Cattolicesimo
17 febbraio 2022 San Bernardino da Siena: ovvero il nome di Cristo contro l’usura. Pinturicchio: Gloria di San Bernardino da Siena. Roma, Cappella Bufalini, Santa Maria in Aracoeli.
San Bernardino da Siena: ovvero il nome di Cristo contro l’usura.
Oh, inspiegabile gioia, inimmaginabile dolcezza, insaziabile desiderio, che il regno dei cieli sia oggetto di violenza e che i violenti possano impadronirsene! E come può tal cosa avvenire? Un regno tanto grande ed illustre, un bene senza confini come quello, essere oggetto di violenza, venir conquistato con la forza? O Dio, che cos’è mai ciò? E con quali armi? Come è possibile, o Dio? «Siederà il Signore come Re, in eterno; il Signore darà forza al Suo popolo; il Signore benedirà il Suo popolo nella pace.» In queste santissime parole si manifesta la contemplazione finale del Paradiso, che attiene alla battaglia ed al saccheggio del Paradiso.”1 Con queste parole poetiche e rivelatrici di un animo proiettato verso la contemplazione della beatitudine del cielo, San Bernardino da Siena inizia l’opera: La Battaglia ed il Saccheggio del Paradiso cioè della Gerusalemme celeste. Ma queste parole trasudano oltre che l’onirica visione della futura gioia della conquista della vita eterna, anche la concezione profonda della completa unione tra uomo, società e Dio che mettono il Creatore al centro dell’Universo e che di lui permeano, senza esitazioni, se stessi in maniera piena e totalizzante. La vita quindi intesa come una battaglia, una tenzone continua, per dare l’assalto alla Gerusalemme celeste, forniti delle armi necessarie ed assolutamente indispensabili per combattere, per scontrarsi e vincere e quindi poter partecipare alla spartizione del bottino del Regno dei Cieli. L’uomo che si prepara, che si arma, che si veste della lucente corazza, che si inquadra in un esercito gerarchicamente comandato e sommamente ordinato e che combatte tutti i giorni la sua buona battaglia contro se stesso, contro le proprie debolezze, contro il male e le seduzioni del mondo, per entrare nella Civitas Dei e poter reclamare la sua parte abbondante di bottino. Questo è quello che ormai noi uomini moderni, noi cristiani “maturi” abbiamo definitivamente perduto: la capacità di poter sognare, il gusto e la bellezza del sentimento, la dolcezza dell’amore che diventa forza e violenza irrefrenabile nel poter desiderare e donarsi totalmente al bene. E ciò per annullarsi in quel Dio Misericordioso e permettere che sia Lui a vivere e prendere possesso di noi, per sempre ed in tutte le cose della vita: dalle più sciocche, a quelle più alte e meravigliose, che si possano concepire. Bernardino degli Albizzeschi nacque l’otto settembre 1380 a Massa Marittima, da nobile famiglia di origini senesi, dove il padre svolgeva le mansioni di Governatore: come da tradizione lo stesso giorno della nascita fu subito battezzato nella Cattedrale della cittadina toscana. Questo, perché allora le persone cercavano di non lasciare nemmeno un’ora di più la nuova creatura in balia delle forze del male ed in mano al demonio: oggi c’è chi aspetta anche sei o sette mesi, per far battezzare il neonato la notte della vigilia di Pasqua secondo le disposizioni dei nuovi Guru dei neo movimenti ecclesiali! A sei anni, rimase orfano e fu preso in casa da uno zio paterno e da due zie, molto religiose, ma non bigotte, che gli diedero un’ottima educazione cristiana. Per questo motivo nelle prediche, Bernardino dimostrerà sempre una profonda conoscenza dei problemi femminili veri. Studiò grammatica e retorica e si laureò in Giurisprudenza. Durante la peste del 1400 a Siena, essendo perito tutto il personale regolare dell’ospedale e rispondendo alla richiesta di aiuto del responsabile, si offrì volontario insieme ai suoi amici della Compagnia dei Battuti (o dei Disciplinati) a cui si era iscritto, che si riunivano, a mezzanotte, nei sotterranei dell’ospedale. Dopo l’esperienza di quattro mesi tra i malati di peste, rimase lui stesso colpito dalla malattia e lottò per un po’ di tempo tra la vita e la morte.Fu questa un’esperienza fortissima che lo segnò, in maniera positiva, per il resto della vita: aveva imparato sull’uomo e su se stesso, quello che voleva dire l’esperienza del dolore e della sofferenza. Finita l’epidemia, seguendo questa strada intrapresa, si prese cura di una delle due zie, che lo avevano allevato amorevolmente, fino al momento della sua morte. Nel 1402 a ventidue anni, entrò, a Siena, nell’Ordine Francescano e due anni dopo divenne sacerdote. Fu mandato poi a Fiesole per completare gli studi in teologia ascetica e mistica: qui lesse con attenzione e con entusiasmo gli scritti dei grandi autori francescani, in primis, San Francesco e San Bonaventura, Duns Scoto, Jacopone da Todi e altri. Iniziò un’intensa attività di predicatore cosa per la quale era particolarmente versato e girò moltissime città dell’Italia settentrionale richiamando sempre un’ingente quantità di persone. Nel 1405 il Vicario dell’Ordine lo nominò predicatore ufficiale. Nel 1437 divenne Vicario Generale dell’Ordine degli Osservanti e poi, tra il 1438 ed il 1442 ricoprì la carica di Vicario Generale di tutti i Francescani italiani. La sua opera fu incisiva e di forte sprone per il rinnovamento della Chiesa cattolica e del suo Ordine.
