Mons. Viganò
14 marzo 2021 Viganò: Benedetto XVI Soffriva di Sindrome di Stoccolma verso Bertone e Gänswein Viganò: BXVI Soffriva di Sindrome di Stoccolma verso Bertone e Gänsweindi S. E. Mons. Carlo Maria Viganò
RS: Buongiorno Eccellenza, La ringraziamo per il dialogo che intratterremo. Partiamo da Galleria neovaticana,
il libro di Marco Tosatti di cui Lei ha scritto la prefazione. Ci
permetta di raccontarLe un aneddoto: non era passata che qualche ora
dall’annuncio dell’invio in stampa che già su Twitter si manifestava un
profilo con un sondaggio – basandosi solo sulla copertina e sul titolo,
evidentemente – per chiedere quanto fosse evangelico stampare un volume
dedicato a scabrose accuse e a fatti non sempre edificanti. Cosa
risponderebbe a questa obiezione? CMV:
Mi sia qui permesso di ricordare che Benedetto XVI nei mesi che
precedettero la sua decisione di assumere il titolo singolare di “papa
emerito”, istituì una Commissione cardinalizia, presieduta dal Cardinale
Herranz, e composta dai Cardinali Tomko e De Giorgi, con l’incarico di
svolgere un’accurata indagine concernente le notizie riservate diffuse
da Vatileaks. In quell’occasione, dovetti insistere con il Cardinale
Herranz perché potessi deporre, atteso che non era sua intenzione
interrogarmi nonostante fossi coinvolto in prima persona come autore dei
documenti riservati destinati al Pontefice, che erano stati trafugati e
consegnati alla stampa. Consegnai loro un corposo dossier in cui
rendevo conto di tutte le disfunzioni e della rete di corruzione di cui
ero venuto a conoscenza e che ebbi a fronteggiare come Segretario
Generale del Governatorato. Accompagnai quel dossier con una lettera, in
cui tra l’altro scrissi: “Sono molto addolorato per il grave danno
procurato alla Chiesa e alla Santa Sede dalla fuga di tanti documenti
riservati… Se vi sono dei responsabili per tali atti inconsulti, ben più
grave è la colpa di chi si è reso responsabile di tanta corruzione e
degrado morale nella Santa Sede e nello Stato della Città del Vaticano, e
quella di alcuni cardinali, prelati e laici che, pur sapendo, hanno
preferito convivere con tanta sporcizia, addormentando le loro coscienze
pur di compiacere al superiore potente e far carriera. Spero che almeno
questa Commissione Cardinalizia, per amore alla Chiesa, sia fedele al
Santo Padre e faccia tutta la pulizia necessaria da Lui voluta e non
permetta che questa Sua iniziativa sia ancora una volta insabbiata…
Numerosi sono stati i giornalisti di vari paesi che hanno cercato di
contattarmi… Sono stato zitto, per amore alla Chiesa e al Santo Padre. La forza della verità deve sgorgare dall’interno della Chiesa e non dai media…
Prego per Voi Cardinali, perché abbiate il coraggio di dire la verità
al Santo Padre; e prego per il Santo Padre, perché abbia la forza di far
sì che essa venga alla luce nella Chiesa.” Quella
mole di informazioni, assieme alle altre prove raccolte dai tre
Cardinali, avrebbe consentito un’operazione di pulizia: tutto è stato
insabbiato! [qui]
e può solo costituire un ulteriore occasione di ricatto per i nomi ivi
contenuti e, da ormai otto anni, un’occasione di discredito nei
confronti di chi viceversa ha servito fedelmente la Chiesa e la Santa
Sede. Necesse est enim ut veniant scandala; verumtamen væ homini per quem scandalum venit (Mt
18, 7). Denunciare la corruzione dei chierici e dei Prelati si è
imposto come un gesto di carità nei riguardi dei fedeli e un atto di
giustizia nei confronti della Chiesa martoriata, perché da un lato mette
in guardia il popolo di Dio dai lupi travestiti da agnelli e li mostra
per quello che sono, e dall’altro dimostra che la Sposa di Cristo è
vittima di una conventicola di lussuriosi avidi di potere, allontanati i
quali essa può tornare a predicare il Vangelo. Non è chi porta alla
luce gli scandali che pecca contro la carità evangelica, ma chi quegli
scandali li compie e li copre. Le parole del Signore non danno adito ad
equivoci. RS: Come si sa, andando oltre il
tema morale, risulta impossibile non individuare nel tracollo
dottrinale il cardine stesso della crisi nella Chiesa. In relazione a
questo, in più occasioni Lei ha manifestato una critica serrata al
Vaticano II. Sul punto Le chiederemmo una specificazione ulteriore.
