Storia
31 gennaio 2022 Ascanio della Cornia: un cattolico signore della guerra. Nel Libro de’ morti della Chiesa di San Pietro di Perugia, Segnato A, con varie memorie e ricordanze di diverse materie, vergato a mano troviamo scritto: Carta 59 recto: “Alli 11 di decembre 1571 fu portato nella nostra chiesa da Roma dove morì, l’illustrissimo signore Ascanio della Cornia. Morì per li disagii presi nella guerra navale fatta a Lepanto dalla Lega del Papa, re Filippo di Napoli et Spagna, et altri regni, signorie et la repubblica Venetiana. Gli furono fatti pompe funerale bellissime et portato il suo corpo a S. Francesco della Scarpa (S. Francesco al Prato). Et nota che per gratitudine delle spese da noi fatte fu dato, comenciando dalla Epifania sin al Sabbato Santo ogni settimana una cestella di tinche di ordine del cardinale Fulvio suo fratello et vescovo di Perugia”. (Manoscritto conservato nell’archivio del monastero di S. Pietro con la segnatura: ASPi, Diversi 33) Nell’abazia benedettina di San Pietro fu allestito un grande catafalco con relativi arredi funerari ed illuminato da un grandissimo numero di candele sul quale fu deposto il corpo di questo signore della guerra nobile perugino. Il manoscritto parla esplicitamente di un favore concesso, come ricompensa per i monaci, di una fornitura dal giorno della Epifania fino al giorno del sabato Santo, di una “cestella di tinche” pesci molto pregiati del lago Trasimeno. Erano una vera e propria regalia molto speciale, che all’epoca non era alla portata di tutti. A disporre questo segno di gratitudine era stato il fratello del defunto marchese Ascanio, Fulvio Giulio cardinale ed arcivescovo di Perugia e molto influente presso la Santa Sede. Vediamo ora più da vicino questa complessa figura di nobile e valoroso combattente, che aveva fatto della guerra la sua primaria vocazione e ragione di vita. Il periodo storico è piuttosto complicato ed intricato dal momento che l’Italia era divisa in tante piccole o grandi signorie perennemente in lotta tra loro e mai tranquille nemmeno al loro interno, dove spesso fazioni ed interessi personali creavano instabilità e confusione con strascichi di lutti, vendette ed odi perpetui. Ascanio della Cornia nasce a Perugia il 13 novembre 1516 da Francesco (detto Francia) Della Cornia e da Giacoma Ciocchi Del Monte. Suo fratello Fulvio Giulio, il cardinale, era più giovane di lui di un anno. Ascanio fu presto inviato a Roma presso lo zio Gian Maria Ciocchi del Monte cardinale di Santa Romana Chiesa nominato dal Papa Giulio II. Lo zio curò personalmente la preparazione umanistica e giuridica del nipote il quale sin dall’adolescenza si era dimostrato incline allo studio dell’arte ed in particolare dell’architettura militare. Bisogna notare che questa particolare branca era allora molto in auge, in quanto le difese delle città e dei territori erano affidate alla solidità di rocche e fortificazioni militari che ne garantivano la sicurezza. Il ragazzo dimostrò subito di avere una intelligenza molto vivace e delle innate doti che lo portavano ad eccellere in tutti i campi e nonostante la sua giovane età veniva seguito con interesse ed attenzione non solo dallo zio, ma anche dalla Curia romana di cui lo zio cardinale era un membro eminente. A soli sedici anni torna a Perugia, dove viene nominato ad un’alta carica del rione di Porta Susanna (è bene ricordare che in questo ambito interagirono anche grandi nomi come San Giovanni da Capestrano e San Bernardino da Siena entrambi emeriti giuristi laureatisi allo Studium Generalis di Perugia). La svolta essenziale della sua vita avverrà nel 1535 a Bologna dove era al seguito dello zio cardinale: qui infatti Guido Ragnoni lo arruolò nell’esercito che stava creando, favorevole a Francesco I, per attaccare Genova. Prese parte all’assedio di Mirandola, dove per le sue doti militari ed il suo valore fu scelto da Gugnin Gonzaga come suo alfiere. Lo ritroviamo scelto dal colonnello francese Cristoforo Guasco al comando di duecento fanti: durante la battaglia di Casale Monferrato contro gli Spagnoli, a causa di un colpo di lancia perse l’occhio destro. Qui gli avvenimenti si accavallano: dopo essere stato arrestato, tornato a Bologna fu involontariamente tradito dal conte Ugo Carpegna: