31 luglio 2021 Mons. Viganò: "LAPIDES CLAMABUNT" VIDEO
LAPIDES
CLAMABUNT
Dico
vobis quia si hii tacuerint, lapides clamabunt.
Lc
19, 40
Traditionis
custodes:
questo è l’incipit
del
documento con il quale Francesco cancella d’imperio il precedente
Motu Proprio Summorum
Pontificum di
Benedetto XVI. Non sarà sfuggito il tono quasi canzonatorio della
ampollosa citazione di Lumen
gentium:
proprio nel momento in cui Bergoglio riconosce i Vescovi come custodi
della Tradizione, chiede loro di impedirne l’espressione orante più
alta e sacra. Chi cerca di trovare nelle pieghe del testo un qualche
escamotage
per aggirarlo sappia che la bozza fatta pervenire alla Congregazione
per la Dottrina della Fede per la revisione era estremamente più
drastica del testo finale: una conferma, se mai ve ne fosse stato
bisogno, che non sono state necessarie particolari pressioni da parte
dei nemici storici della Liturgia tridentina – ad iniziare dagli
eruditi del Sant’Anselmo – per convincere Sua Santità a
cimentarsi in ciò che gli riesce meglio: demolire. Ubi
solitudinem faciunt, pacem appellant.
Il
modus operandi di Francesco
Francesco
ha sconfessato ancora una volta la pia illusione dell’ermeneutica
della continuità,
affermando che la coesistenza tra Vetus
e Novus
Ordo è
impossibile perché questi sono espressione di due impostazioni
dottrinali ed ecclesiologiche inconciliabili. Da un lato vi è la
Messa Apostolica, voce della Chiesa di Cristo; dall’altro la
“celebrazione eucaristica” montiniana, voce della chiesa
conciliare. E non è, questa, un’accusa pur legittima mossa da chi
esprime riserve sul rito riformato e sul Vaticano II; ma
un’ammissione, anzi una orgogliosa affermazione di appartenenza
ideologica da parte dello stesso Francesco, capo della fazione più
estremista del progressismo. Il suo duplice ruolo di papa e di
liquidatore della Chiesa Cattolica gli permette da un lato di
demolirla a colpi di decreti e atti di governo, dall’altro di usare
del prestigio che la sua carica comporta per instaurare e diffondere
la nuova religionesulle macerie di quella
vecchia. Poco importa se le modalità con cui egli agisce contro Dio,
contro la Chiesa e contro il gregge del Signore sono in stridente
conflitto con i suoi appelli alla parresia,
al dialogo, al costruire ponti e non erigere muri: la chiesa
della misericordia
e l’ospedale
da campo
si rivelano vuoti artifici retorici, quando a beneficiarne dovrebbero
essere i Cattolici e non eretici o fornicatori. In realtà, ognuno di
noi sa bene che l’indulgenza di Amoris
laetitia nei
riguardi dei pubblici concubinari e degli adulteri sarebbe ben poco
immaginabile verso quei “rigidi”, contro i quali Bergoglio
scaglia i suoi strali appena ne ha l’occasione.
Abbiamo
compreso tutti, dopo anni di pontificato, che le ragioni addotte da
Bergoglio per declinare un incontro con un Prelato, un politico o un
intellettuale conservatore non valgono per il Cardinale molestatore,
il Vescovo eretico, il politico abortista, l’intellettuale
globalista. Vi è, insomma, una palese differenza di comportamento,
dalla quale si può cogliere la parzialità e partigianeria di
Francesco a tutto vantaggio di qualsiasi ideologia, pensiero,
progetto, espressione scientifica, artistica o letteraria che non sia
cattolica. Tutto ciò che anche solo vagamente rievoca alcunché di
cattolico sembra suscitare nell’inquilino di Santa Marta
un’avversione a dir poco sconcertante, non fosse che in ragione del
Soglio sul quale egli sta assiso. Molti hanno rilevato questa
dissociazione, questa sorta di bipolarismo di un papa che non si
comporta da Papa e non parla come un Papa. Il problema è che non ci
troviamo dinanzi ad una sorta di latitanza
del
Papato, come potrebbe avvenire in presenza di un Pontefice malato o
molto anziano; ma di un’azione costante, organizzata e pianificata
in senso diametralmente opposto all’essenza stessa del Papato. Non
solo Bergoglio non condanna gli errori del tempo presente – non lo
ha mai fatto! – ribadendo con forza la Verità cattolica, ma si
adopera attivamente a divulgarli, a farsene promotore, a
incoraggiarne i fautori, a diffonderne le massime e ad ospitarne in
Vaticano gli eventi, mentre mette a tacere quanti quegli errori li
denunciano. Non solo non punisce i Prelati fornicatori, ma li
promuove e li difende addirittura mentendo, mentre rimuove Vescovi
conservatori e non dissimula il fastidio per gli accorati appelli dei
Cardinali non allineati al nuovo corso. Non solo non condanna i
politici abortisti che si proclamano cattolici, ma interviene per
impedire che la Conferenza Episcopale si pronunci a tal proposito,
contraddicendo quel sentiero
sinodale
che sull’altro versante gli consente di avvalersi di una minoranza
di ultraprogressisti per imporre la propria volontà alla maggioranza
dei Padri sinodali.