Parlando con Sandro Magister ha attaccato: «la favola bella
dell’ermeneutica – ancorché autorevole per il suo Autore – rimane
nondimeno un tentativo di voler dar dignità di Concilio ad un vero e
proprio agguato contro la Chiesa». Possiamo dunque chiarire che il problema non è individuabile solo dal Vaticano II ma nel
Vaticano II? Detto in altri termini: il processo rivoluzionario ha
avuto una svolta con il “Concilio” e non solo dopo il “Concilio”? Non
semplicemente lo spirito vaticansecondista, ma anche la lettera è da
mettere sotto accusa? CMV:
Non vedo come si possa sostenere che vi sia un presunto Vaticano II
ortodosso di cui nessuno ha parlato per anni, tradito da uno spirito del Concilio che pure tutti elogiavano. Lo spirito del Concilio è ciò che lo anima, quello che ne determina la natura, la particolarità, le caratteristiche. E se lo spirito
è eterodosso mentre i testi conciliari non sembrano essere
dottrinalmente eretici, questo è da attribuire ad un’astuta mossa dei
congiurati, all’ingenuità dei Padri conciliari e alla connivenza di
quanti hanno preferito guardare altrove, sin dall’inizio, piuttosto di
prendere posizione con una chiara condanna delle deviazioni dottrinali,
morali e liturgiche. I
primi ad essere perfettamente consapevoli dell’importanza di mettere
mano ai testi conciliari per poterli poi usare per i propri scopi furono
Cardinali e Vescovi progressisti, in particolare tedeschi e olandesi,
con i loro periti. Non a caso essi fecero in modo di rifiutare gli
Schemi preparatori preparati dal Sant’Uffizio e ignorarono i Desiderata
dell’Episcopato mondiale, ivi compresa la condanna degli errori moderni,
specialmente del comunismo ateo; riuscirono anche ad impedire la
proclamazione di un dogma mariano, vedendo in esso un «ostacolo» al
dialogo ecumenico. La nuova leadership del Vaticano II fu possibile
grazie ad un vero e proprio colpo di mano, al ruolo preminente del
Gesuita Bea e all’appoggio di Roncalli. Se gli Schemi fossero stati
mantenuti, nulla di quello che uscì dalle Commissioni sarebbe stato
possibile, perché essi erano impostati sul modello
aristotelico-tomistico che non permetteva formulazioni equivoche. La lettera
del Concilio va quindi messa sotto accusa perché è da questa che è
partita la rivoluzione. D’altra parte: sapreste citarmi un caso nella
storia della Chiesa in cui un Concilio Ecumenico sia stato
deliberatamente formulato in modo equivoco per far sì che ciò che esso
insegnava nei suoi atti ufficiali venisse poi sovvertito e contraddetto
nella pratica? Ecco: basta questo per catalogare il Vaticano II come un
caso a sé, un hapax sul quale gli studiosi potranno cimentarsi, ma che dovrà trovare soluzione da parte dell’Autorità suprema della Chiesa. RS: Come è avvenuta la Sua presa
di coscienza in relazione a questa crisi? Un processo graduale? Un
fatto immediato e sviluppatosi nel breve periodo? CMV:
La mia presa di coscienza è stata progressiva, ed è iniziata
relativamente presto. Ma comprendere, o iniziare a sospettare che quanto
ci fu presentato come frutto dell’ispirazione dello Spirito Santo fosse
in realtà suggerito dall’inimicus homo non è bastato a far
crollare quel senso di sofferta obbedienza alla Gerarchia, anche in
presenza di molteplici prove della malafede e del dolo di alcuni suoi
esponenti. Come ho già avuto modo di dichiarare, quello che allora vedevamo concretizzarsi – parlo ad esempio di alcune novità come la collegialità episcopale o l’ecumenismo o il Novus Ordo
– potevano apparire come dei tentativi di venire incontro al comune
desiderio di rinnovamento, sull’onda della ricostruzione del dopoguerra.