“Chiarozo, chiarozo... acciò ché chi ode ne vada contento e illuminato, e non imbarbugliato”. Per Bernardino inoltre il predicare doveva essere un “dire chiaro e dire breve” ma senza dimenticare insieme il “dire bello”. E, come spiegava con una metafora contadina:“Piuttosto ti diletterai di bere il buon vino con una tazza chiara e bella che con una scodella brutta e nera”.Insomma, importanti erano i contenuti, ma altrettanto efficace e bella doveva essere la forma con la quale “il buon vino del Vangelo” andava servito.Conquistava l’uditorio non con ragionamenti astrusi o contorti ed astratti, ma con la semplicità, con parabole, aneddoti, racconti, metafore, drammatizzando e teatralizzando il racconto, in modo che, nelle menti delle persone, i concetti restassero ben impressi e fissati.Era soprattutto attuale: castigava e canzonava le umane debolezze, le stregonerie, le superstizioni, il gioco e le bische (“diceva: “anche il demonio vuole il suo tempio ed esso è la bisca”), i piccoli e grandi imbrogli nel commercio al dettaglio, le mode frivole (specialmente delle donne,), i vizi in generale, pubblici e privati. Sentite cosa dice, nella sua XXXIX predica, tenuta a Siena in Piazza del Campo e riportata nel libro Prediche Volgari, a proposito dell’omosessualità: “Non è peccato al mondo che più tenga l’anima, che quello de la sodomia maladetta; el quale peccato è stato detestato sempre da tutti quelli che so’ vissuti secondo Iddio, (…). La passione per delle forme indebite è prossima alla pazzia; questo vizio sconvolge l’intelletto, spezza l’animo elevato e generoso, trascina dai grandi pensieri agli infimi, rende pusillanimi, iracondi, ostinati e induriti, servilmente blandi e incapaci di tutto; inoltre, essendo l’animo agitato da insaziabile bramosia di godere, non segue la ragione ma il furore. (…) La cagione si è perché ellino so’ accecati, e dove arebbono che hanno alle cose alte e grandi, come quelle che hanno l’animo magno, gli rompe e gli fracassa e riduceli a vili cose e a disutili e fracide e putride, e mai questi tali non si possono contentare. (…) Come de la gloria di Dio ne partecipa più uno che un altro, cos’ l’inferno vi so’ luoghi dove v’è più pene, e più ne sente uno che un altro. Più pena sente uno che sia vissuto con questo vizio de la sodomia che un altro, perocché questo è maggior peccato che sia”.2 Molto accanita la sua predicazione era nei confronti dell’usura che riteneva un cancro delle società: su questo argomento ritorneremo poi in modo più diffuso. Ma il cuore della sua predicazione era sempre Gesù Cristo, in un triplice aspetto: il Gesù “umanato” e cioè l’Incarnazione, il Gesù “passionato” ovvero la sua Passione e Morte in Croce, ed infine il Gesù “glorificato”, la sua Resurrezione e Ascensione alla destra del Padre. Bernardino metteva in risalto il primato assoluto del Cristo, la sua mediazione universale, la subordinazione di tutte le cose a Lui e in vista di Lui per arrivare attraverso Lui alla perfezione e alla comunione con Dio. È il tema centrale del “Christus Victor” diventato il Signore di tutto attraverso la sofferenza della Croce, rendendo tutti partecipi della salvezza dal peccato.Fu l’inventore del tetragramma JHS (Jesus Hominum Salvator) che faceva incidere su delle tavolette di legno che, durante le prediche, la gente baciava con molta devozione. Era in pratica un sole d’oro in campo azzurro, al centro del disco del sole c’erano le tre lettere JHS sormontate da una croce; al suo esterno il sole era dotato di dodici raggi che San Bernardino, in relazione al nome di Gesù, così spiegava:
Il tetragramma fu poi inciso anche in un vessillo che cominciò ad accompagnare anche altri grandi Santi predicatori come San Giovanni da Capestrano (suo grande amico e sostenitore) che lo portava continuamente con sé e che sventolava a mo’ di sfida e di incoraggiamento davanti all’esercito turco sulle mura di Belgrado. Oggi il tetragramma è presente in tutte le ostie che il sacerdote consacra in ogni messa, in ogni parte del mondo e che poi consuma davanti ai fedeli. Ma nelle sue prediche non mancavano anche temi molto importanti e dedicava molta attenzione anche alla vita quotidiana dei fedeli alla quale riservava un tipo di analisi innovativa e molto moderna. Si guadagnò un posto nella storia del pensiero economico: fu il primo teologo, dopo Pietro di Giovanni Olivi, a scrivere un’opera dedicata interamente all’economia intitolata: Sui contratti e l’usura. Nell’opera, come del resto fece già anche Sant’Antonio da Padova, condanna aspramente e senza mezzi termini l’usura e paragonava la morte degli usurai all’uccisione del porco in una famiglia: “Una festa ed una liberazione dalla fame per tutti”.