La
costante di questo atteggiamento, rilevabile nella sua forma più
sfrontata e arrogante in Traditionis
custodes,
è la duplicità e la menzogna. Una duplicità di facciata, ben
inteso, quotidianamente sconfessata da prese di posizione tutt’altro
che prudenti a favore di una parte ben precisa, che per brevità
possiamo identificare con la Sinistra ideologica, anzi con la sua
evoluzione più recente in chiave globalista, ecologista, transumana
e LGBTQ. Siamo giunti al punto che anche le persone semplici e poco
addentro alle questioni dottrinali hanno compreso che abbiamo un papa
non cattolico, quantomeno nel senso stretto del termine. Questo pone
dei problemi di natura canonica non indifferenti, che non sta a noi
risolvere ma che prima o poi andranno affrontati.
L’estremismo
ideologico
Un
altro elemento significativo di questo pontificato, portato alle
estreme conseguenze con Traditionis
custodes,
è l’estremismo ideologico di Bergoglio. Un estremismo che è
deplorato a parole quando riguarda altri, ma che si mostra nella sua
espressione più violenta e spietata quando è lui stesso a metterlo
in pratica contro i sacerdoti e i laici legati al rito antico e
fedeli alla Sacra Tradizione. E mentre nei riguardi della Fraternità
San Pio X egli si mostra disposto a concessioni e a rapporti di “buon
vicinato”, verso i poveri sacerdoti e fedeli che per mendicare una
Messa in latino devono sopportare mille umiliazioni e ricatti non
mostra alcuna comprensione, alcuna umanità. Questo comportamento non
è casuale: il movimento di Monsignor Lefebvre gode di una propria
autonomia e indipendenza economica, e per questo non ha motivo di
temere ritorsioni o commissariamenti da parte della Santa Sede;
mentre i Vescovi, i sacerdoti e i chierici incardinati nelle Diocesi
o negli Ordini religiosi sanno che su di loro grava la spada di
Damocle della rimozione, della dimissione dallo stato ecclesiastico,
della privazione degli stessi mezzi di sussistenza.
L’esperienza
della Messa Tridentina nella vita sacerdotale
Chi
ha avuto l’opportunità di seguire i miei interventi e le mie
dichiarazioni, sa bene quale sia la mia posizione sul Concilio e sul
Novus Ordo;
ma sa anche quale sia la mia formazione, il mio curriculumal servizio della
Santa Sede e la mia presa di coscienza relativamente recente a
proposito dell’apostasia e della crisi in cui ci troviamo. Per
questo motivo, tengo a ribadire la mia comprensione per il percorso
spirituale di coloro che, proprio a causa di questa situazione, non
possono o non sono ancora in grado di compiere una scelta radicale,
come ad esempio celebrare o assistere esclusivamente alla Messa di
San Pio V. Molti sacerdoti scoprono i tesori della veneranda Liturgia
tridentina solo nel momento in cui la celebrano e se ne lasciano
permeare, e non è raro che l’iniziale curiosità verso la “forma
straordinaria” – certamente affascinante per la solennità
composta del rito – si muti presto nella consapevolezza della
profondità delle parole, nella chiarezza della dottrina, nella
ineguagliabile spiritualità che essa fa nascere e alimenta nelle
nostre anime. Vi è un’armonia perfetta che le parole non possono
esprimere, e che il fedele riesce a comprendere solo in parte, ma che
toccano il cuore del Sacerdozio come solo Dio sa fare. Lo possono
confermare i miei Confratelli che si sono avvicinati all’usus
antiquior
dopo decenni di obbediente celebrazione del Novus
Ordo: si
apre un mondo, un cosmo che comprende la preghiera del Breviario con
le lezioni dei Mattutini e i commenti dei Padri, i rimandi ai testi
della Messa, il Martirologio nell’Ora di Prima... Sono parole sacre
non perché sono espresse in latino, ma al contrario sono espresse in
latino perché la lingua del volgo le avvilirebbe, le profanerebbe
appunto, come osservava saggiamente dom Guéranger. Sono le parole
della Sposa allo Sposo divino, parole dell’anima che vive in intima