la cosa sfociò in un duello che Ascanio della Cornia vinse: ma la sua adesione ai princìpi cristiani, lo portò ad accettare le scuse e a non eliminare l’avversario fisicamente, come magari la legge dell’onore avrebbe permesso. L’attaccamento alla fede lo portava sempre a scegliere seguendo i princìpi della dottrina cattolica: pur essendo un soldato, un fortissimo spadaccino un conto era guerreggiare, battersi contro i nemici ed anche eliminarli fisicamente nello scontro armato, altro sfruttare il suo grado di nobiltà o le sue alte parentele per prevaricare e sopraffare gli altri in nome del proprio interesse egoistico. La sua fama di condottiero valoroso era ormai diffusa e sarà bene far notare come all’epoca non esistesse una rigida appartenenza ad una sola bandiera o ad una sola causa: fu convinto da Piero Strozzi a sostenere la causa della fazione contraria ai Medici. Combatté alla battaglia di Montemurlo dove riuscì a scampare alla rotta degli antimedicei. Fu quindi chiamato al servizio della Serenissima Repubblica di Venezia proprio per la sua grande preparazione militare, per la perizia strategica e per le sue rinomate doti di architetto militare. All’epoca i grandi capitani di ventura erano in grado di fornire, per così dire chiavi in mano, tutto quello che serviva per creare un esercito dal nulla e ciò comportava un alto grado di guadagno. I Gonzaga di Mantova fornivano addirittura anche i cavalli, le armature, l’addestramento e la preparazione a tantissimi signori in Europa: solo la fornitura della cavalleria fruttava ingenti guadagni. Sotto le insegne della Serenissima partecipò all’assedio di Cattaro occupata dai Turchi ed a lui dopo la morte del capitano Orsini toccò l’onore di guidare l’assalto che portò alla liberazione del castello. Dopo varie vicissitudini che lo videro sempre con le armi in pugno, sempre per i suoi meriti passò sotto gli ordini di Pier Luigi Farnese dal quale ricevette l’incarico di presidiare Parma Piacenza e Rimini dove condusse un’opera di ristrutturazione delle strutture difensive, cosa che da lì a poco avrebbe fatto anche ad Avignone. In Francia fu presentato al re Francesco I che arruolatolo, lo schierò nella battaglia di Perpignano. A questo punto la militanza filo francese terminò e passò sotto le insegne dell’Impero: la facilità dei cambi di bandiera non meravigliava nessuno anche se, indubbiamente, lasciava un po’ di amaro in bocca a chi lo perdeva. Siamo nel 1545 e Marzio Colonna gli assegnò ben 500 fanti imperiali con cui raggiunse Casale Monferrato per difenderla dagli attacchi francesi. Qui subì l’onta ritenuta piuttosto grave, del disconoscimento della sua autorità militare da parte del fiorentino Giovanni Taddei, il quale fu sfidato a “singolar tenzone” che si concluse con la morte del Taddei. La cosa dette un grande prestigio al Della Cornia e l’episodio fu affrescato nel suo palazzo di Castiglion Del Lago, una piccola reggia molto elegante e raffinata creata per il lustro suo e della sua casata. Nel 1546 ci fu ancora una volta un cambiamento di campo: passò al servizio di Paolo III Farnese che lo spedì con 300 archibugieri, corpo di élite, in Germania a combattere i protestanti. L’anno successivo, fu nominato dal Papa colonnello-guardia di Ancona. Da notare la poliedrica e fantasiosa scelta delle cariche che venivano assegnate e che in buona sostanza davano, a chi le riceveva, un lustro ed un potere davvero speciali! Rimase nelle Marche per ben tre anni dove represse la rivolta di Fermo contro la Santa Sede capeggiata da Federico Nobili: ma la sua vittoria non fu l’unica soddisfazione che gli incorse: infatti ad Ancona lo raggiunse la notizia, per lui davvero molto bella, della elezione di suo zio Gian Maria al soglio pontificio con il nome di Giulio III: ovviamente questo avrebbe contribuito ad una svolta decisiva per la sua esistenza. In effetti Ascanio coltivava, senza alcuna reticenza e con estrema sincerità, due desideri: uno quello di diventare protagonista nelle vicende diplomatiche e militari europee contrassegnate dal perenne conflitto tra la Francia e gli Asburgo e secondo accanto a ciò, non perdeva mai di vista la possibilità della creazione di un suo dominio personale nelle terre dei Chiugi dove da secoli la sua famiglia