Per essere onesto, sostiene Bernardino, l'imprenditore deve essere dotato di quattro grandi virtù: efficienza, responsabilità, laboriosità, assunzione del rischio. I guadagni che derivano ai pochi che hanno saputo attenersi a queste virtù sono la giusta ricompensa per il duro lavoro svolto ed i rischi corsi. Per contro, condanna senza mezzi termini i nuovi ricchi, che invece di investire la ricchezza in nuove attività produttive, preferiscono prestare ad usura e strangolano la società anziché farla crescere: sono concetti che anche ai nostri giorni risultano attualissimi. Se sostituiamo i termini “nuovi ricchi” con banche e speculatori finanziari e “nuove attività” con economia reale il quadro della situazione non è molto diverso da quello che viviamo, tragicamente ogni giorno. Bernardino riteneva, infatti, che la proprietà non "appartenesse all'uomo", quanto piuttosto "fosse per l'uomo" come uno strumento per ottenere un miglioramento nell'insieme della società medesima. Uno strumento che veniva da Dio e che l'uomo doveva meritare, applicare e far fruttare come saggio amministratore. Il denaro, in buona sostanza, doveva essere un buon servo che permettesse lo sviluppo e la ricaduta della ricchezza su tutta la società e quindi un dono di Dio, qualcosa di liberatorio per tutti dell’affanno del quotidiano, dalla tragedia della povertà ed un mezzo di avvicinamento al Creatore, al quale era più facile rivolgersi non più pressati dall’ansia della sopravvivenza e dall’incertezza del futuro. Nel 1427 di ritorno, a Siena, da un giro di predicazione piuttosto pesante e stancante, avrebbe voluto riposare, ma dovette cedere alle pressioni dei Signori del Comune e per quarantacinque giorni di seguito iniziò una serie di prediche a cominciare dal 15 agosto. Siccome nessuna chiesa della città era in grado di contenere l’immensa folla che accorreva per ascoltarlo, il Comune fece alzare un altare tra le due finestre del Palazzo Comunale e costruire un apposito pulpito dal quale potesse tenere le prediche: alla sinistra del medesimo fu eretto un palco per i Priori della Signoria, a destra prendevano posto le donne a sinistra gli uomini separati da un tendone, per evitare che gli occhi “balestrassero” da una parte o dall’altra facendo perdere la necessaria attenzione alle parole del Santo. Per permettere a tutti di partecipare si iniziava all’alba, dopo la celebrazione della messa, procedeva alla predicazione che durava fino alle sette, momento in cui iniziavano ad aprire i vari negozi e la gente si recava al mercato che si teneva sulla stessa piazza. Le 45 prediche, tenute in Piazza del Campo, sono raccolte in un libro intitolato: Prediche Volgari: normalmente il Santo scriveva in latino, ma predicava sempre in volgare. Abbiamo la fortuna di possedere un tale importante patrimonio oratorio, grazie all’opera paziente di un certo Benedetto di Mastro Bartolomeo, un cimatore di panni, il quale, trascurando il suo lavoro, si dedicò a scrivere integralmente le prediche di Bernardino. Sta di fatto che egli riusciva a trascrivere parola per parola quello che il Santo diceva a voce: gli studiosi escludono che nel quattrocento potesse esistere una forma di stenografia quale la conosciamo oggi, quindi l’amanuense doveva servirsi o di note tironiane o di una tachigrafia che comunque non sembrano essere molto adatte a trascrivere dei testi in volgare. Quindi Ser Benedetto o possedeva un personale metodo di scrittura veloce, oppure adoperava qualche sistema di cui abbiamo perduto traccia. La cosa è comunque irrilevante, mentre molto importante è la testimonianza scritta sia dell’oratoria sia dei contenuti intrinseci della predicazione di San Bernardino. Di sicuro sappiamo che per scrivere