di
Roberto PECCHIOLI
Siamo
nel 2022, in mezzo alla tempesta perfetta, declino economico, degrado
civile, inverno demografico, inflazione galoppante, crisi energetica,
pericolo di guerra, epidemia, emergenza sanitaria, passaporto
vaccinale, precariato lavorativo e sociale, sette milioni di poveri
assoluti, invasione migratoria. Quisquilie, bazzecole,
pinzillacchere, direbbe il principe di Bisanzio, Antonio De Curtis in
arte Totò. Il vero problema, la tragedia nazionale è il fascismo.
Fortunatamente, c’è chi vigila, chi ha capito e mette in guardia
gli immemori abitanti dello Stivale contro il nemico risorgente,
l’eterno rigurgito, il fantasma dell’Uomo Nero.
In
Toscana hanno preso le contromisure, la resistenza ha organizzato gli
avamposti. Le casematte dell’antifascismo immenso e rosso sono
presidiate non da truppe scelte o novelli partigiani, ma da cuochi,
camerieri e buongustai. La Casa del Popolo di Pontassieve ha acceso
la scintilla del riscatto popolare. Il fuoco si propagherà per
l’intera penisola, isole comprese: è nata la “pastasciutta
antifascista”. Dovunque, armati di pignatte, conserva di pomodoro,
pasta di semola, carne e salsiccia, rosmarino, prezzemolo, cipolla
tritata, parmigiano grattugiato, sale e pepe quanto basta, incedono
le avanguardie dell’antifascismo del Terzo Millennio. Su compagni,
su fratelli, su corriamo in fitta schiera… alla pastasciutta
antifascista.
Proprio
così: il fascismo si combatte innanzitutto a tavola. A Pontassieve
lo sanno e hanno organizzato la pastasciutta antifascista. Non che
l’idea sia originalissima: da anni, dalle parti nostre, analoga
iniziativa è organizzata da una delle sigle della nostalgia
comunista in una festa campestre. Dicono che il sugo è ottimo e i
partecipanti tornano a casa satolli e felici, rafforzati
nell’incrollabile fede antifascista, pronti a diffondere la
saporita ricetta. Ma si sa, senza telecamere, è come se un evento
non esistesse, così la vera pastasciutta antifascista è “made
in Pontassieve”, paesone in cui risiedeva nientemeno che Matteo
Renzi.
La
TV ha meritoriamente ripreso l’evento e intervistato i guerrieri
dei maccheroni al ragù. Un po’ sostenuta una delle cuoche, che
tendeva a magnificare la qualità del cibo piuttosto che il suo alto
significato politico. Dopo il pranzetto militante, tra i vari
commenti, il migliore e il più lapidario– toscanaccio umorismo
involontario- è venuto da un signore distinto: “Rossa, l’è
rossa!”. Tutto a posto, la garanzia dell’antifascismo di matrice
(post?) comunista è sempre quella, il colore rosso, trasferito dalle
bandiere al sugo. Antifascismo alla pummarola. Rossa e al dente è la
pastasciutta, tornano a casa sazi e contenti i post partigiani di
Pontassieve. Chissà che non abbiano stappato qualche bottiglia di
vermouth Rosso Antico.
Eppure,
non la si può prendere sul ridere. È ridicolo ma grave che a 77
anni dalla fine sanguinosa del regime, l’antifascismo in assenza di
fascismo continui ad appassionare qualcuno; eppure il capostipite,
Carlo Marx, li aveva avvertiti: la storia nasce in forma di tragedia
e finisce in forma di farsa. Solo farsesco può essere l’antifascismo
alla pastasciutta. Signora mia, non ci sono più le mezze stagioni e
neppure gli antifascisti di una volta.