unione con Dio, dell’anima che si lascia inabitare dalla Santissima
Trinità. Parole essenzialmente sacerdotali, nell’accezione più
profonda del termine, che implica nel Sacerdozio non solo il potere
di offrire il sacrificio, ma di unirsi nell’oblazione di sé alla
Vittima pura, santa e immacolata. Nulla a che vedere con gli
sproloqui del rito riformato, troppo intento a compiacere la
mentalità secolarizzata per rivolgersi alla Maestà di Dio e alla
Corte celeste; così preoccupato di rendersi comprensibile, da dover
rinunciare a comunicare alcunché se non ovvietà prive di vigore;
così attento a non urtare la suscettibilità degli eretici, da
permettersi di tacere la Verità proprio nel momento in cui il
Signore Iddio si rende presente sull’altare; così timoroso di
chiedere al fedele il minimo impegno, da banalizzare il canto sacro e
ogni espressione artistica legata al culto. Il semplice fatto che
alla redazione di quel rito abbiano collaborato dei pastori luterani,
dei modernisti e massoni notori dovrebbe far comprendere, se non la
malafede e il dolo, quantomeno la mentalità orizzontale, priva di
slancio soprannaturale, che ha mosso gli autori della cosiddetta
“riforma liturgica”. I quali, per quel che è dato sapere, non
brillarono certo della santità di cui rifulgono gli autori sacri dei
testi dell’antico Missale
Romanum e
dell’intero corpus
liturgico.
Quanti
di voi sacerdoti – e certamente anche molti laici – nel recitare
i versi mirabili della Sequenza di Pentecoste vi siete commossi fino
alle lacrime, comprendendo che quella vostra iniziale predilezione
per la liturgia tradizionale non aveva nulla a che vedere con uno
sterile compiacimento estetico, ma si era evoluta in una vera e
propria necessità spirituale, irrinunciabile come lo è respirare?
Come potete, come possiamo spiegare a chi oggi vorrebbe privarvi di
questo bene inestimabile, che quel rito benedetto vi ha fatto
scoprire la vera natura del vostro Sacerdozio, e che da esso e solo
da esso potete trarre forza e nutrimento per affrontare gli impegni
del vostro ministero? Come far comprendere che il ritorno obbligato
al rito montiniano rappresenta per voi un sacrificio impossibile,
perché nella quotidiana battaglia contro il mondo, la carne e il
diavolo esso vi lascia disarmati, prostrati e senza forze?
È
evidente che solo chi non ha celebrato la Messa di San Pio V può
considerarla come un fastidioso orpello del passato, del quale si può
fare a meno. Anche molti giovani sacerdoti, abituati sin dalla loro
adolescenza al Novus Ordo, hanno compreso che le due forme del
rito non hanno nulla in comune, e che una è talmente superiore
all’altra da mostrarne tutti i limiti e le criticità, al punto da
rendere quasi penoso celebrarla. Non è questione di nostalgia, di
culto del passato: qui parliamo della vita dell’anima, della sua
crescita spirituale, dell’ascesi e della mistica. Concetti che
quanti vedono il proprio Sacerdozio come un mestiere non possono
nemmeno comprendere, così come non possono comprendere lo strazio
che prova un’anima sacerdotale nel vedere profanate le Specie
Eucaristiche durante i grotteschi riti di Comunione all’epoca della
farsa pandemica.
La
visione riduttiva della liberalizzazione della Messa
Ecco
perché trovo estremamente sgradevole dover leggere in Traditionis
custodes
che il motivo per il quale Francesco ritiene che il Motu Proprio
Summorum
Pontificum abbia
potuto essere promulgato quattordici anni fa risiede solo nella
volontà di ricomporre il cosiddetto scisma di Monsignor Lefebvre.
Certo, il calcolo “politico” può aver avuto il suo peso,
soprattutto all’epoca di Giovanni Paolo II, anche se allora i
fedeli della Fraternità San Pio X erano numericamente pochi; ma la
richiesta di poter ridare cittadinanza alla Messa che per due
millenni ha nutrito la santità dei fedeli e ha dato linfa vitale
alla civiltà cristiana non può esaurirsi in un fatto contingente.