Dinanzi al boom economico e ai grandi eventi politici, la Chiesa
sembrava doversi in qualche modo svecchiare, o così ci dicevano tutti,
ad iniziare dal Santo Padre. Chi era abituato alla disciplina
preconciliare, all’ossequio all’Autorità, alla venerazione del Pontefice
Romano non osava nemmeno pensare che quello che ci veniva
surrettiziamente mostrato come un mezzo per diffondere la Fede e
convertire alla Chiesa Cattolica tante anime era in realtà un veicolo,
un inganno dietro cui si celava, nella mente di alcuni, l’intenzione di
cancellare progressivamente la Fede e lasciare le anime nell’errore e
nel peccato. Quelle “novità” non piacevano quasi a nessuno, men che meno
ai laici, ma ci erano presentate come una sorta di penitenza da
accettare, avendone in cambio una maggior diffusione del Vangelo e la
rinascita morale e spirituale di un mondo occidentale prostrato dalla
Guerra e minacciato dal materialismo. Cambiamenti
radicali iniziarono con Paolo VI, con la riforma liturgica e la
drastica proibizione della Messa tridentina. Mi sentii personalmente
ferito ed impotente quando, come giovane segretario all’allora
Delegazione apostolica di Londra, la Santa Sede proibì all’Associazione Una Voce la celebrazione di una sola Messa secondo il Rito Antico nella cripta della Cattedrale di Westminster. Durante il Pontificato di Giovanni Paolo II alcune delle istanze più estreme del Concilio trovarono una spinta propulsiva nel pantheon
di Assisi, negli incontri nelle moschee e nelle sinagoghe, nelle
richieste di perdono per le Crociate e l’Inquisizione, con la cosiddetta
purificazione della memoria. La carica eversiva di Dignitatis humanae e di Nostra ætate fu evidente in quegli anni. Venne
poi Benedetto XVI e la liberalizzazione della liturgia tradizionale,
fino ad allora ostentatamente avversata, nonostante le concessioni
papali successive alle Consacrazioni episcopali di Ecône.
Malauguratamente le devianze ecumeniche non cessarono nemmeno con
Ratzinger, e con esse l’ideologia conciliare che le giustificavano.