adoperava tavolette spalmate di cera ed uno stilo a sgraffio: erano i mezzi migliori ed anche i più economici, in quanto consentivano il ripareggiamento, con la parte opposta dello stilo, fatta appositamente a forma di spatola, sia la rispalmatura della cera su di esse. Benedetto, tornato a casa, trascriveva su carta pecora le prediche, poi preparava le tavolette cancellandole e reincerandole ed il giorno seguente si presentava in piazza pronto per trascrivere di nuovo le parole del Santo. Questi, mentre predicava, soleva spesso interloquire con il pubblico, ma si rivolgeva frequentemente anche a lui per esortarlo a trascrivere bene i concetti che stava esprimendo: lo scrivano era talmente abile, che riusciva ad annotare anche le esclamazioni e gli intercalari che il Santo adoperava come: Doh! Uh Uh! Ca ca! Anche questi sono dei piccoli segni che la Divina Provvidenza lascia e dissemina, affinché certe importanti cose dello spirito non vadano perdute e siano immortali e sempre disponibili a chi voglia nutrire il proprio di spirito e crescere sulla scala dell’ascesi! Per ben tre volte gli fu offerta la carica di vescovo: nel 1427 quella di Vescovo di Siena, nel 1431 quella di Ferrara, nel 1435 quella di Urbino: rifiutò sempre gli incarichi, in quanto volle restare sempre un evangelizzatore ed un predicatore continuando nella obbedienza alla Regola francescana che gli imponeva l’umiltà e la povertà.
LA LOTTA ALL’USURA Sempre nella tradizione cristiana viva fu l’attenzione alle problematiche che derivavano dalle pratiche vigenti nel mondo economico. Sicuramente tra le tante esistenti il posto principale era ricoperto dal fenomeno dell’usura. Mancava, all’epoca, un sistema bancario efficace ed onesto, ma del resto gli scambi ed i commerci andavano sempre di più crescendo e sviluppandosi. La scarsità di moneta, solo metallica e preziosa (aurea ed argentea), impediva e frenava gli scambi commerciali e spesso il baratto era ancora usatissimo. Già nella cultura ebraica prima e classica poi, il fenomeno dell’usura era socialmente rivelante: sovente chi possedeva grosse quantità di moneta preferiva prestarla contro un interesse, piuttosto che lanciarsi in commerci o traffici che richiedevano organizzazione, capacità imprenditoriali notevoli ed anche uno spiccato senso degli affari tutte cose che spesso non erano possedute da quei soggetti in cui si concentrava la massa monetaria. Il problema più grosso era sempre quello della fissazione del tasso di interesse che il prenditore di moneta doveva rifondere a chi gliela prestava: dati i rischi esistenti nell’esercizio dei commerci, le lunghe distanze da cui le mercanzie arrivavano, ma anche l’avidità di chi prestava, questi tassi erano molto rilevanti e quindi onerosissimi per i richiedenti. Conseguenza prima diretta era la crescita esponenziale dei prezzi delle merci ed anche l’impossibilità, per una vasta parte della popolazione, di poter effettuare acquisti di certe categorie di beni, le quali rimanevano riservate ad una ristretta élite di facoltosi. Il cristianesimo, che fin dall’inizio si confrontò con la realtà religiosa, sociale ed economica ebraica, prese subito un atteggiamento antitetico a quello dell’ebraismo: in sostanza si voleva sostituire alla legge mosaica del prestare, quella cristiana del donare. Ma d’altro canto non si potevano demonizzare centinaia di onesti lavoratori, commercianti, distributori ed approvvigionatori che formavano il tessuto connettivo ed importante di una società: si cercava di colpire solo i fenomeni parassitari, prettamente disonesti, o truffaldini che inquinavano e rendevano i compratori vittime di abusi o di cupidigie, quando anche di raggiri o di truffe. Quindi la posizione della Chiesa nei confronti del fenomeno feneratizio che veniva bollato non come “peccato” contro il cielo e la legge divina, ma come vero e proprio “crimine” contro il prossimo e contro i fratelli terreni, in un'epoca dove gli aspetti sociali ed economici non potevano essere separati, se non arbitrariamente, dal contesto etico e morale. La società era permeata ed informata all’armonia della legge divina che si sentiva presente e mai trasgredibile, pena la morte spirituale e l’emarginazione