di
Roberto PECCHIOLI
Gli
ultimi eventi ci hanno messo di fronte a scelte nette, decisive.
L’epidemia, con il suo carico di autoritarismo, potere sulla vita,
violazione del corpo con sostanze non conosciute, e la conseguente
scelta tra zòe, l’esistenza esclusivamente biologica, e
bìos, la vita di corpo, anima e spirito. Poi è arrivata la
guerra, la messa di fronte al fatto primordiale: amico o nemico. Il
pacifismo programmatico –fuga dalle responsabilità- delle masse
occidentali è messo alla prova da una realtà vicina, il conflitto
tra popoli a noi prossimi per storia, geografia, razza, religione. Il
ritorno della geopolitica unito alla riflessione sui fondamenti della
vita.
Da
pochi giorni si è aggiunto un terzo elemento di fortissima
divisione, un ulteriore situazione in cui allo sfuggente uomo
d’Occidente tocca prendere posizione; è la sentenza sull’ aborto
della Corte Suprema degli Usa, il paese che colonizza l’immaginario,
le idee e il senso comune di questa decadente porzione di mondo. Il
più alto organo giurisdizionale americano ha stabilito che l’aborto
– le orecchie dei contemporanei preferiscono la più sfumata,
burocratica espressione interruzione volontaria di gravidanza- non è
un diritto fondamentale. Dunque, non può essere praticato a semplice
richiesta della donna interessata. Occorre un quadro legislativo
preciso, un insieme di regole e di criteri.
Ergo,
non è vero che l’aborto è divenuto illegale negli Usa; è stato
semplicemente ristabilito il primato della legislazione. Sembrerebbe
ovvio, data l’immensa delicatezza della materia di cui trattasi, ma
per lo spirito dei tempi non è, non deve essere così. Di qui le
reazioni, le violenze, le isterie. La verità, al di là del
complesso merito della questione, è che l’aborto non è più
neppure inteso come diritto indiscutibile, precedente perfino le
leggi, ma è una vera e propria religione, una teologia rovesciata
che tracima dalle rivendicazioni femministe per diventare un
caposaldo della società aperta e progressista, tollerante purché
nessuno metta in discussione i suoi presupposti.
Cerchiamo
di sottrarci- per quanto difficile- all’eccitazione del momento per
dare un’interpretazione complessiva, a partire da un principio che
manda in bestia i sostenitori dell’aborto libero. L’aborto non è
un diritto fondamentale e non è neppure – bestemmia massima- una
semplice decisione individuale della donna. Sentiamo i tuoni e i
fulmini dell’indignato spirito dei tempi. Alle urla scomposte
opponiamo innanzitutto un’altra constatazione sulfurea,
inaccettabile nella sedicente “società aperta”: lo spirito dei
tempi non esiste, poiché le idee dominanti sono le idee della classe
dominante. Lo teorizzò Karl Marx, non un rappresentante delle forze
oscure della reazione.
Come
negarlo, se il sistema antinatalista e abortista, con organizzazioni
miliardarie e potentissime come Planned Parenthood, è finanziato
dalle grandi fondazioni private dei miliardari americani? Come
negarlo se i finanziamenti per quella che chiamano zoologicamente
“salute riproduttiva” arrivano a miliardi di dollari l’anno
dagli uomini più ricchi del mondo, dalle loro famiglie e
organizzazioni? Come negarlo, infine, se negli Usa non esistono
diritti di legge per le lavoratrici madri e per le donne incinte, ma
molte grandi aziende pagano gli aborti alle dipendenti e la
convalescenza successiva?
La
sentenza della Corte Suprema ha affermato la propria incompetenza a
decidere: siano gli Stati federati a farlo, con leggi apposite,
qualunque ne sia il contenuto, favorevole o contrario all’aborto.
L’indignazione a comando ha raggiunto in un attimo le periferie
dell’impero, sino all’Italietta amerikana. Scontate le reazioni
negative dei progressisti di ogni orientamento. Strano progresso
contrario ai fondamenti della vita. Meno scontati i commenti dei
politici a parole “pro life”. Giorgia Meloni si è
schermita osservando che in Italia c’è una legge e il problema è
tutt’al più applicarla anche nelle parti in cui sembra proteggere
la vita nascente. Matteo Salvini, tra un mojito e un rosario,
ribadisce di essere per la vita ma che l’aborto è un problema
delle donne.
