Essere
per l’eternità
“Soltanto
la libertà rende possibile la ‘decisione’ ovvero la scelta
assoluta dell’Assoluto che è ‘Dio nel tempo’ (Gesù Cristo) in
cui consiste per il cristiano l’atto di fede, il rischio assoluto
della salvezza”.
Solamente se si
riesce a superare la fase del peccato (la ribellione della volontà),
l’uomo può, tramite il sincero pentimento e la giusta penitenza,
ergersi alla sfera della speranza: “Il circolo della libertà
sembra crescere per spinta propria all’interno di se stesso e
toccare il centro dell’io dall’interno delle sue aspirazioni che
è la soddisfazione del Sommo Bene, il conseguimento della felicità
eterna oltre il tempo e la morte. Così, mentre la fede che fa
aderire l’anima a Dio e ai supremi misteri della salvezza mette lo
spirito in tensione, la speranza quale virtù teologica mette
nella ‘protensione’ che è lo slancio di aspirazione verso il
futuro teologico che è il conseguimento di Dio. [...] Proprio alla
speranza spetta il compito di sopportare e svolgere l’arduo compito
della vita cristiana, di sostenerla nelle sue prove, di animarla e
stimolarla nei momenti di maggiore oscurità, pena e dolore. Essa è
la ‘virtù esistenziale’ per eccellenza. [...] I ‘momenti’
della speranza dovrebbero articolarsi con dinamismo opposto a quello
del Sein und Zeit (‘Essere e tempo’) di Martin Heidegger.
All’’essere nel tempo’, che è necessariamente un essere
intrinsecamente finito – ed appunto secondo l’espressione
agghiacciante di Heidegger un ‘essere per la morte’ (Sein zum
Tode) – bisogna contrapporre un ‘essere per l’eternità’
ed allo pseudo-trascendersi della esistenza (Dasein) nel
mondo, il trascendere della libertà nella vita eterna che
fiorisce appunto nella speranza oltre la tomba. [...] La speranza
scuote l’anima dalla pigrizia, liberandola dalla ‘presunzione’
di una fede inerte e senza opere d’amore, e riempie l’uomo di
filiale fiducia verso il Padre celeste che ci ha creati con amore,
verso il Figlio che ci ha redenti con amore e lo Spirito Santo che ci
santifica nell’amore. L’amore onnipotente e l’onnipotenza
amorosa, ecco il cardine della speranza come movimento esistenziale.
Questa struttura amorosa della speranza esistenziale è una
caratteristica della teologia paolina: ‘L’amore tutto spera’ (I
Cor 13,7)”.
Abbiamo visto come
“verità e libertà sono per lo spirito finito due esigenze
convergenti, essenzialmente complementari: sono le due ali che ci
permettono di elevarci a volo dal grigiore informe della possibilità
verso la concretezza della realtà a cui si volge la verità”.
Nella “sintesi in movimento, mai compiuta, di finito e d’Infinito”
in cui consiste l’enigma della libertà, la testimonianza per
eccellenza è data dal martirio, il donare la propria vita
nell’atto estremo del sacrificio della vita stessa, “come
partecipazione alla Morte di Cristo”. “La
testimonianza attinge il suo significato radicale nella verità che
salva e la sua istanza radicale nel testimonium sanguinis la
cui effusione ...melius loquentem quam Abel (Hebr.
12,24)”. Il martirio cristiano implica due elementi: uno oggettivo,
ed è “la verità rivelata che trascende ogni mente creata” ossia
“i dogmi della fede”; e uno soggettivo, che è “la
testimonianza davanti al mondo, l’esercizio dell’atto di fede: il
passaggio dal ‘si deve credere’ oggettivo allo ‘Io
credo’ che è il passaggio dalla possibilità alla realtà oppure
il passaggio dal dover essere all’essere. Qui si palesa per noi il
momento più profondo della vita dello spirito nel suo costituirsi
come persona, ossia come soggetto responsabile della scelta rispetto
al suo fine ultimo concreto e della sua attuazione esistenziale. Qui
verità e libertà si ergono e s’impongono al massimo della loro
distinzione ed insieme attuano la più intima e operante
appartenenza”. Se credo “salgo alla verità che salva”, laddove
la libera decisione costituisce “quel ‘supplemento d’anima’
che è la forza dell’amore”. Nello specifico dell’atto della
fede teologica “si tratta di un ‘supplemento di tutta l’anima’,
perché esso implica tutta la libertà, ossia vuole la rinuncia in
atto o almeno come disposizione a perdere tutta l’anima ossia la
vita presente in questa vita, per guadagnare tutta l’anima nella
vita a venire”. Ecco perché S. Tommaso afferma che “il battesimo
che più ci unisce a Cristo non è quello dell’acqua, ma è quello
del sangue ‘in quantum quis conformatur Christo patiendo’”.
Infatti “ogni testimonianza è tale in proporzione della conformità
al Modello ossia nella comunione alla sua morte di Croce”. “Stefano
è testimone di Cristo, perché ha sparso il sangue per Cristo (Atti
22,20). Per questo il martire è il soccombente vittorioso al quale è
attribuita la palma del trionfo”. In questo senso Kierkegaard
critica la Cristianità stabilita luterana del XIX secolo (ma lo
stesso discorso si potrebbe ribadire oggi in merito alla chiesa
bergogliana) che ha abdicato alla sua missione di conformità, o
contemporaneità, con Cristo: “Il Cristianesimo col suo bisogno di
soffrire per la fede fino alla morte vinse il mondo. Questo bisogno
del martirio era la sua intolleranza ‘sofferente’. Ora esso ha
perso la voglia e il desiderio di soffrire, ha perduto
l’intolleranza del martirio e si accontenta di essere una religione
come le altre, sullo stesso piano del Giudaismo, del Paganesimo,
dell’ateismo” (Diario 1851-1852). E quante chiacchiere
abbiamo dovuto subire in questo lunghissimo e infinito postconcilio
fra martiniane “cattedre di non credenti” e inutili dialoghi
interreligiosi ed ecumenici, rinunciando sempre all’identità
specifica, cattolica, immutabile, dogmatica della Chiesa di sempre!
Un martirio...sì....della vera fede. Il cristiano autentico invece
“deve volgersi contro la Folla, ogni vero martire cadrà per mano
della Folla. Cioé proprio per testimoniare che esiste Dio”, “come
Cristo segno di contraddizione”. “Il testimonio trova nella morte
il compimento della sua missione e ne ringrazia Iddio che a sua volta
ringrazia il testimonio”. Ed è significativo che questo luterano
danese dell’800 ammetta che “i testimoni della verità sono ‘i
gloriosi Santi’ che il Cattolicesimo ha ragione di venerare e
canonizzare”.
Andrea Colombo
TEOLOGIA DELLA LIBERTÀ
PARTE 9