dal contesto sociale. Il fenomeno feneratizio era stato in continuazione stigmatizzato e proibito attraverso canoni specifici di vari Concili Ecumenici: a cominciare da quello di Elvira del 300, per poi proseguire con quello di Nicea del 325 e non ultimo quello di Vienne del 1311, quest’ultimo viziato e coartato, dalle minacce esercitate da Filippo il Bello nei confronti di Papa Clemente V, per ottenere lo scioglimento e la cancellazione dell’ordine del Tempio. In prima fila nella lotta all’usura c’era l’ordine francescano che, essendo un ordine di predicanti, era molto esposto e sempre in prima fila: la spiritualità di San Francesco male si coniugava con le dottrine feneratizie così egoistiche, insensibili ai bisogni ed alle necessità del prossimo, oltre che dalla base di povertà ed umiltà volta alla trascendenza ascetica che erano i pilastri della regola francescana. Ricordiamo i sermoni infuocati contro gli usurai pronunciati da Sant’Antonio da Padova che dava così fastidio agli usurai, da voler essere addirittura, da parte loro, eliminato fisicamente. Famosa è la cena in cui il Santo mangia la minestra avvelenata, insieme al suo confratello, ricordando allo sprezzate padrone di casa, capo degli usurai della città, che gli ricordava il passo evangelico che lui non lo faceva come sfida a Dio, ma come atto di totale umile sottomissione alla divina volontà. Nel quattrocento con il crescente fiorire dei commerci e degli scambi, con le flotte delle Repubbliche marinare che solcavano il Mediterraneo, il fenomeno aveva assunto una rilevanza sociale altissima. Il Beato Bernardino da Feltre, San Giacomo della Marca, San Giovanni da Capestrano erano in campo per combattere e debellare il fenomeno: ovviamente anche Bernardino da Siena non poteva essere da meno. Facciamo notare che San Giacomo della Marca, San Giovanni da Capestrano e San Bernardino da Siena si conoscevano ed erano anche molto amici: tutti erano passati per il famosissimo convento di Monteripido, una grossa abazia, appena fuori da Porta Sant’Angelo a ridosso delle mura di Perugia! Tutti e tre i Santi avevano predicato ed addirittura studiato nella città umbra. Ancora oggi troviamo, in Piazza San Francesco, accanto all’Accademia delle Belle Arti, della città umbra un bellissimo oratorio a lui dedicato, sulla cui lunetta campeggia la figura del Santo circondato da angeli.3
I tre santi francescani non fanno altro, nelle loro locuzioni, che dare corpo e voce ad un sentire antico e popolare che aveva come obiettivo quello di difendere i poveri dall'attività illecita e fortemente disumana svolta dagli usurai. E questa umana sollecitudine non riguardava soltanto i veri “ poveri”, cioè gli indigenti assoluti o chi mancava di tutto; in fondo queste categorie potevano contare sulle elemosine e su aiuti diretti o anche sul sostentamento che i ricchi e i danarosi fornivano loro, spesso per tacitare la loro non sempre limpida coscienza. Ma la denuncia era diretta anche agli “indigenti potenziali”, cioè a quelle categorie più bisognose di aiuti e di soluzioni ai loro problemi di liquidità ed di quel necessario flusso costante di contanti che permetteva di continuare il loro onesto e quotidiano lavoro. Mentre i primi, essendo “POVERI”, non avevano niente da offrire in pegno agli usurai, i secondi, cioè i commercianti, gli artigiani, i piccoli professionisti, i contadini rischiavano di entrare nel circolo vizioso dell'usura e nel conseguente baratro senza fondo dei debiti, che non sarebbero mai più riusciti a pagare. Rischiavano di perdere non solo i loro beni materiali se ne avessero avuti, ma peggio, anche gli stessi strumenti di lavoro, le clientele e vedersi costretti ad abbandonare l'esercizio delle loro arti o mestieri. Quand'anche non arrivavano a rischiare anche le loro stesse esistenze o quelle dei loro figli. Amaramente dobbiamo costatare che non c’è nulla di cambiato tra la situazione drammatica di allora e quella di oggi: l’unica differenza è che in quel determinato periodo storico erano solo i singoli individui ad essere in pericolo, oggi, purtroppo, con la dilatazione degli scambi e la vastità dei mercati, a rischiare sono intere nazioni che, a causa di debiti che mai potranno