Un’ultima considerazione semiseria. Così come le tramontate feste
dell’Unità furono l’ultima occasione di mantenere vive alcune
tradizioni popolari italiane, i compagni toscani sono gli ultimi
gramsciani. Il pensatore sardo difendeva l’anima nazionale e
popolare: non c’è nulla di più nostro, di italiano e identitario
della pastasciutta. L’internazionale futura società a cui
aspiravano è diventata globalismo capitalista, pensiero unico
consumista, omologazione anche gastronomica, dagli hamburger ai
popcorn sino agli insetti, cibo del futuro prossimo, ma loro no,
impavidi, indomiti. Grazie, compagni, di avere difeso, diffuso e
rilanciato la nostra amata pastasciutta, dalle Alpi alla Sicilia il
piatto più identitario che c’è. Nostri e tradizionali anche gli
ingredienti, dal grano- rigorosamente duro- ai pomodori, alle carni
che ogni città cucina a suo modo nel regale ragù italiano, cibo di
nobili e contadini, degli antifascisti e di tutti gli altri.
Non
ci avevate pensato, dite la verità, orfani della falce e del
martello. Siete diventati – via pastasciutta- identitari e un po’
sovranisti. Meglio così, buon pro vi faccia e ci faccia il ragù, la
pastasciutta che, vivaddio, rossa l’è rossa. Siamo ancora
in Italia, evviva, e non sia mai che il prossimo anno attacchino con
couscous, involtini primavera, fish and chips
antifascisti, in ossequio all’internazionalismo trasmutato in
globalismo. Bandita soltanto l’insalata russa.
Evviva
le Case del Popolo tosco emiliane, ultimo baluardo nazionalpopolare,
luoghi conviviali in cui si balla, si vive, ci si incontra e ci si
aggrega, si parla liberamente di donne e motori, di calcio e
politica, di vita vissuta e problemi concreti. Una grande intuizione
che il vecchio PCI seppe ereditare proprio dal fascismo, con i suoi
circoli ricreativi e l’Opera dopolavoro, luoghi di aggregazione,
amicizia, comunità.
Altri
tempi, più concreti, sostituiti dalla pastasciutta antifascista. Ma
non c’è granché da ridere. Il Giornale Unico- di proprietà di
fieri bolscevichi come De Benedetti, gli eredi Agnelli, i principi
Caracciolo e altri proletari – sono già alla chiamata alle armi e
stanno raschiando il fondo del barile, impegnando la fantasia dei
fascistologi di mestiere per impedire il possibile governo di centro
destra prossimo venturo, Dio non voglia con a capo la signorina
Meloni. Uno scenario da incubo, il fascismo che avanza: ci vorrà più
di una pastasciutta, non basteranno tutte le conserve di pomodoro,
tutti gli spaghetti e rigatoni del Belpaese per far contro il nemico
una barriera e scacciare l’orrenda prospettiva.
Paragonato
al paradiso dell’Italia felix 2022, converrete che hanno ragione
loro. L’antifascismo militante ha accettato la privatizzazione del
mondo- adesso anche dell’acqua- lo sfascio della sanità, il
massacro dei lavoratori, la precarizzazione di una generazione, la
logica del profitto nella sanità, la riduzione della scuola a
parcheggio pre disoccupazione e fabbrica di ignoranti presuntuosi (in
cattedra e sui banchi), il passaporto vaccinale, il lavoro in affitto
e tanto altro. Ha santificato i banchieri centrali al governo e
digerito i nazisti ucraini, ma il fascismo no, quello è troppo.
Il
troppo stroppia. Il problema è quello degli occhi e delle lenti con
cui si guarda il mondo. C’è ancora una minoranza non trascurabile
che alla parola fascismo ha riflessi simili alle rane di Galvani.
Nulla di male: ogni idea è lecita, purché abbia una definizione
sensata. Per costoro – aizzati da intellettuali, agitatori e
mestatori- è fascismo qualsiasi cosa non gli aggradi. La parola è
omnibus, non definisce più da tempo un movimento politico o
un’idea- neppure nelle residue, crepuscolari varianti neofasciste-
ma descrive e si fa sinonimo del male in quanto tale.
È una sorta di abracadabra che permette l’incantesimo, un pensiero
magico cui serve un nemico per rassicurarsi e mantenersi in vita;
fascismo è qualsiasi cosa- idea, persona, fatto, situazione- che non
corrisponde all’idea di realtà che si sono fatti. Scrisse Augusto
Del Noce, filosofo dimenticato in quanto estraneo alle consorterie
“sinistre”, che l’idealismo si sarebbe dovuto chiamare
“ideismo”, in quanto innalzava l’idea e non la realtà.