Con
il suo Motu Proprio, Benedetto XVI ha ridato alla Chiesala Messa Apostolica
Romana, dichiarando che essa non era mai stata abolita.
Indirettamente, egli ha ammesso che da parte di Paolo VI vi fu un
abuso, quando per imporre d’autorità il suo rito proibì con
spietatezza la celebrazione della Liturgia tradizionale. E anche se
in quel documento vi possono essere degli elementi incongruenti, come
ad esempio la compresenza delle due forme dello stesso rito, possiamo
ritenere che questi siano serviti per consentire la diffusione della
forma straordinaria, senza colpire quella ordinaria. In altri tempi,
sarebbe parso incomprensibile lasciar celebrare una Messa intrisa di
equivoci e omissioni, quando l’autorità del Pontefice avrebbe
potuto semplicemente ripristinare l’antico rito. Ma oggi, con il
pesante fardello del Vaticano II e con la mentalità secolarizzata
ormai diffusa, anche la sola liceità di celebrare senza permessi la
Messa Tridentina può essere considerata un bene innegabile; un bene
che è sotto gli occhi di tutti, per i copiosi frutti che porta nelle
comunità in cui essa viene celebrata. E che di frutti ne avrebbe
portati ancora di più, se solo si fosse applicato Summorum
Pontificum in
tutti i suoi punti e con spirito di vera comunione ecclesiale.
Il
presunto «uso strumentale» del Missale Romanum
Francesco
sa bene che il sondaggio effettuato presso i Vescovi di tutto il
mondo non ha dato esiti negativi, nonostante la formulazione delle
domande lasciasse comprendere quali fossero le risposte che egli si
aspettava di ricevere. Quella consultazione fu un atto pretestuoso,
per far credere che la decisione da lui assunta fosse inevitabile e
frutto di una richiesta corale dell’Episcopato. Sappiamo tutti che
se Bergoglio vuole ottenere un risultato, non esita a ricorrere a
forzature, menzogne e colpi di mano: le vicende degli ultimi Sinodi
lo hanno dimostrato aldilà di ogni ragionevole dubbio, con
l’Esortazione Post-sinodale redatta ancor prima della votazione
dell’Instrumentum
laboris.
Anche in questo caso, quindi, lo scopo prefissato era l’abolizione
della Messa Tridentina e la profasis,
ossia la scusa apparente, doveva essere il presunto «uso
strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più
caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma
liturgica, ma del Concilio Vaticano II»
(qui).
Di quest’uso strumentale, in tutta onestà, si può casomai
accusare la Fraternità San Pio X, che ha tutto il diritto di
affermare ciò che ognuno di noi sa benissimo, ossia che la Messa di
San Pio V è incompatibile con la dottrina e l’ecclesiologia
postconciliare. Ma la Fraternità non è toccata dal Motu Proprio, e
celebra da sempre usando il Messale del 1962 proprio in forza di quel
diritto inalienabile che Benedetto XVI ha riconosciuto, e non creato
ex
nihilo nel
2007.
Il
sacerdote diocesano che celebra la Messa nella chiesa che gli ha
destinato il Vescovo, e che ogni settimana deve subire il terzo grado
per le delazioni di zelanti cattolici progressisti solo perché ha
osato far recitare il Confiteor prima di amministrare la
Comunione ai fedeli, sa benissimo che non può parlar male del Novus
Ordo o del Concilio, perché alla prima sillaba si troverebbe già
convocato in Curia e spedito in una pieve sperduta tra i monti. Quel
silenzio, spesso doloroso e quasi sempre percepito da tutti come più
eloquente di tante parole, è lo scotto da pagare per avere la
possibilità di celebrare la Santa Messa di sempre, per non privare i
fedeli delle Grazie che essa riversa sulla Chiesa e sul mondo. E quel
che è ancor più assurdo, è che mentre ci sentiamo dire impunemente
che la Messa Tridentina dev’essere abolita perché incompatibile
con l’ecclesiologia del Vaticano II, non appena noi diciamo la
stessa cosa – ossia che la Messa montiniana è incompatibile con
l’ecclesiologia cattolica – siamo immediatamente fatti oggetto di
condanna e la nostra affermazione viene usata come prova al tribunale
rivoluzionario di Santa Marta.