pagare, mettono in pericolo la vita non solo dei propri cittadini, ma hanno compromesso anche l’esistenza di intere generazioni future. I fattori di crisi sempre gli stessi, gli strumenti forniti sempre uguali, la metodologia degli usurai sempre la stessa: concedere prestiti ad oltranza a buoni e cattivi, pretendere interessi pluriennali ricomposti, sempre più onerosi e gravanti sulle attività economiche reali, insomma stessa soluzione finale. Pochissimi che diventano sempre più ricchi e che drenano sempre di più ingentissime quantità di liquidità e masse sempre maggiori di poveri, di indigenti che, strozzati dall’egoismo e dall’avidità, sono costrette a dover scegliere tra la disperazione ed il suicidio: oggi non abbiamo più nemmeno il conforto di una voce morale e super partes, come quella della Chiesa, o l’altra potentissima di Santi predicatori, che rischiando la loro vita, alzavano potentemente e senza paure le loro voci in difesa dei poveri, degli umili, dei derelitti e dei bisognosi di aiuto! Viviamo in un’epoca in cui sembra che la sola cosa che si levi potentissima è il silenzio di Dio, che sicuramente non continuerà ancora per molto. Oggi come allora, la gente identifica il frutto dell’esercizio dell’usura, come un illecito guadagno che viene estorto, o meglio come sangue che viene succhiato dalle vene degli onesti approfittando dello stato di necessità in cui tanti versano. All’esercizio dell’usura veniva equiparata anche la mera speculazione sulle merci o quello che possiamo chiamare mercato nero, molto diffuso ed oggi, grazie alle borse ed ai mercati spot esercitato su vasta e rispettabile scala, da personaggi in grisaglia grigia e cravatta firmata. Spesso a causa di carestie o di ritardi dovuti alla lentezza ed all’insicurezza dei trasporti, a fattori come guerre ed epidemie era abbastanza usuale che certi tipi di merci venissero a mancare del tutto, o scarseggiassero. Anche in questo campo chi possedeva grandi quantità di liquidità poteva tranquillamente investire “al rialzo”, ovviamente, riempire i propri magazzini e poi tranquillamente aspettare che si verificassero le situazioni favorevoli a fortissimi guadagni speculativi. San Giacomo della Marca denunciava questo stato di cose accusando gli speculatori con queste parole: “Et dum fuit in maiori pretio ipse vendibat centum" . (Ed appena il prezzo saliva esso rivendeva al centuplo). Era necessario dare una risposta chiara e forte da parte cristiana, al problema dell’usura; sicuramente le infiammate prediche di San Bernardino spinsero verso la creazione di uno strumento alternativo al banco usuraio ebraico e questo strumento furono i Monti di Pietà. Il primo di essi sorse a Perugia nel 1462, ma presto si diffusero, con l’appoggio dell’Ordine Francescano, in tutta l’Italia centrale, territorio dove lo sviluppo delle attività economiche era in rapida crescita e dove la scarsità di moneta era più sensibile, e, parimenti, anche l’attività usuraia assumeva proporzioni socialmente rilevanti e preoccupanti. La nascita di questi nuovi strumenti creditizi fu, in principio, osteggiata dai Signori dei Comuni che appoggiavano l’usura ed erano soddisfatti delle attività svolte, in quanto molto spesso a questi ambiti veniva affidata anche la riscossione dei tributi dovuti dai cittadini, naturalmente dietro il pagamento di un aggio per l’intermediazione. Ma ciò forniva all’elemento, prevalentemente ebraico, anche il necessario polmone per il prestito ad usura a terzi. Costoro, infatti, fungevano anche da tesorieri e depositari del denaro pubblico, che fornivano a richiesta, ma che impiegavano in operazioni di prestito, quasi sempre non a lungo termine. I Francescani Minori Osservanti, quindi, presero come modello operativo il banco ebraico con l’obiettivo di sostituire a questa forma di attività bancaria ante litteram, qualcosa che operasse con fini principalmente solidaristici e senza scopo di lucro. Era il sostituire la legge mosaica del prestare con quella cristiana del donare a tutti gli effetti. Tuttavia, fin dall’inizio, fu permessa e tollerata la richiesta di un rimborso delle spese che venivano coperte da un interesse del 5%. Spesso chi chiedeva il prestito, doveva diventare partecipe