Ecco
un punto dirimente, su cui occorre schierarsi accettando gli insulti
e l’impopolarità. Non è sostenibile che la vita, cioè la sua
disponibilità o indisponibilità, e la riproduzione delle società
umane, sia una responsabilità esclusivamente femminile. Quello è il
modo peggiore di lavarsene le mani. La donna non può essere lasciata
sola davanti a una scelta tanto grave e carica di conseguenze.
Salvini è padre di due figli: ricorderà di essere stato l’artefice
del loro concepimento. Davvero, come uomo, padre, dirigente
politico, è stato indifferente alla scelta delle rispettive madri?
Il
dibattito sull’aborto dimentica l’essenziale: una donna che
abortisce perde suo figlio. Non si è incinte di una lattuga,
anch’essa un grumo di cellule, ma di un figlio. In alcuni paesi si
arriva a proibire l’informazione sulle scelte alternative
all’interruzione della gravidanza. L’aborto diventa una forma di
imposizione alla donna per violazione dell’ecosistema della
modernità. E’ un diritto abortire, ma non lo sono l’accesso al
lavoro o alla casa, la fornitura di prodotti per bebè o gli aiuti
per i figli. Inoltre, si banalizza un dolore che accompagnerà la
donna per sempre e si toglie ogni responsabilità all’uomo, che
pure è il protagonista del concepimento. Teorizzare che una
gravidanza indesiderata è solo un problema della donna è il
peggiore maschilismo.
La
decostruzione del maschio ha come epicentro la figura del padre. Per
ogni donna che decide se far nascere o meno il bambino, pardon
sviluppare il grumo di cellule dentro il suo corpo, c’ è un
uomo, un possibile padre. La sua voce deve essere ascoltata, a meno
di non volerlo trasformare solo in fornitore di seme o in un
irresponsabile indifferente. Infine, c’è la società nel suo
insieme, che ha interesse alla riproduzione di se stessa attraverso
la nascita di nuovi membri, possibilmente dentro la famiglia
naturale, e ha il dovere di distinguere il bene dal male.
Il
bene è la vita, il male è il suo contrario. Fuori da questo
principio, c’è il nichilismo, la fine dell’umanità, la legge
del più forte. Cioè del più ricco, che finanzia ogni forma di
decostruzione dell’identità umana e di cultura della morte per i
propri scopi di dominio. E’ difficilissimo farlo capire, ancor più
accettare: alcune condotte, per molti, sono semplicemente “diritti”.
Poco importa se sia evidente la deriva eugenetica, eutanasica,
antinatalista delle oligarchie occidentali, per le quali i popoli
sono diventati superflui. Non hanno più bisogno di manodopera né di
soldati. Ci sono i robot, l’automazione, l’intelligenza
artificiale.
Siamo
troppi, dicono. Allo scopo, chiamano l’aborto diritto universale,
diffondono l’omicidio di massa di anziani, malati, depressi,
perfino poveri; mettono in discussione il fondamento naturale della
polarità maschile-femminile insegnando sin dall’infanzia
omosessualità e transessualità. Il governo spagnolo renderà legale
il cambio di sesso a dodici anni: un crimine a fronte di pochissimi
casi reali da trattare con cura, delicatezza e sensibilità, retaggi
dell’oscurità passata. Sempre in Spagna- giusto per chiarire qual
è il sistema di valori dello spirito dei tempi- una campagna
governativa femminista contro la violenza sessuale ha lo slogan: sola
e ubriaca voglio tornare a casa.
Nessun
dubbio che ogni donna abbia il sacrosanto diritto – questo sì,
fondamentale- di non essere violentata o molestata e di tornare a
casa senza pericoli, ma che l’ubriachezza - una grave dipendenza
che è anche un serio problema sociale – sia trattata come una
condizione normale, addirittura da proteggere e difendere con
campagne governative, è orribile. Poiché tutto si tiene,
scommettiamo che questa rinuncia a educare, a distinguere tra bene e
male è una delle cause della banalizzazione del sesso, con la
conseguenza di rapporti occasionali, privi d’amore e indifferenti
al futuro, i quali, se hanno come esito una gravidanza, non possono
che produrre nuove domande di aborto?
La
rivoluzione più grande dell’ultimo mezzo secolo è stata la
contraccezione, separazione del sesso dalla procreazione. Con le
tecniche scientifiche, si sta per separare la procreazione dal sesso.