Mi
chiedo quale malattia spirituale possa aver colpito i Pastori in
questi decenni, per condurli ad essere non padri amorevoli ma
spietati censori dei loro sacerdoti, occhiuti funzionari pronti a
revocare tutti i diritti in forza di un ricatto che non cercano
nemmeno di dissimulare. Questo clima di sospetto non giova
minimamente alla serenità di tanti buoni sacerdoti, quando il bene
che essi compiono è sempre posto sotto la lente di funzionari, che
considerano i fedeli legati alla Tradizione come un pericolo, come
una presenza fastidiosa da tollerare a patto che non emerga troppo.
Ma come si può anche solo concepire una Chiesa in cui il bene è
sistematicamente ostacolato, e chi lo compie viene visto con sospetto
e tenuto sotto controllo? Comprendo quindi lo scandalo di tanti
Cattolici, fedeli e non pochi sacerdoti, dinanzi a questo «pastore
che invece di sentire l’odore delle sue pecore, le picchia
rabbiosamente con un bastone»
(qui).
L’equivoco
di poter fruire di un diritto come se fosse una graziosa concessione
lo ritroviamo anche nella cosa pubblica, dove lo Stato si permette di
autorizzare spostamenti, lezioni scolastiche, aperture delle attività
e svolgimento del lavoro, a patto che ci si sottoponga
all’inoculazione del siero genico sperimentale. Così, come la
“forma straordinaria” è concessa dietro accettazione del
Concilio e della Messa riformata, anche nella sfera civile i diritti
dei cittadini sono concessi dietro accettazione della narrazione
pandemica, della vaccinazione e dei sistemi di tracciamento. Non
stupisce che in molti casi siano proprio sacerdoti e Vescovi – e lo
stesso Bergoglio – a chiedere che per accedere ai Sacramenti si sia
vaccinati: la perfetta sincronia dell’azione sui due versanti è a
dir poco inquietante.
Ma
dov’è dunque quest’uso strumentale del Missale
Romanum? Vogliamo piuttosto parlare
dell’uso strumentale del Messale di Paolo VI, questo sì – per
parafrasare le parole di Bergoglio – sempre di più caratterizzato
da un rifiuto crescente non solo della tradizione liturgica
preconciliare, ma di tutti i Concili Ecumenici precedenti al Vaticano
II? D’altra parte, non è proprio Francesco a considerare una
minaccia per il Concilio il semplice fatto che si possa celebrare una
Messa che sconfessa e condanna tutte le deviazioni dottrinali del
Vaticano II?
Altre
incongruenze
Mai
nella Storia della Chiesa un Concilio o una riforma liturgica
costituirono un punto di rottura tra il prima e il dopo! Mai nel
corso di questi due millenni i Romani Pontefici hanno deliberatamente
tracciato un confine ideologico tra la Chiesa che li aveva preceduti
e quella che si trovavano a governare, cancellando e contraddicendo
il Magistero dei loro Predecessori! Quel prima
e quel dopo,
invece, sono divenuti un’ossessione, tanto di quelli che
prudentemente insinuavano errori dottrinali dietro espressioni
equivoche, quanto di coloro che – con la sfrontatezza di chi crede
di aver vinto – propagandavano il Vaticano II come «il
1789 della Chiesa», come un evento
“profetico” e “rivoluzionario”. Prima del 7 Luglio 2007,
dinanzi alla liberalizzazione del rito tradizionale, un noto
cerimoniere pontificio rispose piccato «Indietro
non si torna!» Evidentemente, a
Summorum Pontificum promulgato,
con Francesco si può tornare indietro eccome, se serve a conservare
il potere e a impedire al Bene di propagarsi! Il che echeggia
sinistramente il «Nulla sarà più
come prima» della farsa pandemica.