dell’attività del Monte stesso, quindi controllore anche del corretto funzionamento dell’attività. Dal 1515 tutti i Monti richiesero il rimborso delle spese. Se consideriamo che i tassi di interesse che i banchi ebraici applicavano, erano enormemente più elevati e che andavano soggetti, oltre a quello che oggi si chiama il servizio al debito, al meccanismo della ricomposizione di interessi, il vantaggio, per chi chiedeva denaro in prestito, era davvero notevole. Inoltre esso era concesso su presentazione di un pegno che veniva stimato e che serviva da garanzia reale dell’erogazione, la durata del medesimo non doveva normalmente mai superare l’anno, periodo entro il quale doveva essere rifusa la somma e restituito il pegno. Esterno della Basilica di San Bernardino a L’Aquila
Altra caratteristica precipua: i Monti non prestavano a tutti e non veniva mai prestata qualsiasi somma: a norma di statuti di fondazione, si accettavano, come clienti, solo i residenti nella città o dei dintorni o in un ambito territoriale molto ristretto, in genere si trattava solo di somme di modesta entità, che i clienti dovevano giurare di prendere solo per loro strettissima necessità personale, ma anche per usi moralmente ineccepibili. Di solito il capitale iniziale dei Monti era a larga partecipazione diffusa: si promuovevano prediche che spiegavano il perché e la motivazione della creazione dell’istituto, spesso anche suggestive processioni alla fine delle quali tutti venivano chiamati a contribuire all’iniziativa: il senso della solidarietà e del comune senso di dover aiutare i deboli, erano la solida base di inequivocabile natura cristiana. A questo strumento si affiancò quasi subito l’istituzione, specialmente nelle zone agricole molto sviluppate, dei Monti Frumentari: essi raccoglievano e prendevano, in base della loro attività, soprattutto grano che consentiva subito un diretto rientro dalle spese, ma andava anche a colpire il fenomeno della speculazione, nei momenti di carestia e stroncare il mercato nero, impedendo lucrosi quanto disonesti e speculativi guadagni.4 Era indubbiamente una grande rottura con il passato. Essa principalmente consisteva nell’affrontare i problemi economici in maniera diretta senza delegare più ai non cristiani questo compito, con orizzonti solidaristici fortissimi, ma anche adottando e facendo diventare di uso normale e quotidiano, modalità di carattere bancario. In molte città la creazione dei Monti di Pietà determinò la cessazione quasi totale delle relazioni creditizie con i prestatori ebrei: la piaga dell’usura era del tutto debellata. Ovviamente ai tempi nostri si rimprovera a San Bernardino, la troppa asprezza nei confronti dell’elemento ebraico che reggeva in maggioranza i fili della rete feneratizia ed anche il suo forte impegno contro la vanità ed i vizi della società: ciò tuttavia non toglie che i risultati ottenuti dalle sue infuocate prediche, portarono dei risultati tangibili ed immediati e sicuramente il grado di sicurezza ed aspettativa di vita, come si dice oggi, aumentarono di parecchio grazie anche alle sue avanzatissime idee in campo economico. Ma anche tra i suoi contemporanei non sempre trovò sempre buona accoglienza, a molti anche potenti, la sua guerra dalla parte dei deboli non andava molto a genio e lo status quo nel settore economico creava in certi strati agi e posizioni di privilegio che, consolidate, era difficile da smantellare. Anche in campo ecclesiastico aveva parecchi nemici ed a causa della sua devozione al Santo Nome di Gesù, dovette subire varie accuse di eresia. In suo soccorso vennero i suoi confratelli, su tutti San Giovanni da Capestrano il quale andò fino a Roma per perorare davanti ai giudici la sua causa. Nel 1427 essendo sotto Inquisizione, fu strenuamente difeso da un teologo molto importante come Paolo da Venezia, il quale scrisse addirittura un trattato per difendere la completa ortodossia delle sue tesi. E’ qui necessario, anche come successo in altri casi di Santi da me già precedentemente trattati, fare un’osservazione: i Papi avevano una conoscenza, un tipo di informazione ed un tasto della situazione molto precise riguardante i vari personaggi che agivano, con moltissimo