aveva sempre goduto di una indiscussa preminenza. Intanto lo zio, neo eletto pontefice, lo nomina capitano generale della fanteria e della cavalleria in pratica il responsabile in toto delle armate pontificie. A ciò Giulio III fa seguire la concessione del Chiugi perugino, Castiglion del Lago, Montalera, Bastia e Montecolognola con relativi benefici economici e privilegi giurisdizionali per la durata di nove anni in capo alla sorella Giacoma, madre di Ascanio, in considerazione del fatto che la medesima aveva prestato ben 12000 scudi d’oro alla Camera apostolica. In realtà la durata del privilegio concesso era legato al fatto che con quasi certezza quella ingente somma non sarebbe mai stata restituita da parte della Camera apostolica diventando de facto una donazione, ma allo stesso tempo venivano poste le basi per la creazione di un marchesato castiglionese da parte dei Della Cornia in quanto nel breve di concessione papale era prevista la possibilità di una successione senza limiti temporali. Il 18 dicembre 1550 il Papa sancì il dominio personale di Ascanio e del fratello cardinale Fulvio sul territorio di Castel della Pieve (o Città della Pieve) staccando il territorio dal legato pontificio, come governatore perpetuo con possibilità di ereditarietà successiva stabilendo quindi il diritto di successione per linea maschile sui territori. Purtroppo Ascanio della Cornia non ebbe figli dal suo matrimonio e quindi il diritto ereditario passò in capo al nipote Diomede figlio della sorella Laura che affigliolò. Giulio III si avvalse dell’opera diplomatica del nipote per missioni presso il re di Francia Francesco I nelle quali trattò il ritorno di parma alla Santa Sede e la concessione ad Ottavio Farnese della città di Camerino ciò gli avvalse la concessione di una pensione di 2000 scudi annui, da parte del re francese, come riconoscimento del lavoro di mediazione svolto tra Francia e papato. Si stava concretizzando un suo passaggio all’Impero: Carlo V lo mise a capo di 4000 fanti e di altrettanti cavalieri del proprio esercito e su pressione della curia romana gli fu concessa anche la possibilità di poter mantenere al suo comando i 2000 uomini di cui disponeva prima: questi soldati tuttavia, non ebbero un comportamento molto irreprensibile abbandonandosi a saccheggi illeciti durante la guerra contro Siena. E’ necessario notare come in continuazione le città italiane si sollevassero contro l’autorità superiore per cercare di istaurare un ambito di autorità e di indipendenza da essa e diventare quindi un libero territorio svincolato da tutti. E’ facile immaginare la confusione che ciò comportava e la costante tensione che ne derivasse con eserciti più o meno privati che scorazzavano per le terre della penisola cercando di restaurare e imporre di nuovo l’ordine precedente. Nonostante i pressanti e sempre gravosi impegni militari sul campo, Della Cornia mantenne sempre degli stretti contatti con la natia Perugia facendole, tra l’altro, recuperare dei privilegi che alla città erano stati tolti da papa Paolo III (a questo pontefice si deve la costruzione della Fortificazione della città e la creazione della famosa Rocca paolina progettata e realizzata, con soluzioni estremamente audaci ed innovative, da Antonio da Sangallo). Fu naturalmente accolto in maniera trionfale in città insieme al fratello cardinale e nominato primus mercator. All’epoca nacque un rapporto di amicizia e collaborazione con l’Architetto perugino Galeazzo Alessi che per lui costruì un grandioso palazzo a Città della Pieve che incarnava materialmente la sua potenza ed autorità sancita dai privilegi concessi dall’autorità pontificia. Alessi costruì per il Della Cornia anche il palazzetto di Castiglion del Lago tra il 1552 ed il 1554 dove il marchese stabilì la sua stabile residenza e dove dava sontuose feste per la nobiltà che spesso tramava per cercare di ucciderlo. Niente era lasciato al caso e tutti i mezzi erano buoni per raggiungere lo scopo: si arruolavano briganti da strada, compagnie di straccioni come i cerretani, di tagliagole che sbarcavano il lunario compiendo soprusi e rapine nei confronti della povera gente. Il Della Cornia cercava di reprimere in maniera drastica questo stato di cose, ma spesso anche lui poneva in