Filosofia - Teologia della libertà01 giugno 2021 “La libertà è la croce della filosofia; ma è la dignità dell’uomo”
Teologia
della Libertà
Parte
4
Il
fondamento metafisico
“La
libertà è la croce della filosofia; ma è la dignità dell’uomo”.
In pochi nella
storia del pensiero del ‘900 hanno scandagliato il fondamento
metafisico della libertà come Fabro, che è capace di attingere dai
classici come dai contemporanei, per poi formulare una sintesi che si
accorda perfettamente con gli insegnamenti del Cristianesimo. Una
metafisica teologica e una teologia metafisica quindi, aperta a
quelle fonti del mistero e della meraviglia che definiscono l’essenza
stessa del pensare umano, dai Greci ad oggi. Seguiamo il suo
ragionamento, basato sulla filosofia perenne dei testi tomistici: “La
creatura va riconosciuta ‘causa seconda’ dell’esse nel
suo ordine. Se la prima causalità dell’esse è riservata a
Dio, nella costituzione primaria degli enti, alla costituzione
secondaria del reale sono cause prossime le creature, ciascuna per la
propria sfera. [...] Le varie nature sono ciascuna dotate di proprie
operazioni le quali hanno evidentemente la propria causa prossima
nelle rispettive potenze; Iddio potrebbe fare tutto da sé, ma è
segno di maggiore potenza il chiamare anche altri a partecipare della
propria potenza. [...] L’emergenza di perfezione sui corpi che le
creature spirituali ottengono nell’ordine dinamico fa capo alla
libertà del volere mediante il quale le creature spirituali
devono scegliere il proprio fine ultimo e realizzare coll’uso dei
mezzi corrispondenti il conseguimento effettivo del medesimo. Vale in
questo senso il principio aristotelico, accettato da San Tommaso, che
‘l’essere libero è causa di se stesso’. Sorge allora il
problema della ‘conciliazione’ fra la libertà umana, che concede
la libera iniziativa dell’azione, e l’onnipotenza divina che
tutto muove all’agire e alla quale nulla può sfuggire di quanto
accade e si compie in cielo e in terra. Per sbarazzare il terreno,
si deve subito ammettere che c’è un settore dell’attività
tendenziale di natura necessaria ed è la tendenza al bene,
ch’è presupposta all’esercizio stesso della libertà. Il
problema del ‘concorso divino’ riguarda perciò la scelta e
accettazione in concreto del fine ultimo (o il bene finito o il bene
Infinito) e la scelta dei mezzi che sono richiesti al conseguimento
del medesimo. La Causa Prima influisce sulla volontà creata nella
scelta. In qualità di principio operante soggettivo la volontà
muove se stessa al fine come ‘causa sui’ e muove le altre facoltà
e lo stesso intelletto nell’ordine dinamico alla conquista del
proprio oggetto: ‘Voluntas movet intellectum’ (S. Th.
I-II, q.IX, a.3, ad3). Nella scambievole attività di volontà e
intelletto, è alla volontà come principio soggettivo di
movimento verso il bene reale che compete il primo impulso
all’azione ed è allora la volontà che tiene la chiave della vita
spirituale: ‘Omnis actus voluntatis est prior quam aliquis actus
intellectus: voluntas enim tendit in finalem actum intellectus qui
est beatitudo’ (S. Th. I-II, q.IV, a.4, ad2). [...] Come
nell’ordine statico dell’essere c’è il momento della
creazione e conservazione dell’esse come tale, e c’è poi
il momento della causalità delle formalità particolari e
conseguenti dell’esse, così anche nell’ordine dinamico
c’è il primo momento della messa in atto tendenziale, cioè
del primo momento verso il bene da parte della volontà e c’è poi
l’atto di scelta particolare nella sfera concreta di esistenza.
Come nessun
agente creato può ‘per se et proprie’ causare l’esse,
così nessuna volontà creata può muovere se stessa inizialmente, e
ciò per la situazione paradossale in cui si trova: in quanto ha per
oggetto il bene universale ed essa invece è una potenza finita, ed
in quanto essa è inizialmente in potenza. Quindi ‘OGGETTIVAMENTE’
soltanto Dio può muovere la volontà perché solo Dio è il ‘bene
universale reale’ ovvero il Bene per essenza. Allora, poiché ogni
altro bene è particolare cioé un bene per partecipazione, esso non
è in grado di muovere la volontà inizialmente in quanto essa tende
al bene universale. La prima spinta al bene universale, benché sia
indeterminata, ha radicalmente e virtualmente una specificazione
infinita e procede quindi soltanto dalla Causa Prima che s’intranea
così nella causa seconda in modo ineffabile e realissimo. Si tratta
di una forma di specificazione attivante trascendentale, mediante la
quale la volontà creata viene ‘colmata’ nella sproporzione in
cui si trova inizialmente rispetto al suo oggetto adeguato della sua
potenzialità radicale verso il Bene come tale ch’è poi il suo
atto ultimo perfettivo. [...] È in questo contesto della prima
specificazione trascendentale della volontà da parte di Dio come
‘bonum universale’ reale che San Tommaso afferma immanente
originariamente alla conoscenza come alla volizione una certa qual
conoscenza e tendenza verso Dio, in forma implicita e confusa.
