Il Piano Mattei per il Mediterraneo
26 aprile 2022 Ringrazia la Famiglia di Enrico Mattei se avrai il gas per sopravvivere, non Draghi.
Enrico
Mattei è stato davvero colui che ha unito l’Italia,
alla
fine del secondo dopoguerra,
con la costruzione di infrastrutture, a partire dallo sviluppo delle
varie fonti di energia. Diede vita a quello che poi fu chiamato “Boom
economico”. Creò milioni di posti di lavoro contrastando quei
politici che già allora esortavano gli italiani ad imparare le lingue per
emigrare all’estero. Fondò l’ENI invece di chiudere l’AGIP
come volevano gli occupanti del nostro Paese.
Un uomo di grande coraggio che non si tirava indietro davanti alle
minacce dell’oligarchia finanziaria internazionale ma la sfidava.
Sapeva di rischiare ma non indietreggiava perché sapeva che il
nemico ha paura quando lo affronti. E il nemico, come ogni vigliacco, agisce sempre nell'ombra, non ti sfida mai a viso aperto. Ti pugnala alle spalle, oppure fa l'amico e poi come Giuda tradisce. Mattei, dando un grande esempio, ha rischiato e sacrificato la propria vita per fare dell’Italia un grande Paese, cercando di dare una identità ad un popolo che è sempre stato oggetto di manipolazioni esterne. Invece di fare come tanti che, inconsapevolmente, rischiano la vita ogni giorno per futili motivi, in balia di manipolazioni mediatiche di ogni sorta, vale la pena rischiarla per sollevare il popolo dalla schiavitù come fece Enrico Mattei. Quello che ha fatto il Fondatore dell'ENI non appartiene solo al passato ma riguarda il presente e soprattutto il futuro. La situazione attuale è senz'altro drammattica ma per la prima volta da tanto tempo si apre una porta e Mattei ci offre il programma da seguire. *** *** ***
PER IL GAS NON RINGRAZIATE DRAGHI MA LA FAMIGLIA MATTEI
Intervistata da La Verità, il 25 aprile, Rosangengela Mattei nipote del Fondatore dell’ENI racconta che: “Dall’Africa hanno chiamato noi offrendo nuove forniture. Il ministro Cingolani non rispondeva”
“Se avremo un altro po’ di gas dall’Algeria gli italiani dovranno ringraziare ancora una volta Enrico Mattei”. E le fanfare mediatiche che hanno suonato i peana di Mario Draghi, il fustigatore dei condizionatori e il costruttore di pace alla luce del metano? “Dia retta, tutte pagliacciate. La vera storia di queste settimane gliela racconto io”. Chi parla è Rosangela Mattei, per tutti Rosy, la nipote preferita di Enrico Mattei: è la vestale della sua memoria. Matelica dove c’è tanto ottimo vino “mio padre Italo, fratello prediletto di Enrico, è stato il primo ad imbottigliarlo” – ma neppure una goccia di greggio, per almeno 4 lustri una capitale del petrolio e li Rosy ha riunito, in alcune stanze di Palazzo Mattei, il museo del più energico, potente, illuminato e illuminante (in tutti i sensi) italiano del secondo dopoguerra.