Siamo sicuri che sia un progresso, siamo certi che allontanare l’uomo
dalla natura sia il destino della nostra specie? Strano anche che
l’aborto sia percepito come un diritto universale proprio al tempo
in cui la cultura e l’istruzione sono patrimonio di massa,
rendendoci- così dicono- più razionali, più consapevoli, più
capaci di compiere scelte libere. Ancora di più poiché i
contraccettivi- meccanici o farmacologici- sono a diposizione di
tutti.
Se
l’aborto è un diritto e un atto “neutro”, perché molte donne
finiscono per soffrirne, fisicamente e moralmente? E quel grumo di
cellule, gli intrusi nel corpo femminile, perché durante l’aborto
lottano e si dibattono? Purtuttavia, non tutto è bianco o nero. Non
si può chiamare bene il male, ma la complessità della condizione
umana rende necessaria una riflessione che tenga conto anche di
situazioni particolari. Porta chiusa al diritto universale
all’aborto, ma onesto riconoscimento di condizioni specifiche in
cui diventa il male minore.
La
natura del conflitto attiene ai fondamenti delle comunità definite
democratiche, e riguarda la divergenza tra diritti e volontà
popolare. E’ la volontà popolare che crea i diritti o alcuni
diritti sono anteriori a quella volontà e fuori dalla sua portata?
La volontà popolare del momento abbia almeno un limite, il
riconoscimento che esistono dall’origine il bene e il male, per cui
non si può mai agire contro il diritto primario, che è la vita.
Riconoscere
l’aborto libero e universale implica destituire il diritto alla
vita, con conseguenze enormi. La domanda decisiva, su cui non c’è
accordo, vera posta in palio dell’intero dibattito è: quando
inizia la vita umana, che da quel momento ha il diritto di essere
protetta? La risposta non è univoca e non tutte le difese
dell’aborto sono assolutiste o nichiliste, ma non è normale –
che la scelta provenga da una donna o da un uomo- decidere la
soppressione di una vita umana. Per gran parte del femminismo e dei
progressisti (di destra e di sinistra) è diventato indiscutibile che
il corpo della donna conferisca un diritto di proprietà illimitata
sulle cellule vive frutto dell’incontro sessuale con il maschio e
che questo sia un estraneo il cui ruolo si esaurisce nell’atto
fisico.
Il
principio dominante in Occidente – che sottrae il tema della vita
alla comunità, alla civiltà, alla politica e all’altra metà
dell’umanità - è stato espresso dal premier canadese Justin
Trudeau: “nessun governo, nessun politico, nessun uomo, può dire a
una donna che cosa può o non può fare con il suo corpo”. Ma le
cellule umane non sono un grumo di pus.
Intanto,
mentre ci accapigliamo su una questione centrale per il futuro delle
società, chi lavora contro la vita lo fa anche manipolando i
bambini. E’ uscito Lightyear, un film della Disney a
contenuto LGBT destinato all’infanzia. In diversi paesi è stato
vietato e si profila un clamoroso insuccesso economico. E’ la
storia di una relazione lesbica: l’omosessualità femminile ha
tratti meno ostentati di quella maschile e viene considerata più
facile da far accettare. La produttrice ha affermato di volerla
“normalizzare” tra i bambini e che “aiuterà i bambini
queer/trans (???) a sentirsi visibili”. Entro l’anno
corrente la metà dei personaggi dei cartoni animati della Disney
saranno LGBTQ+ e appartenenti a minoranze etniche. Ecco i “diritti
fondamentali” dell’Occidente Titanic e risvegliato (woke).
Ciononostante, sembra che non funzioni ai botteghini; in America
hanno coniato l’espressione “go woke, go broke” se
tratti di cultura della cancellazione, vai in fallimento. Ci salverà
l’interesse economico, unico linguaggio compreso dai mercanti?
La
natura prende le sue rivincite. Secondo uno studio scientifico sulle
conseguenze dell’inoculazione di sostanze MRNA, la fertilità umana
sta crollando. Le ricerche non sono concluse, ma sembra proprio che
certi preparati stiano agendo sugli organi riproduttivi d’ambo i
sessi.
Roe
versus Wade significa diritti versus vita, ma la natura
vince sempre. L’uomo civilizzato, progressista e sanificato non si
riproduce, o lo fa con maggiore difficoltà dei suoi padri. Un caso,
un accidente del destino, o l’azione deliberata dell’oligarchia
antiumana, un aiutino contro popoli superflui?