essere comportamenti non proprio lineari e davvero molto smagiassi e prepotenti. Insidiava fanciulle, poneva ostacoli a matrimoni, si impadroniva con la forza di cose non sue ed arrivava addirittura al tentato omicidio. Aveva necessità di avere accanto a sé un fedele servitore che svolgesse i compiti sia di guardiaspalle che di protettore della sua incolumità personale. Questa persona era Vincenzo Anastagi capitano della sua guardia personale valoroso combattente che aveva conosciuto durante la liberazione di Malta dai Turchi. Uomo accorto oltre che valoroso capace di svolgere anche delicate missioni di intelligence per il suo signore, ma riusciva a farlo con eleganza e discrezione, ma anche con acume e professionalità. Fu lui ad esempio a scoprire e sventare una congiura, ordita da alcuni nobili perugini, per poterlo uccidere. Ascanio aveva deciso di dare una sontuosa festa nel suo palazzo di Castiglion del Lago festa che si sarebbe protratta per alcuni giorni ed alla quale aveva invitato tutta la crema dell’aristocrazia perugina. L’attentato doveva avvenire durante una rappresentazione teatrale che rievocava il valoroso contributo di Della Cornia all’assedio di Malta. Ma Anastagi anche grazie al decisivo intervento del cardinale Fulvio con molta abilità ed anche teatralità sventò l’attentato. Prima privato, fu poi reintegrato nel possesso dei suoi beni da Pio IV nel 1560 lo nominò vicario a vita di Castiglion del Lago e governatore perpetuo di Città della Pieve anche se con l’obbligo di pagare 2000 scudi oro l’anno alla Camera Apostolica; poi nel gennaio del 1561 fu incaricato di rivedere insieme a Latino Orsini e Galeazzo Alessi le difese di Roma. Pio IV era inoltre intenzionato ad inviarlo a Trento con un numero cospicuo numero di fanti e cavalieri per presidiare il Concilio in svolgimento in quella città, ma la cosa cadde nel nulla per l’opposizione imperiale che non voleva dare pretesti ai protestanti. Ma sicuramente gli episodi più rilevanti della sua carriera militare furono la partecipazione al gran soccorso di Malta e la sua partecipazione alla preparazione ed al successivo svolgimento della battaglia navale di Lepanto. In entrambi i casi il suo coinvolgimento fu totale: la lotta ai Turchi e la difesa della cristianità rappresentavano per lui non solo un dovere, ma anche mettersi al servizio integrale della fede cattolica. La sua fama di valoroso condottiero, di esperto di architettura militare, le sue capacità strategiche e la lucidità di discernimento sul da farsi lo ponevano in una posizione di grande prestigio e di chiara fama. Cominciamo con la difesa di Malta. Nel 1565 fu chiamato da Don Garcia Alvarez di Toledo viceré di Catalogna e di Sicilia a Messina per decidere insieme a lui se affrontare i Turchi in una battaglia navale oppure procedere alla difesa dell’isola. Gli fu comunque assegnato, su volere del Gran Maestro La Valette, di presiedere alla sua fortificazione. Ascanio Della Cornia si portò al suo seguito ben 8000 tra fanti italiani e spagnoli: nel consiglio di guerra si decise di non procedere ad uno scontro navale e di privilegiare la difesa terrestre dell’isola. La decisione fu presa in quanto Filippo II era decisamente contrario ad affrontare in mare i Turchi dopo la disfatta spagnola nella battaglia di Gerba. Durante l’assedio Della Cornia fu protagonista di parecchi episodi di valore e di perizia militare decisivi per la sconfitta delle armi turche. Dopo la vittoria fu invitato in Spagna da Filippo II per rendergli conto dei lavori da lui voluti e realizzati e della strategia adottata, decisiva per la vittoria cristiana: il re gli diede soddisfazione anche delle somme che non gli erano state precedentemente pagate ed ammontanti a ben 50000 scudi, ma oltre a ciò gli conferì la carica di maestro di campo generale di tutto il regno e lo nominò altresì membro del Consiglio di Napoli. Tornato a Malta, propose di fortificarla a suo modo, incontrando notevoli contrasti sui progetti da realizzare. Anche la nomina a membro del Consiglio di Napoli destò grandi contrasti che furono risolti da un interventi deciso e diretto di Filippo II che stabilì le sue precise competenze militari ed i suoi poteri in quell’ambito. Sappiamo bene tutti quanto sforzo diplomatico ci