L’ammissione
di Francesco circa una presunta divisione tra i fedeli legati alla
liturgia tridentina e quelli che, in gran parte per abitudine o per
rassegnazione, si sono adeguati alla liturgia riformata è
rivelatrice: essa non cerca di sanare questa divisione riconoscendo
pieni diritti ad un rito oggettivamente migliore rispetto a quello
montiniano, ma proprio per impedire che sia evidente la superiorità
ontologica della Messa di San Pio V e che questo faccia emergere le
criticità del rito riformato e della dottrina che esso esprime, egli
lo vieta, lo addita come divisivo, lo confina in riserve indiane
cercando di limitarne al massimo la diffusione, perché abbia a
scomparire del tutto, in nome della cancel
culture di cui fu sciagurata
anticipatrice la rivoluzione conciliare. Non potendo tollerare che il
Novus Ordo
e il Vaticano II escano inesorabilmente sconfitti dal confronto con
il Vetus Ordo e
il perenne Magistero cattolico, l’unica soluzione adottabile è
cancellare ogni traccia di Tradizione, relegarla a nostalgico rifugio
di qualche irriducibile ottuagenario o di una conventicola di
eccentrici, o presentandola pretestuosamente come il manifesto
ideologico di una minoranza di fondamentalisti. D’altra parte,
costruire una versione mediatica coerente al sistema, da ripetere ad
nauseam per indottrinare le masse, è
elemento che ricorre non solo in ambito ecclesiastico, ma anche in
ambito politico e civile, sicché appare nella sua sconcertante
evidenza come deep church e
deep state non
siano altro che due binari paralleli, che vanno nella medesima
direzione e hanno come destinazione finale il Nuovo Ordine Mondiale,
con la sua religione e il suo profeta.
La
divisione c’è, ovviamente, ma non viene dai buoni cattolici e
sacerdoti che rimangono fedeli alla dottrina di sempre, bensì da
coloro che hanno sostituito l’ortodossia con l’eresia e il Santo
Sacrificio con un’agape fraterna. Quella divisione non è di oggi,
ma risale agli anni Sessanta, quando lo “spirito del Concilio”,
l’apertura al mondo e il dialogo interreligioso fecero strame di
duemila anni di Cattolicità e rivoluzionarono l’intero corpo
ecclesiale, perseguitando o ostracizzando i refrattari. Eppure quella
divisione, compiuta col portare la confusione dottrinale e liturgica
in seno alla Chiesa, non sembrava così deplorevole allora; mentre
oggi, in piena apostasia, è giudicato paradossalmente divisivo
proprio chi chiede non la condanna esplicita del Vaticano II e del
Novus Ordo,
ma almeno la tolleranza della Messa “in forma straordinaria”, in
nome del tanto decantato pluralismo poliedrico.
Significativamente,
anche nel mondo civile la tutela delle minoranze vale solo quando
queste servono per demolire la società tradizionale, mentre è
ignorata quando dovrebbe garantire i legittimi diritti dei cittadini
onesti. Ed è diventato chiaro che sotto il pretesto della tutela
delle minoranze si voleva solo indebolire la maggioranza dei buoni,
mentre ora che la maggioranza è costituita da traviati la minoranza
dei buoni può esser schiacciata senza pietà: la storia recente non
manca di precedenti illuminanti al riguardo.
L’indole
tirannica di Traditionis custodes
Sconcerta,
a mio parere, non tanto questo o quel punto del Motu Proprio, quanto
la sua complessiva indole tirannica, accompagnata da una sostanziale
falsità delle argomentazioni addotte a giustificazione delle
decisioni imposte. Così come scandalizza l’abuso di potere di
un’autorità che ha la propria ragion d’essere non nell’impedire
o limitare le Grazie che tramite la Chiesa sono elargite ai suoi
membri, ma nel favorirle; non nel togliere gloria alla Maestà divina
con un rito che ammicca ai Protestanti, ma nel renderla in modo
perfetto; non nel seminare errori dottrinali e morali, ma nel
condannarli ed estirparli. Anche qui, il parallelo con quanto avviene
nel mondo civile è sin troppo evidente: i nostri governanti abusano
del loro potere al pari dei nostri Prelati, imponendo norme e
limitazioni in violazione dei più basilari principi del diritto.
Inoltre proprio chi è costituito in autorità, su entrambi i fronti,
spesso si avvale di un mero riconoscimento de facto da parte
della base – cittadini e fedeli – anche quando le modalità con
cui ha conquistato il potere violano, se non la lettera, quantomeno
lo spirito della legge. Il caso dell’Italia, in cui un Governo non
eletto legifera sull’obbligo vaccinale e sul green pass violando
la Costituzione e i diritti naturali degli Italiani, non mi pare
molto dissimile dalla situazione in cui si trova la Chiesa, con un
Pontefice dimissionario sostituito da Jorge Mario Bergoglio, scelto –
o quantomeno apprezzato e sostenuto – dalla Mafia di San Gallo e
dall’Episcopato ultraprogressista. Rimane evidente che vi è una
profonda crisi dell’autorità, civile e religiosa, in cui chi
esercita il potere lo fa contro coloro che dovrebbe proteggere e
soprattutto contro il fine per cui quell’autorità è costituita.