L’abbandono di Benedetto e l’avvento di Bergoglio continuano ad aprire
gli occhi a moltissime persone, soprattutto ai fedeli laici. RS: Tema
distinto ma connesso a questo è quello relativo ai protagonisti della
stagione conciliare e post-conciliare. Fermiamoci un attimo sulla figura
di Ratzinger: risulta innegabile, pur con sfumature diverse, il ruolo
del teologo bavarese tanto al Vaticano II quanto dopo (ricordiamo che
dal 1981 al 2005 è stato Prefetto della Congregazione per la dottrina
della Fede, dal 2005 al 2013 ha regnato sul Soglio di Pietro, dal 2013 è
“Papa emerito”). Da parte nostra il giudizio sulla portata del
ratzingerismo è certamente negativo: sotto la sua amministrazione della
CdF hanno prosperato quelle stesse devianze che oggi vediamo “fiorire”
in modo esplicito; appena eletto al Soglio ha tolto la tiara dallo
stemma pontificio; ha proseguito sulla via dell’ecumenismo
indifferentista rinnovando le scandalose celebrazioni di Assisi; a
Erfurt è arrivato al punto di affermare «Il pensiero di Lutero, l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica» [qui], nel Motu proprio Summorum Pontificum
ha definito la Messa di sempre e il Novus Ordo come due forme dello
stesso rito (quando al contrario implicano due teologie totalmente
diverse); ha poi creato questo ibrido improbabile del “Papa emerito
vestito di bianco” che – al netto delle intenzioni, che non giudichiamo –
sembra essere non solo un pericoloso equivoco, ma un ingranaggio quasi
necessario del dualismo che anima l’attuale dinamica della dissoluzione
ecclesiale. Questi pochi esempi, cui ne potrebbero seguire molti altri,
sono a nostro avviso rivelatori del fatto che Ratzinger, da sempre e pur
con ruoli e posizioni non identiche, è stato dall’altra parte della
barricata. Abbiamo già visto la Sua affermazione sulla «favola bella dell’ermeneutica»,
ma anche in altre occasioni Lei ha fatto notare alcuni aspetti
problematici del pensiero di Ratzinger. Ci riferiamo in particolare a
una sua recente dichiarazione su LifeSiteNews in cui ha sostenuto: «Sarebbe
però auspicabile che egli, soprattutto in considerazione del Giudizio
Divino che lo attende, si allontani definitivamente da quelle posizioni
teologicamente errate – mi riferisco in particolare a quelle
dell’Introduzione al cristianesimo – che sono ancora oggi diffuse in
università e seminari che si vantano di chiamarsi cattolici». Le
chiediamo dunque: se dovesse sintetizzare il Suo giudizio sul pensiero
del teologo bavarese cosa direbbe ai nostri lettori? Inoltre: Lei ha
avuto la possibilità di operare a stretto contatto con Benedetto XVI,
cosa può dirci di lui sul piano umano? Non è – sia chiaro – una domanda
su aspetti riservati, ma sulla personalità che ha potuto conoscere da
vicino. CMV:
I punti che avete elencato, pur con alcune sfumature, mi trovano
purtroppo concorde, non senza un vivo dolore. Molti atti di governo di
Benedetto XVI sono in linea con l’ideologia conciliare, della quale il
teologo Ratzinger è da sempre strenuo e convinto sostenitore. La sua
impostazione filosofica hegeliana lo ha portato ad applicare lo schema tesi-antitesi-sintesi
in ambito cattolico, ad esempio considerando i documenti del Vaticano
II (tesi) e gli eccessi del postconcilio (antitesi) componibili nella
famosa “ermeneutica della continuità” (sintesi); né fa eccezione
l’invenzione del Papato emerito, dove tra l’essere Papa (tesi) e il non
esserlo più (antitesi) si è scelto il compromesso del rimanerlo solo in
parte (sintesi). La stessa mens ha determinato quanto è avvenuto
per la liberalizzazione della liturgia tradizionale, affiancata al suo
contraltare conciliare nel tentativo di non scontentare né i fautori
della rivoluzione liturgica né i difensori del venerando rito
tridentino. Il
problema è quindi di matrice intellettuale, ideologica: esso emerge
ogniqualvolta il teologo bavarese ha voluto dare una soluzione alla
crisi che affligge la Chiesa: in tutte queste occasioni la sua
formazione accademica influenzata dal pensiero di Hegel ha creduto di
poter mettere insieme gli opposti. Non ho motivo di dubitare che