L’antifascismo irrazionale- al di là della sua ampia componente
strumentale – non è diverso. Inventa un’idea e la scambia per
realtà.
È il contrario della saggezza di Forrest Gump: stupido è chi lo
stupido fa. Se ci pensassero, avrebbero i brividi: fascista è chi il
fascista fa. Tutto ciò che abbiamo vissuto e sofferto negli ultimi
anni è un’espettorazione di fascismo oligarchico in camicia
bianca, cravatta e grisaglia che dovrebbe atterrire i consumatori di
pastasciutta antifà. Meglio scacciare i cattivi pensieri e cantare
Bella Ciao tra un rigatone e un bicchiere di rosso. L’accusa è
toccata a molti: Berlusconi era il Cavaliere Nero, poi fu la volta di
Matteo Salvini- che iniziò nei comunisti padani – e prima di loro
a chiunque si fosse messo di traverso al PCI. I meno giovani
ricorderanno il “fanfascismo” della DC di Fanfani. Figuriamoci se
poteva sfuggire Nostra Signora della Garbatella, atlantista,
filoamericana, conservatrice (di che cosa, poi?) cautamente
europeista, sovranista ma solo un po’.
Argomenti
inutili: la qualifica di fascista è assegnata dal sinedrio
progressista. Oltre un secolo fa, Marcel Duchamp rivoluzionò il
concetto di arte presentando a un’esposizione un orinatoio. Poco
dopo avrebbe pronunciato la sentenza: “A partire da adesso,
chiunque può essere artista; e qualsiasi cosa, un’opera d’arte.
“Vale lo stesso per certe parole. Tutto può essere antifascista o
fascista a seconda dell’umore e dei principi di chi parla. Parole
al vento per gli antifascisti alla pastasciutta. Essi sanno che
fascista è chiunque si opponga ai fedeli alla linea. Pazienza se la
linea non è più quella, se non è una retta ma uno slalom sinuoso
in cui ciò che una volta era giusto e vero è convertito nel suo
contrario.
Vale
il concetto enunciato da Giancarlo Pajetta, che antifascista lo fu
davvero, pagando il conto: tra la verità e la rivoluzione, scelgo la
rivoluzione. I suoi tardi epigoni hanno preferito la menzogna e
barattato la rivoluzione comunista con quella liberale, liberista e
libertaria. Le hanno dato un nuovo nome, progressismo, e gli applausi
risuonano sino a Pontassieve. Per fortuna della loro tranquillità,
non si sono accorti del contrordine e soprattutto della differenza.
Meglio non svegliarli: potrebbero volerla fare davvero, la
rivoluzione. Quel giorno si accorgerebbero di essere gli ascari dei
veri conservatori, dei veri nemici del popolo, i “democratici”, i
progressisti, i voltagabbana, tutti quelli che campano di rendita
all’ombra di un antifascismo parolaio, senza rischi e dal nemico
immaginario. Tiratori da Luna Park che sparano all’orso disegnato
sul fondale.
Resta,
purtroppo, il fatto politico di un gesto impolitico. Non ci si
vergogna di vivere nel trapassato e mentire spudoratamente agli
ultimi fedelissimi; di esumare cadaveri e portare l’antifascismo –
che fu cosa seria quando agiva contro un nemico vivo e potente – in
processione (o in cucina, nella circostanza) come le confraternite
esibiscono il Cristo una volta l’anno, alla festa patronale.
Passata
la festa, gabbato lo santo. Il fascista di turno tornerà nel museo,
a Giorgia Meloni (improbabile fascistella devota alla Nato accolta
come gli ex comunisti nei circoli riservati del potere
liberalcapitalista) succederà un altro avversario, un Uomo Nero
inesistente come quello minacciato dalle mamme ai bambini
disobbedienti. Per ora c’è la pastasciutta. Rossa, l’è rossa.