Analogie
tra deep church e deep state
Penso
si sia compreso che la società civile e la Chiesa soffrono dello
stesso cancro che ha colpito la prima con la Rivoluzione Francese e
la seconda con il Concilio Vaticano II: in entrambi i casi, il
pensiero massonico è alla base della demolizione sistematica
dell’istituzione e della sua sostituzione con un simulacro che ne
mantiene le parvenze esterne, la struttura gerarchica e la forza
coercitiva, ma con scopi diametralmente opposti a quelli che dovrebbe
avere.
A
questo punto, i cittadini da un lato e i fedeli dall’altro si
trovano nella condizione di dover disobbedire all’autorità
terrena, per obbedire a quella divina, che governa gli Stati e la
Chiesa. Ovviamente i “reazionari” – ossia coloro che non
accettano la perversione dell’autorità e vogliono rimanere fedeli
alla Chiesa di Cristo e alla Patria – costituiscono un elemento di
dissenso che non può essere in alcun modo tollerato, e che va quindi
screditato, delegittimato, minacciato e privato dei propri diritti,
in nome di un “bene pubblico” che non è più il bonum
commune ma il suo contrario. Che
siano tacciati di cospirazionismo o di tradizionalismo, di
complottismo o di integralismo, questi pochi superstiti di un mondo
che si vuole far scomparire costituiscono una minaccia al compimento
del piano globale, proprio nel momento più cruciale della sua
realizzazione. Ecco perché il potere reagisce in modo così
scoperto, così sfrontato e violento: l’evidenza della frode
rischia di esser compresa da un maggior numero di persone, di
riunirle in una resistenza organizzata, di rompere il muro di
silenzio e di feroce censura imposto dal mainstream.
Possiamo
quindi comprendere la violenza delle reazioni dell’autorità, e
prepararci ad una opposizione forte e determinata, continuando ad
avvalerci di quei diritti che ci sono abusivamente e illecitamente
negati. Certo, potremo trovarci a dover esercitare quei diritti in
modo incompleto, quando ci viene negata la possibilità di viaggiare
se non abbiamo il green pass o se il Vescovo ci proibisce di
celebrare la Messa di sempre in una chiesa della sua Diocesi; ma la
nostra resistenza agli abusi dell’autorità potrà comunque contare
sulle Grazie che il Signore non cesserà di concederci, in
particolare sulla virtù della Fortezza, indispensabile nei tempi di
tirannide.
La
normalità che spaventa
Se
su un fronte possiamo vedere come la persecuzione dei dissenzienti
sia ben organizzata e pianificata, sull’altro non possiamo non
riconoscere la frammentazione dell’opposizione. Bergoglio sa bene
che ogni movimento di dissenso dev’essere messo a tacere anzitutto
creando divisione al suo interno e isolando sacerdoti e fedeli. Una
proficua e fraterna collaborazione tra clero diocesano, religiosi ed
Istituti Ecclesia Dei rappresenta un’eventualità da
scongiurare, perché permetterebbe la diffusione della conoscenza
dell’antico rito, oltre che un prezioso aiuto nel ministero. Ma
questo significherebbe far diventare la Messa Tridentina una
“normalità” nella vita quotidiana dei fedeli, cosa che per
Francesco non è tollerabile. Per questo motivo, i sacerdoti
diocesani sono lasciati alla mercé degli Ordinari, mentre gli
Istituti Ecclesia Dei vengono posti sotto l’autorità della
Congregazione dei Religiosi, quale triste preludio di un destino
ormai segnato. Non dimentichiamo la sorte che toccò a fiorenti
Ordini religiosi, colpevoli di esser benedetti da numerose vocazioni
nate e cresciute proprio grazie all’odiata Liturgia tradizionale e
all’osservanza fedele della Regola. Ecco perché certe forme di
insistenza sull’aspetto cerimoniale delle celebrazioni rischia di
legittimare provvedimenti di commissariamento e fa il gioco di
Bergoglio.
Anche
nel mondo civile, proprio nel favorire certi eccessi da parte dei
dissenzienti, chi detiene il potere li emargina e legittima misure
repressive nei loro confronti: pensiamo al caso dei movimenti no-vax
e a quanto sia facile screditare le legittime proteste dei cittadini,
enfatizzando le eccentricità e le incongruenze di pochi. Ed è sin
troppo facile condannare alcuni esagitati che per esasperazione danno
alle fiamme un padiglione per i vaccini, mettendo in ombra milioni di
persone oneste che scendono in piazza per non essere marchiate con il
passaporto sanitario o essere licenziate se non si lasciano
vaccinare.