Benedetto XVI abbia voluto a suo modo compiere un gesto di conciliazione
con le istanze del tradizionalismo cattolico; né che egli non sia
consapevole della situazione disastrosa in cui versa il corpo
ecclesiale; ma l’unico modo per restaurare la Chiesa è seguendo il
Vangelo, con uno sguardo soprannaturale e con la consapevolezza che Bene
e Male, per decreto di Dio, non possono esser messi insieme in un
fantomatico juste milieu, ma che sono e rimangono inconciliabili e opposti, e che servendo due padroni si finisce per scontentare entrambi. Per
quanto riguarda la mia conoscenza diretta di Benedetto XVI, posso dire
che negli anni del suo Pontificato in cui ho servito la Chiesa in
Segreteria di Stato, al Governatorato e come Nunzio negli Stati Uniti,
mi sono fatto l’idea che egli si sia circondato di collaboratori
inadeguati, inaffidabili o anche corrotti, che hanno ampiamente
approfittato della “mitezza” del suo carattere e di quella che potrebbe
essere considerata come una certa sindrome di Stoccolma soprattutto nei
confronti del Card. Bertone e del suo Segretario particolare. RS: In alcuni articoli apparsi su CatholicFamilyNews.com
si faceva notare come la Sua posizione sulla situazione della Chiesa
sia prossima a quella di Mons. Bernard Tissier de Mallerais, uno dei
quattro Vescovi consacrati da Mons. Lefebvre. Dalla stessa fonte si
riportava una Sua frase secondo cui lo stesso Mons. Lefevbre sarebbe un
confessore esemplare della Fede. Alla luce anche della ferma critica al
Vaticano II e, d’altro canto, della Sua non adesione al sedevacantismo,
verrebbe da ipotizzare che l’impostazione che Lei promuove sia molto
vicina a quella della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Può dirci
qualcosa in proposito? CMV: Da molte parti del mondo cattolico, specialmente nei milieux
conservatori, si sente affermare che Benedetto XVI sarebbe il vero Papa
e che Bergoglio sarebbe un antipapa. Questa opinione si basa da un lato
sulla convinzione che la sua Rinunzia sia invalida (per il modo in cui è
stata formulata, per le pressioni esercitate da forze esterne o per la
distinzione tra munus e ministerium papale) e dall’altro
sul fatto che un gruppo di Cardinali progressisti avrebbe cercato di far
eleggere al Conclave del 2013 un proprio candidato, in violazione delle
norme della Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis di
Giovanni Paolo II. Aldilà della plausibilità di queste argomentazioni,
che se confermate potrebbero invalidare l’elezione di Bergoglio, questo
problema può esser risolto solo dall’Autorità suprema della Chiesa,
quando la Provvidenza si degnerà di porre fine a questa situazione di
gravissima confusione. RS: Parliamo del futuro. In
questi anni burrascosi Lei ha inteso servire la Chiesa con interventi
scritti, con video, partecipando a iniziative e con tutte le attività
che chi La segue ben conosce. Per il domani intravede la possibilità che
la Sua missione episcopale prenda forme diverse? Pensa a qualche
attività specifica? Con una più marcata presenza pubblica? CMV:
La mia età, le vicissitudini di questi ultimi anni e la situazione
della Chiesa non mi permettono di fare progetti, come peraltro non ho
mai fatto in tutta la mia vita. Lascio che la Provvidenza disponga di me
come crede, mostrandomi di volta in volta la via che devo percorrere.
Spero di tutto cuore che la mia testimonianza, specialmente per quanto
riguarda la comprensione dell’inganno che si sta consumando nella
Chiesa, permetta a Cardinali, a miei Confratelli nell’Episcopato e nel
Sacerdozio di aprire gli occhi, in un gesto di umiltà, di coraggio e di
confidenza nella potenza di Dio. Non possiamo continuare a difendere la
causa e l’origine della crisi presente solo perché non vogliamo
riconoscere di essere stati tratti in inganno: questa ostinazione
nell’errore sarebbe una colpa peggiore dell’errore stesso. RS: La ringraziamo per aver risposto alle nostre domande: speriamo non manchino occasioni per confronti futuri.
11 Marzo 2021Feria Quinta infra Hebdomadam III in Quadragesima >>>articolo originale online>>> ... |