volle per poter mettere in campo la Lega Santa tra i principi cristiani: essa cominciò a concretizzarsi con l’assedio di Famagosta da parte dei Turchi difesa in maniera eroica da Marcantonio Bragadin. Gli aderenti alla Lega erano: Spagna, Repubblica di Venezia, lo Stato della Chiesa, Cavalieri di Malta, la Repubblica di Genova, il Granducato di Toscana, il Ducato d'Urbino, il Ducato di Parma, la Repubblica di Lucca, il Ducato di Ferrara, il Ducato di Mantova ed il Ducato di Savoia. Spicca, come vedete, la mancanza della Francia che si era alleata con i Turchi in funzione anti imperiale. Il crescere del pericolo che il Mediterraneo cadesse in mano agli ottomani spingeva San Pio V ad essere pressante nei confronti della creazione di una potente flotta e l’azione del Papa non si limitò al solo campo militare, ma lanciò una Crociata spirituale in tutte le nazioni cattoliche affinché gli sforzi militari fossero sostenuti dalla recita del Santo Rosario. Nello Stato Pontificio in tutte le chiese, gli ordini predicanti (domenicani e francescani) svolsero un’azione capillare, perché non solo il Rosario venisse recitato, ma anche, perché il maggior numero di persone si arruolassero nella marina pontificia. Pensate che persino da Spelonga, un remoto paesino vicino ad Arquata del Tronto in provincia di Ascoli Piceno, partirono dei volontari: sicuramente non erano dei provetti marinai, ma di certo erano degli abilissimi boscaioli e degli ottimi conoscitori e lavoranti del legno. Bene, questo manipolo di “montanari” si coprì di gloria a Lepanto ed addirittura uno di loro, con l’agilità di un felino, riuscì, a colpi d’ascia a staccare il pennone che reggeva la bandiera di una galea turca: quel cimelio è ancora conservato nella chiesa parrocchiale del paese, dove ogni due anni si svolge la Festa Bella per ricordare quell’episodio. La recita del Santo Rosario veniva scrupolosamente rispettata anche dei soldati della Lega e con fervore e fede lo recitava anche Ascanio Della Cornia insieme ai suoi soldati ogni giorno.
In vista dello scontro decisivo con i Turchi, Ascanio assunse anche la carica, molto rilevante di maestro di campo generale delle fanterie della Lega dei principi cristiani che da lì a poco avrebbe affrontato i Turchi. Il 25 agosto don Giovanni d’Austria comandante della potente flotta cattolica lo consultò per sapere il suo parere se salpare o no da Messina: ed espresse anche la sua ascoltata opinione nel consiglio di guerra che si tenne nella città siciliana. Nel settembre del 1571 fece arrivare le sue conclusioni scritte sia a don Giovanni d’Austria che al re Filippo II riprendendo delle osservazioni già pubblicate a Firenze nello stesso anno (Due discorsi dell’Ill.mo A Della Cornia al Ser.mo Don Giovanni D’Austria circa il combattere con l’armata turchesca). Durante la battaglia di Lepanto fu un condottiero valoroso e sempre con la spada in mano per guidare i suoi soldati all’assalto del nemico: sapeva molto bene incoraggiare e spronare i suoi sottoposti ed era molto rispettato ed amato dalla truppa. Gli sforzi che propinò furono davvero enormi ed il suo fisico cominciò a risentirne; nonostante ciò dopo la vittoria a Lepanto gli venne assegnato l’incarico di ristrutturare la fortezza di Santa Maura (Aghia Mavra punta orientale dell’isola di Lefkada) che era ancora in mano al nemico. Della Cornia espresse parere negativo sul piano per assalire la fortezza molto ben circondata dal mare. Era arrivato il momento di tornare a Roma: il viaggio cominciò il 19 novembre per terminare il 22. Ma durante il trasferimento fu colto da febbre: il 6 dicembre questo indomito combattente cristiano morì serenamente nel palazzo del fratello cardinale Fulvio a Roma. Durante tutto il tragitto di trasferimento della sua salma fu con grande pompa onorato in ogni tappa del viaggio di ritorno verso Perugia. Qui, come abbiamo visto, la salma fu esposta con grandi onori nell’abazia benedettina di San Pietro per ben tre giorni ed onorata da un grandissimo afflusso di popolo e di nobiltà, dopo di che fu tumulata nella cappella di famiglia nella chiesa di San Francesco della Scarpa (San Francesco al Prato) proprio accanto all’Oratorio di San Bernardino, entrambe tra le chiese più belle di Perugia.
Luciano Garofoli ... |