C’è di tutto: da ciò che aveva addosso Mattei il 27 ottobre 1962 – giusto 60 anni fa – quando è stato ammazzato, alle sue carte: da migliaia di lettere e centinaia di onorificenze ai resti del suo aereo esploso in volo sui cieli di Bescapé, nel lodigiano non lontano da Cortemaggiore che segnò il primo grande successo di Mattei. In quel Museo ci sono le prove di chi ha ordito il delitto Mattei (Rosy ne ha fatto un volume che è un preciso atto d’accusa) e c’è anche la patente di partigiano di Enrico Mattei. È il 25 aprile e di quella resistenza bisognerebbe parlare, di quella lotta partigiana che sfugge alla retorica. “Vede”, apostrofa Rosy, “in Italia comanda sempre chi vince la guerra delle parole che sono quasi sempre menzogne. Mio zio nel 1947 lasciò l’Anpi e fondò la Anpc, io sono la vicepresidente delle donne partigiane cristiane. Raccontare Mattei senza raccontare il comandante partigiano è negarne la grandezza, ma aprire quel capitolo significa anche indagare la doppiezza della politica italiana: tanta retorica e troppo tornaconto personale. Non come mio zio, che dall’ENI non ha mai preso una lira di stipendio, che per tutelare gli italiani ha avuto il coraggio di denunciare la NATO che ha sempre fatto e continua anche adesso a fare solo gli interessi degli americani. Per questo mio zio è stato ammazzato da mani italiane”. Parla con lieve accento maceratese, ha un fisico atletico e charme esplicito; quando evoca zio Enrico, pare la ragazzina di 13 anni orfana di questo secondo padre. Perciò racconta con dolente rabbia. Partecipa a questa narrazione il marito Alessandro Curzi, una sorta di archivio vivente della vita e delle opere di Enrico Mattei, chirurgo ora in pensione che fa le note a margine al profluvio di Rosy.
In cinque minuti abbiamo smontato la retorica del 25 Aprile, abbiamo gettato ombre sulla NATO e sbugiardato Mario Draghi sul gas. Non le sembra tanto? “È solo l’inizio. Di Draghi avrei molte da dirne, è tanto amico degli americani. Se dico ‘troppo amico’ rischio? E non è molto amico degli italiani, almeno in questa faccenda del gas. Ora vi racconto com’è andata. Il 26 febbraio il ministro dell’Energia algerino Mohamed Arkab ha chiamato mio figlio Aroldo Curzi Mattei che è presidente della Fondazione Mattei ed ha molteplici contatti nel mondo arabo per dire che stava cercando il ministro Cingolani senza ottenere risposta. Aroldo ha pregato l’ambasciatore d’Algeria di farsi garante del colloquio che lui avrebbe avuto con Cingolani. Ha chiamato il ministro che, impegnato nella prima cabina di regia, gli ha risposto: ti dispiace se ne parliamo dopo le due? Mio figlio alle 14 ha richiamato ed è partita la trattativa. Il lunedì successivo Luigi Di Maio e Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’Eni, sono partiti per Algeri. Io ci vado a metà mese per ricevere dal mio amico Abdelmadjid Tebboune (il presidente algerino ndr) la più alta onorificenza. Sono la vice presidente della “Maison d’Algeri” che gli algerini hanno voluto per onorare la memoria di zio: lo considerano un loro eroe nazionale. Draghi è andato a prendersi gli onori, ma senza i Mattei il gas algerino non arrivava. Perché gli algerini sono grati a chi li aiuta ed aiutarli, morto Mattei, è stata la Russia.
Mattei che aveva fatto per loro? “Ciò che ha sempre fatto con tutti i popoli arabi: li ha rispettati e gli ha lasciato fino al 75% dei profitti del greggio. È stato il primo e forse l’unico a rompere le concessioni delle compagnie americane che trattavano quei popoli come schiavi. In più in Algeria, lo so per certo, lo zio Enrico ha sostenuto la resistenza anti francese economicamente e con le armi. Sapeva benissimo che la Francia si comportava, e forse ancora si comporta, da colonialista. Ecco come e perché arriva quel gas. Poi i politici raccontano quello che vogliono. Come ora che vanno cercando il gas anche da chi non ce l’ha. Vanno e anche con un po’ d’arroganza pretendono di comprare. Mattei faceva altro: stringeva rapporti di amicizia, prima studiava i bisogni dell’interlocutore e poi con lui costruiva una soluzione condivisa. Lo ha fatto anche con i sovietici. Gli hanno detto che era un comunista. Lui che ha portato la Croce e la DC sul fronte partigiano, sapendo che doveva combattere per una doppia liberazione: dal nazifascismo e dalla minaccia comunista”.