L’istanza che si vuole far valere, in questa sfera dell’attrazione
da parte dell’oggetto, si connette con l’esigenza più profonda
della partecipazione: poiché il bene che si trova in tutte le
creature finite non è che una partecipazione del Bene Infinito ch’è
Dio e quindi ogni creatura è attiva e muove l’appetito in quanto
porta in sé una similitudine partecipata del bene infinito. È in
realtà Dio stesso che attira come bene oggettivo per essenza ed è
su questa attrazione trascendentale che si può fondare l’attrazione
che può esercitare qualsiasi bene particolare. Il Bene infinito,
per essere il fondamento reale della bontà di ogni bene finito che
attira la volontà, deve essere anzitutto e immediatamente il primo
bene a cui la volontà si volge realmente, benché in modo confuso.
Poiché la volontà è potenza di uno spirito finito, si trova
radicalmente in potenza rispetto alla tendenza verso il bene. Essa,
una volta che abbia fatto la scelta del fine ovvero quando si è
stabilita nella tensione in atto della libertà, può certamente
muovere se stessa cioé può da se stessa passare alla scelta dei
mezzi: ma questo non lo può fare nel primo momento, perché si
trova nello stato di potenza radicale. La ‘prima inclinazione’,
cioé la prima spinta al volere deve venire da Dio. [...] Soltanto
Dio può entrare nell’anima e nella volontà. [...] Il Primo
principio movente esteriore (exterioris moventis) che infonde
nella profondità dell’anima il divino istinto per il bene, è Dio
stesso: “Dicendum, quod voluntas numquam potest bene velle sine
divino instincto; potest autem bene vellesine gratiae infusione,
sed non meritorie; et similiter intellectus non potest sine divino
motu veritatem quamcumque cognoscere” (In Boeth. De Trinitate,
q.1, a.1, ad 7). [...] Dio è certamente un principio estrinseco
alla volontà e all’anima, anzi il più distante da ogni creatura
perché è l’essere e il bene per essenza: eppure va anche detto
il più intrinseco ad ogni cosa, perché nessuna creatura potrebbe
né essere né operare se Dio non fosse il principio che
immediatamente la sostenta nell’essere e la muove nell’agire.
[...]
Se nel primo
momento la creatura si può considerare totalmente recettiva
rispetto all’influsso divino, nel secondo momento essa diventa
attiva e così l’atto di scelta appartiene alla persona singola
che lo compie. Quest’attività della volontà creata nella propria
sfera comporta un delicato e scambievole influsso fra intelletto e
volontà a seconda del prevalere dell’aspetto oggettivo, proprio
dell’intelletto, o dell’aspetto soggettivo, proprio della
volontà, nella tensione dell’impegno personale che porta alla
decisione: di qui il fondamento dell’imputabilità, e quindi del
merito e del demerito. [...] Gli atti di scelta delle volontà
create sono effetti corrispondenti all’esercizio delle rispettive
libertà dei soggetti singoli, perché effettivamente l’uomo
mediante la libertà va riconosciuto ‘causa sui’. Quindi tanto
Dio come la creatura sono causa diretta, immediata e integrale
dell’atto; Dio come causa prima e la creatura come causa seconda.
[Bisogna] riconoscere una subordinazione costitutiva della volontà
finita con la Causa prima: la volontà finita, come tale, può
cadere, può quindi mettersi in ‘discordia’ con la volontà di
Dio. Questa è mancanza di partecipazione, deviazione, riferibile
alla sola creatura. Ma causa integrale dell’azione creata è anche
Dio, e lo è a titolo di Causa Prima. Dicendo che lo è ‘anche
Dio’ non s’intende affatto di porre Dio in second’ordine o di
porlo ‘accanto’ alla creatura come principio coagente; si tratta
di un ‘anche’ intensivo di primalità. Infatti, perché essendo
Dio causa nell’ordine suo proprio cioé trascendentale, la sua
causalità non si somma, né si aggiunge a quella della libertà
creata, ma essa la sostenta e la pone in atto nell’intensità ed
estensione che compete alla Causa Prima”.
ANDREA COLOMBO
(continua)
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