Non
rimanere isolati e disorganizzati
Un
altro elemento importante per tutti noi è la necessità di dare
visibilità alla propria composta protesta e assicurare una forma di
coordinamento all’azione pubblica. Con l’abolizione di Summorum
Pontificum ci troviamo riportati
indietro di vent’anni; questa infausta decisione da parte di
Bergoglio di cancellare il Motu Proprio di Papa Benedetto è
destinato ad un inesorabile fallimento, perché tocca l’anima
stessa della Chiesa di cui il Signore è Pontefice e Sommo Sacerdote.
E non è detto che l’intero Episcopato – come vediamo in questi
giorni con sollievo – sia disposto a subire passivamente forme di
autoritarismo che non contribuiscono certo alla pacificazione degli
animi. Il Codice di Diritto Canonico assicura ai Vescovi la
possibilità di dispensare i propri fedeli da leggi particolari o
universali, a determinate condizioni; in secondo luogo, il popolo di
Dio ha ben compreso l’indole eversiva di Traditionis
custodes e istintivamente è portato
a voler conoscere ciò che suscita tanta disapprovazione nei
progressisti. Non stupiamoci quindi se nelle chiese in cui si celebra
la Messa tradizionale vedremo fedeli provenienti dalla vita
parrocchiale ordinaria e addirittura persone lontane dalla Chiesa.
Sarà nostro dovere, come Ministri di Dio o come semplici fedeli, dar
prova di fermezza e di serena resistenza ad un simile abuso,
percorrendo con spirito soprannaturale il nostro piccolo Calvario
quotidiano, mentre i nuovi sommi sacerdoti e gli scribi del popolo ci
sbeffeggiano e ci additano come fanatici. Sarà la nostra umiltà,
l’offerta silenziosa delle ingiustizie nei nostri riguardi e
l’esempio di una vita coerente con il Credo che professiamo a
meritare il trionfo della Messa Cattolica e la conversione di tante
anime. E ricordiamoci che, avendo ricevuto molto, molto ci sarà
chiesto.
Restitutio
in integrum
Quale
padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra?
O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O
se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?
(Lc 11, 11-12). Ora possiamo comprendere il senso di queste parole,
considerando con dolore e con strazio del cuore il cinismo di un
padre che ci dà le pietre di una liturgia senz’anima, le serpi di
una dottrina corrotta e gli scorpioni di una morale adulterata. E che
giunge a dividere il gregge del Signore tra coloro che accettano il
Novus Ordo
e quanti vogliono rimanere fedeli alla Messa dei nostri padri,
esattamente come i governanti mettono uno contro l’altro i
vaccinati e i non vaccinati.
Quando
Nostro Signore, assiso su un puledro d'asina, fece ingresso in
Gerusalemme mentre la folla stendeva mantelli al Suo passaggio, i
farisei Gli chiesero: «Maestro,
rimprovera i tuoi discepoli». Il
Signore rispose loro: «Vi dico che,
se questi taceranno, grideranno le pietre»
(Lc 19, 28-40). Da sessant’anni gridano le pietre delle nostre
chiese, dalle quali è stato due volte proscritto il Santo
Sacrificio. Gridano i marmi degli altari, le colonne delle basiliche,
le volte svettanti delle cattedrali. Perché quelle pietre,
consacrate al culto del vero Dio, oggi sono abbandonate e deserte, o
profanate da riti esecrandi, o trasformate in parcheggi e
supermercati, proprio come risultato di quel Concilio che ci si
ostina a difendere. Gridiamo anche noi, che del tempio di Dio siamo
pietre vive: gridiamo con fiducia al Signore, affinché ridia voce ai
Suoi discepoli, oggi muti. E perché sia riparato il furto
intollerabile di cui si sono resi responsabili proprio gli
amministratori della Vigna del Signore.
Ma
perché quel furto sia riparato, occorre che ci dimostriamo degni dei
tesori che ci sono stati sottratti. Cerchiamo di farlo con la nostra
santità di vita, con l’esempio delle virtù, con la preghiera e la
vita dei Sacramenti. E non dimentichiamo che ci sono centinaia di
buoni sacerdoti che sanno ancora in cosa consista la sacra Unzione
con cui sono stati ordinati Ministri di Cristo e dispensatori dei
Misteri di Dio. Il Signore si degna di scendere sui nostri altari
anche quando essi sono eretti in cantine o soffitte. Contrariis
quibuslibet minime obstantibus.
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