seguito, nell’ambito della cristianità ed il loro intervento d’autorità, spesso fu decisivo per sciogliere i nodi ed i sofismi creati dai gruppi di potere, più o meno influenti, che avevano finalità spesso antitetiche a quelle spirituali. In questo caso il Papa Martino V, lo volle conoscere personalmente durante il processo intentato contro di lui: fu a tal punto colpito, che volle che il Santo predicasse per ottanta giorni a Roma e poi lo voleva nominare Predicatore della Casa Pontificia, incarico che il Santo, come per la carica di vescovo, rifiutò per umiltà e fedeltà alla Regola del suo Ordine. San Bernardino da Siena uscì sempre trionfatore, con l’aiuto della Provvidenza, da tutte le prove a cui fu sottoposto. Né gli mancarono grandi capacità di conciliazione in situazioni molto spinose e spesso quasi irrimediabilmente compromesse. Già a Perugia aveva riportato la pace e la riconciliazione tra campi opposti ed antagonisti, nel 1444 su sollecitazione del vescovo Amico Agnifili si recò a L’Aquila per tentare di riconciliare le due fazioni che in città si affrontavano apertamente e virulentemente. E proprio a L’Aquila il 20 maggio 1444 lo colse la morte: si racconta che la sua tomba continuò a trasudare sangue fino a quando le avverse fazioni della città non si riconciliarono. Il suo corpo è sepolto nella Basilica a lui dedicata.
Il mausoleo di San Bernardino da Siena all’interno della Basilica a lui dedicata a L’Aquila.
Già subito dopo la sua morte e ben prima della sua canonizzazione, si diffusero voci molto consistenti di gesta miracolose a lui attribuite e grandi conversioni, alcune delle quali furono riportate dalla Leggenda Aurea apparsa in quegli anni. Comunque la canonizzazione non tardò ad arrivare appena sei anni dopo la sua scomparsa. Papa Nicolò V, lo elevò agli onori degli altari il 24 maggio 1450, grazie anche alle numerose testimonianze raccolte, per la Causa di Santificazione, da San Giovanni da Capestrano. La memoria liturgica della sua santificazione ricorre il 20 maggio, giorno della sua morte.
Luciano Garofoli Note: 1 Citazione dal libro di Franco Cardini: Nel Nome di Gesù: Bernardino da Siena e la Battaglia Mistica. Edizioni Il Cerchio, Rimini 2012. 2 Citazione tratta dall’articolo di Don Marcello Stanzone pubblicato dalla Agenzia Pontifex Roma del 27 agosto 2012. 3L’oratorio fu fatto costruire nel 1451 dai Priori del Comune di Perugia per ricordare il Santo canonizzato nel 1450: a Perugia San Bernardino aveva partecipato, anche, alla stesura dei famosi Statuta Bernardiniana i quali vietavano il gioco d’azzardo e le sale da ballo. La facciata dell’Oratorio, fu eseguita tra il 1457 ed il 1461 da Agostino di Duccio, il quale aveva appena terminato il Tempio Malatestiano di Rimini. 4 Ai nostri giorni tutto quello che veniva considerato negativo ha assunto la caratteristica della rispettabilità. Il mercato delle granaglie, per esempio, è oggi controllato da non più di sei sette grandissime società: la Cargill la più grossa in assoluto, la Dreyfus la più vecchia, la Continental Grain, l’Archer Midland, la Bunge y Born. Sia ben chiaro, nessuna di loro produce un solo chicco, comperano e vendono in tutto il mondo, spostando navi di materiali in continuazione. Hanno progressivamente portato da sei mesi a quarantacinque giorni il livello temporale delle scorte: questo ha fatto innalzare di molto il prezzo delle granaglie, con margini di guadagno facilmente prevedibili. Il tutto sotto gli occhi indifferenti dei governi liberisti e favorevoli al mercato globale. Le “Sorelle” sono in grado di determinare a chi vendere e a chi non farlo mai a nessun prezzo i loro prodotti: quindi possono programmare chi può sopravvivere e chi invece può morire di fame. La Bunge y Born, in Argentina, viene chiamata “Il Polipo”; la Bunge, dice una storiella nel milieu degli agricoltori, presta denaro al contadino; la Bunge vende le sementi al contadino (ormai tutte geneticamente modificate ed irripiantabili l’anno seguente, quindi sterilizzate) e, quando il grano è biondo, Bunge vende al contadino la corda per impiccarsi. Confronta Maurizio Blondet: Complotti, Edizioni Effedieffe: secondo volume.
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