Com’è andata con i sovietici? “Lui ha preso il gas dall’URSS prima di tutti: mio zio è stato il primo ad intuire che il metano era l’energia del futuro prossimo, anche se aveva studiato e implementato il nucleare. Con Kruscev fece un accordo vantaggioso per entrambi. L’URSS aveva bisogno di gomma e Mattei gliela trovò, in cambio prese il gas e il petrolio. Gli americani cominciarono a volerlo far fuori e mio zio rispose attaccando la NATO. Firmò la sua fine, ma era fatto così; combatteva soprattutto contro la prepotenza. Lo aveva fatto anche in Persia. Li le Sette Sorelle si comportavano da padroni”.
E che successe con Reza Pahlavi? “Successe che Mattei ottenne dallo Scià una concessione petrolifera al di fuori del cartello delle sette sorelle. Questo scatenò una reazione violentissima perché Mattei dava alla Persia il doppio di quel che davano inglesi ed americani. Ma lo zio doveva costruire il suo giardino di alleanze: Algeria, Libia, Tunisia, Egitto, Giordania, Libano e Iran erano la cintura mediterranea e mediorientale di cui aveva bisogno l’ENI per stare da protagonista sul mercato del greggio. Lui coltivava l’amicizia anche in senso cristiano. Quando Reza Pahlavi fuggì dalla Persia fu Mattei a proteggerlo in una villa segreta”.
Lei è convinta di sapere chi ha ucciso suo zio e perché. Lo ha scritto in un recente libro… “Si mio zio è stato ammazzato su preciso ordine della politica italiana perché dava fastidio agli americani. Il mandante e gli esecutori del delitto erano persone dell’ENI. Eugenio Cefis era al centro di questa trama. Anche mio zio da vivo sospettava di Eugenio Cefis. La mafia non c’entra nulla; vicino alla verità è arrivato il procuratore di Pavia Vincenzo Calia, ma c’è un’altra verità”.
Quale? “Sta in quella lettera di Aldo Moro. È del 19 settembre 1962, un mese prima che Mattei venga ucciso. Moro impone a Mattei di farsi da parte, di lasciare la presidenza dell’ENI perché gli americani non hanno gradito gli attacchi alla NATO e minacciano di non dare più contributi alla DC. Moro scrive: ‘Ti chiedo un sacrificio in nome del partito’. Amintore Fanfani aveva già sbraitato che la politica di Mattei metteva in crisi i rapporti italo-americani e la posizione dell’Italia nella NATO. Sarebbe il caso che oggi ci riflettessero in molti. Un mese dopo: bum, l’aereo di Mattei salta e poi arriva Cefis che farà dell’ENI solo la raffineria del petrolio americano.
E la faccenda del nucleare? “Mio zio aveva sempre pensato che servisse un ente energetico unico. Lo aveva fatto con il metano su consiglio di un fascista buono, l’ingegner Carlo Zamagni, un pozzo che lui aveva trovato e poi ritappato perché non cadesse in mano tedesca. Quando a Cortemaggiore trovarono un po’ di petrolio, Mattei lo usò per salvare l’Agip e sviluppare il metano. Faceva irruzione di notte nelle città a scavare per mettere giù i tubi. Con il gas grazie a mio papà Italo, che era l’ambasciatore di Mattei, fu costruita la fabbrica di bombole di Aristide Merloni qui a Matelica. Mattei fondò sul gas il boom economico dell’Italia. Ma sapeva che servivano altre fonti e così progettò la Centrale Nucleare di Latina con Felice Ippolito, grande ingegnere e Fisico, un altro personaggio scomodo per il potere. Sarebbe stata la più grande d’Europa e alimentata con uranio naturale, non arricchito, che tra l’altro zio aveva trovato anche in Italia. Se l’avessero lasciato in vita oggi non saremmo un Paese suddito. Ma di Mattei avevano così paura che quando lo riportarono nella sua Matelica la bara era vuota. I resti arrivarono tre giorni dopo su un auto nera senza targa. In una cassa di zinco c’erano dei pezzi di carse e tre gambe. Andava creata confusione, la verità su e di Mattei era ed è troppo scomoda”. ... |