx
in un memorabile sketch. Dopo aver esposto le sue idee,
concluse: “+questi sono i miei principi. Se non vi piacciono, ne ho
degli altri”. Noi no.